Le insidie della pace e delle guerre di Franco Livorsi 

 

La Storia si è proprio messa a correre, in modo benefico, ma anche malefico. Come sempre? – No, più del solito, segnalando ancora una volta che siamo davvero stati gettati in una svolta epocale. Come nel 1919-1920 dopo la Grande Guerra e la Rivoluzione d’ottobre dei soviet, o meglio come nel “biennio nero” 1921-1922 e anni ulteriori. O come nel Sessantotto, solo che quello in atto nel mondo è un Sessantotto alla rovescia. Speriamo in bene perché il percorso è pieno di insidie. Comunque è una vera svolta epocale, dopo la quale tutto cambia, come segnalava sere fa il mio vecchio amico Fausto Bertinotti a “In altre parole” di Gramellini. Come sempre proprio l’Italia, da Berlusconi a Giorgia Meloni, ha anticipato tutto. Ora il processo, che è una sorta di riscossa della destra mondiale, è giunto allo zenit con Trump e Musk al potere nella prima potenza economica e militare del mondo.

Il Presidente americano Trump, come mi era capitato di dire anche tra gli amici di Città Futura, quando ancora non era stato eletto (ma era a buon punto), si presenta nella storia degli Stati Uniti come un Franklin Delano Roosevelt alla rovescia. Roosevelt, sotto la spinta della grande crisi del 1929, aveva dato una vera svolta a tutto il sistema americano, poi rimasta. Sino a lui in gran parte l’assetto americano era stato caratterizzato da un federalismo detto, in dottrina, dualistico (per cui quel che competeva agli Stati membri non competeva al governo di tutta l’Unione, e viceversa), dalla politica economica e sociale ai diritti civili. Ma sotto la spinta della grande crisi economica, Roosevelt impose la programmazione dello Stato, il keynesismo, un forte interventismo dal centro promuovendo lavori pubblici in ogni Stato membro, protezioni sociali e diritti in funzione anticiclica, contro la crisi economica, e contro la fame connessa e improvvisa di grandi masse. Oggi l’avrebbero preso per comunista, ma servì per la ripresa di quel grande paese, poi trascinato nella gloriosa Seconda guerra mondiale, che oltre a liquidare il nazismo e i suoi alleati nel mondo rese inequivocabile e definitivo il ruolo di prima potenza mondiale dell’America.

Ora, sebbene non si possa sapere come andrà a finire, si è scatenato un processo inverso. Perciò Trump, a mio parere, va visto come un de-democratizzatore, che non può, neanche lui, superare il federalismo liberaldemocratico del sistema, ma è in grado di mutarlo profondamente in senso sovranista, liberista e imperialista: in sostanza non fascista, ma fascistoide (anche se pure questo lì passerà, o lo si può ragionevolmente sperare, ma senza poterne essere totalmente certi). Naturalmente il tutto è accompagnato da una dose massiccia, sino alla deportazione degli immigrati clandestini, di xenofobia (come in ogni nazionalismo dal Novecento). Si aggiunga il fenomeno nuovo epocale – esasperato dal capitalismo finanziario all’attacco a livello planetario tramite rivoluzione elettronica, automazione e Intelligenza Artificiale – di un legame diretto, intimo, tra straricchi e potere politico, quasi con collaborazione aperta tra lo statista più potente del mondo, Trump, e l’uomo più ricco del mondo, Elon Musk (e amici suoi), che persino per il politologo sarà molto interessante seguire, per vedere se sarà il più potente politicamente tra i due (il Presidente) a dominare il più potente economicamente (il super-capitalista), o se i due seguiteranno a cooperare alla pari; oppure se sarà il politico a dover sottostare all’economico. Per ora mi pare che pur avendo l’uomo più ricco del mondo un ruolo esorbitante, il bastone del comando sia del politico, alias di chi, abbastanza sovranamente in quel sistema, governa il sistema (Trump). Ma il processo è aperto, con tante manifestazioni dell’uomo più ricco del mondo volte a sostenere i partiti dell’estrema destra europea, su cui qui non mi trattengo perché mi interessa il tema delle maggiori guerre di significato planetario.

In materia, il nuovo Presidente americano, Trump, prova a fare proprio le cose che aveva detto: il che non dovrebbe sorprendere, tanto più in un mondo americano in cui il politico che mente è considerato un uomo inaffidabile e non stimabile. Aveva promesso di intervenire subito per porre fine alla guerra in Ucraina, che a suo dire se fosse stato lui Presidente tre anni fa non sarebbe neppure cominciata; e, dopo intensi contatti informali, il 12 febbraio c’è stata una telefonata di un’ora e mezza tra Trump, che ha chiamato, e Putin: telefonata ritenuta dalle due parti molto fruttuosa, in cui i due sembra si siano trovati concordi sul fatto che la Russia si terrà la Crimea e il Donbass, e l’Ucraina non entrerà nella NATO, dopo trattative in cui verrà coinvolta pure l’Ucraina di Zelensky, che però è stato chiamato da Trump solo dopo il dialogo con Putin. Trump si è rammaricato per l’esclusione di Putin dal consesso dei grandi Paesi del G8; ha accolto l’idea di visita di Stato reciproca, lui in Russia e Putin in America. Ha auspicato pure un incontro a tre, come fossero i grandi a Yalta, tra sé stesso, Putin e il Presidente della Cina, Xi Jinping; e auspicato trattative per la pace in Ucraina, che pare si svolgeranno nell’Arabia Saudita, a Riad, sotto i buoni auspici di quel principe Mohammàd bin Salman, amico laudato non proprio disinteressatamente come iniziatore di un nuovo Rinascimento del suo Paese da Renzi tempo fa, con gran scandalo dei suoi detrattori. Nulla capita a caso, il ruolo dell’Arabia Saudita nel Medio Oriente in fiamme non è secondario.

Risuonano i lamenti dei fautori della lotta contro Putin sino alla vittoria finale, compresa l’Unione europea, che non ha avuto in questi conflitti peso politico alcuno, pure sostenendo a parole, e per quel che poteva in armi, l’Ucraina aggredita.

Ora io ho avuto e tanto più mantengo, su ciò, nella mia totale indipendenza di sinistra, un atteggiamento “non allineato”. Io come intellettuale provo – utilizzando la mia indipendenza di sinistra ormai più che trentennale – a dire sempre la mia sui problemi, ora trovandomi concorde con la destra della cosiddetta sinistra e ora con la sinistra della cosiddetta sinistra. Così, ad esempio, mi riconosco nelle lotte sociali per far avanzare le classi subalterne, ma al tempo stesso sostengo l’urgenza di un sistema elettorale maggioritario di collegio e a livello nazionale a doppio turno, con premio di maggioranza, e indicazione del premier sulla scheda, e nell’eterno conflitto tra Israele e i palestinesi sono per la nascita di uno Stato palestinese in pace con Israele, ma sono, dall’inizio, per una politica di trattativa con la Russia di Putin, sulla base che ora emerge, e che però avrebbe potuto essere costruita da noi europei, sostenendo l’Ucraina, ma non in modo incondizionato, bensì in una visione globale da “buoni europei” democratici, idealisti ma con i piedi per terra.

Giancarlo Pajetta sosteneva che non c’è niente che piaccia di più a un uomo politico del poter dire: “io l’avevo detto”. Sì, io nel mio piccolissimo ambito posso dire che io l’avevo detto.

Pochissimi giorni dopo l’inizio della guerra (cominciata il 22 febbraio 2022), il 6 marzo 2022 io pubblicavo qui l’articolo: Umiliati e aggressori: i “Russi” contro l’Ucraina. Lì, verso la fine del mio ragionamento, dicevo: “Sembra evidente che sia assai meglio trattare, trattare e ancora trattare, andando incontro all’aspirazione della Russia in Crimea e nelle aree russofone, frenando l’espansionismo imperiale di Putin, ma anche la volontà dell’Ucraina di non mollare nessun’area al ‘nemico’.

Approfondivo ciò in diversi articoli, specie in Note e riflessioni sulla guerra russo-ucraina del 2022/2023, del 2 gennaio 2023, due anni fa, in cui notavo: “Dobbiamo, insomma, comprendere (o “bilanciare”) la necessità di sostenere l’Ucraina per garantirne sovranità e indipendenza, e la necessità sia della pace nel mondo che della salvaguardia dell’Unione Europea (…). Sostenere l’Ucraina, in materia di fonti energetiche ha costi altissimi per l’Europa, e non per gli Stati Uniti, che il gas lo esportano. (…) Ormai l’Ucraina, come la Russia, debbono dire qualcosa di serio per arrivare alla pace. Ad esempio l’Ucraina rinuncia o no alla Crimea? L’Ucraina è pronta a riconoscere che i paesi del Donbass dicano tramite referendum con controllo internazionale se vogliono essere nell’Ucraina o stati indipendenti o della Russia? Possono garantire il genere di autonomia da garantire in tali aree? E così via. Se invece si insiste, come fa Zelensky, nel voler tornare ai confini del 1991 (notizia del primo giorno del 2023), si opta per una lunga guerra che, a mio parere, non potrà finire con la mera sconfitta della Russia neanche se dovesse cadere Putin.

Mi sembra chiaro che assunta appunto dall’inizio, o almeno due anni fa, questa posizione avrebbe dato un ruolo decisivo all’Unione Europea, persino in caso di scacco, mentre ora ne accentua la sconfitta e la marginalità, e accresce la gravità dell’incombente rovina politica di Zelensky. Egli, infatti, perderà Crimea, Donbass e non entrerà mai nella Nato. Ma questo non accade perché il generale pazzo (qui Trump), come in certi film western, o il tiranno brutto e cattivo, abbia preso il potere, ma per una ragion di stato vecchia come il mondo, e che non praticata ha sempre portato rovina. Non a caso ieri un importante ex consigliere di Obama, Charles Kupchan, diceva, a proposito di Trump che ha chiamato Putin, che “quella telefonata avrebbe dovuto aver luogo tra Biden e Putin”, ma che mentre Trump è un realista, Biden aveva “peccato di ideologia”.

Paolo Valentino, in un eccellente articolo, pure molto critico con la Russia – Gli imperi moderni, sul “Corriere della sera” del 12 febbraio – ha spiegato tutto benissimo, senza giustificazionismo alcuno: “Il cruccio [di Trump] è la Cina e anche per questo vuole accordarsi con Putin, capo di un impero fatto solo di armi atomiche e materie prime, un modo per allentare l’abbraccio asfissiante che Xi Jinping, convitato di pietra di questa partita, esercita sul leader del Cremlino. Accordarsi su cosa? Intese per ridurre i rischi di una guerra nucleare, per esempio. Oppure per sfruttare insieme i nuovi corridoi commerciali e le possibilità di estrazione che lo scioglimento dei ghiacciai apre all’Artico.” In sostanza il vassallaggio economico e militare della Russia nei confronti della Cina è ritenuto da Trump più pericoloso del ridimensionamento dell’Ucraina.

Questo si può capire. Per contro è molto inquietante quel che Trump ha detto a Netaniahu su Gaza, e che ha poi confermato sino a ieri, quando ha affermato che i palestinesi dell’area debbono andarsene; che Gaza può prendersela l’America e farne una sorta di area di villeggiatura al mare per tutti, splendida e ricca. Parlare di cacciata di un popolo (il che sa molto di pulizia etnica), impossessandosi del suo paese, in complicità manifesta col governo israeliano, e oltre a tutto dopo un massacro di cinquantamila innocenti in maggioranza donne e bambini, fa veramente senso. Tuttavia, per quanto il discorso sia persino moralmente assai grave, non è frutto di pazzia. Come ogni mercante dice cento per avere cinquanta o anche meno, o per coprire “altro”. Il punto chiave è che in tal modo assai brutale e cinico dice a tutto il mondo che dei palestinesi, e del loro diritto a stare almeno a casa loro, ai suoi Stati Uniti non potrebbe importare di meno. Da quelle parti, in Medio Oriente, si parla persino di un possibile bombardamento israeliano dell’Iran tra alcuni mesi. Sono tutti sintomi più inquietanti che mai.

Questo sarebbe proprio il momento per l’Europa di farsi Stato di Stati, mentre invece crescono i nazionalismi divisivi e nessuno Stato rinuncerà mai volontariamente all’esclusiva sulle forze armate nazionali, o sarà sempre molto difficile (anche se nell’Unione Europea sarebbe il reale che si fa razionale). Può solo darsi che via via europei e russi, invece di seguitare ad essere utili idioti di grandi potenze esterne o specifiche, via via tornino a dialogare. Ad esempio in futuro, se una Russia tornata a essere un’entità forte si darà un assetto almeno compatibile con la libera Europa (liberale davvero anche se non democratico nel senso del modello “Westminster”), potrà essere comune interesse un grande dialogo, che liberi Russia e Europa dal loro Grande Fratello, chiunque sia costui. Non era tanto fesso De Gaulle, pur fermo all’Europa “delle patrie” (mentre ci vorrebbero gli Stati Uniti d’Europa), quando parlava di un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali. Solo che questo non sarà mai possibile se il Medio Oriente, invece di pacificarsi, andrà ulteriormente in fiamme. C’è poco da stare allegri.

(tratto da: Città futura online, 14/02/2025)

image_pdf

Lascia un commento