L’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti ha sconvolto non soltanto i partiti politici, ma anche analisti di ogni risma. Soprattutto in Italia.
Per individuare le strade che si aprono, a casa nostra e altrove, è necessario capire perché. La ragione è semplice, anche se raramente evocata. Il nostro è il paese che, più di ogni altro in Occidente, ha sacrificato la propria indipendenza alle ambizioni egemoniche di Washington a cui il presidente in carica ha rinunciato, aspirando a diventare esplicitamente più simile a presunti avversari statuali ed oligarchie economiche. Nel corso della Guerra Fredda quella volontà egemonica in Italia è stata favorita dalla presenza di un partito comunista che pure ha avuto il merito di staccarsi, nel lontano 1968, dalla propria casa madre sovietica. Un demerito, dal punto di vista statunitense, perché ha reso più ostico, ma anche più necessario ogni intervento volto a sottomettere il nostro paese: concentrazione di presenze militari e basi nucleari, oggi meno che mai controllate, gestione dei nostri servizi segreti, strategia della tensione, uso spregiudicato di forze eversive – prima nere, poi rosse – conventio ad excludendum e, con l’affacciarsi del compromesso storico come ipotesi realistica, linea della fermezza nei confronti di Aldo Moro prigioniero. In tempi più recenti, assassini impuniti (da Calipari alle vittime della funivia del Cermis) a extraordinary renditions sulle strade di Milano. Tutti graziati, estradati o protetti dal nostro segreto di stato. Nemmeno la caduta del Muro è stata sufficiente a sconvolgere una trama che va da James Jesus Angleton – primo architetto della politica della CIA in Italia – a Victoria Nuland (“Fuck Europe!”).
Sia chiaro. Le strategie di Washington non assolvono noi, i nostri governi, i tentativi generosi ma inefficaci di resistenza. Chi ha voluto e potuto sacrificare la nostra sovranità, anche in violazione della nostra Costituzione (liquidata da J.P. Morgan come un anacronismo del dopoguerra), ha trovato, di volta in volta, i pezzi attivi e necessari ai propri disegni, ne’ i rari quanto preziosi slanci di orgoglio nazionale ed europeista, quale l’episodio di Sigonella e lo sventato tentativo statunitense d’impedire la nascita dell’euro, sono stati sufficienti a redimere un’Italia simile a quella dipinta nell’ottocento da Alexandre Dumas, in cui tutto era possibile.
La presenza di Trump alla Casa Bianca, la sua dichiarata vocazione antidemocratica, l’ostilità esplicita nei confronti di un’Europa unita, potenziale concorrente, paradossalmente offre una preziosa occasione per la sua sovranità, indispensabile alla nostra, come sancita dall’articolo XI della Costituzione. Risultano controproducenti gli sforzi di von der Leyen e i suoi alleati europei a salvare i propri empiti euroatlantici, tesi a costruire un’Europa riarmata di armi soprattutto statunitensi, senza una difesa priva di scala, ma soprattutto senza una politica estera ed economica unificata. Diventerà sempre più evidente la non celata intenzione di Trump e di Putin – non della Cina, per vocazione multipolare – di dare vita ad una nuova spartizione dell’Europa medesima, a spese delle vittime di tutte le guerre in corso. Motivo di particolare allarme è la tragedia dei Palestinesi, oscurata da quanto avviene in Ucraina, ove pure urge un cessate il fuoco. I governi europei, cause principali e vittime di guerre passate, dovranno prendere atto che, nell’esperienza dei loro popoli, le bandiere dell’Europa e della pace sono ormai inseparabili. La strada è imboccata, anche se scoscesa ed irta di ostacoli.
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