In ricordo di Emilio Gabaglio di Antonio Lettieri

 

Protagonista dell’”ipotesi socialista” delle Acli, poi alla Cisl, poi per molti anni alla guida dei sindacati europei. Emilio era tra i fondatori, insieme con Pierre Carniti, di Eguaglianza & libertà

La sua esperienza politica aveva origini lontane. Ma l’aspetto che lo distingueva era la coerenza della sua riflessione e della sua posizione come dirigente ai diversi livelli ai quali fu chiamato. Era molto giovane quando fu eletto presidente delle ACLI. Il suo pensiero non era perfettamente ortodosso. Subì molte critiche e, in sostanza, gli chiedevano di essere ligio all’insegnamento formale ecclesiastico. La sua riflessione era considerata estranea rispetto al pensiero cattolico allora dominante. Aveva ancora poco più di trent’anni, ma il suo ruolo ne aveva distinto l’autonomia della riflessione e il modello di direzione. Durante il mandato del suo predecessore, Livio Labor, l’associazione aveva dichiarato la sua autonomia in politica (cioè la fine del collateralismo con la Dc). Sotto la guida di Gabaglio, con il convegno di Vallombrosa del 1970, le Acli si dichiararono per una “ipotesi socialista”.

Quando lasciò il ruolo di dirigente delle ACLI fu, dopo qualche tempo, assunto dalla CISL, allora diretta da Bruno Storti, come responsabile della politica internazionale. Dopo qualche anno fu eletto nella segreteria della Cisl. Era il tempo in cui Pierre Carniti dirigeva la FIM, la Federazione dei metalmeccanici, e Emilio aveva con lui un rapporto di stretta amicizia.

La posizione di Emilio rimaneva al tempo stesso distaccata dalla politica corrente per la quale avrebbe potuto essere eletto membro del Parlamento, quando il Partito comunista diretto da Enrico Berlinguer aveva aperto le sue liste a esponenti di diversa provenienza politica. Emilio era entrato nel Partito socialista, distanziandosi dalla Democrazia cristiana. Aveva scelto il ruolo di dirigente del sindacato.

Non era passato molto tempo quando, considerate le sue capacità di direzione, Gabaglio fu candidato e eletto alla direzione del sindacalismo europeo. Era un balzo in avanti importante in una fase di particolare rilevanza caratterizzata dalla direzione della Comunità europea da parte di Jacques Delors. Emilio si distinse per le sue capacità. Spesso Delors, che aveva stabilito un rapporto amichevole con Emilio apprezzandone le qualità, partecipava alle riunioni internazionali del sindacalismo europeo.

Non erano tempi ordinari. Si prospettava un nuovo ruolo dell’Unione europea dopo che erano entrati, o si accingevano a entrare, i sindacati dell’Europa orientale essendo chiusa l’esperienza del socialismo di impronta sovietica. Emilio si distingueva per la sua capacità di direzione tra sindacati nazionali che avevano una diversa esperienza. Ammirato per le sue qualità di direzione e mediazione, più volte rieletto, rimase alla presidenza della CES fino al 2003.

Erano anni di profondi cambiamenti nella politica europea. La Germania diretta da Helmut Kohl era stata impegnata nell’unificazione del paese. La Francia, prima governata da François Mitterrand, alla fine de decennio era passata sotto il governo socialista di Lionel Jospin. L’Italia, che era riuscita a entrare nell’Unione europea superando le difficoltà che avevano caratterizzato gli anni Novanta, era diretta dal secondo governo di Giuliano Amato. Emilio lasciava il sindacalismo europeo in un quadro coerente con quello per il quale si era impegnato. Ma sappiamo che le cose sono andate in modo diverso.

Gli anni che seguirono furono dominati dalle difficoltà che riducevano i livelli di crescita e di occupazione. Gerard Schröder alla testa della Germania aveva scelto, dopo i primi anni di cancellierato, una politica restrittiva che si rifletteva sull’insieme della politica europea.

Emilio non era più alla testa del sindacalismo europeo che subiva con scarse capacità di reazione una poltica di sostanziale stagnazione che si rifletteva negativamente sui livelli di occupazione e sui salari. Iniziava una nuova fase della politica europea.

La Commissione europea aveva come obiettivo centrale la riduzione dei disavanzi di bilancio, mentre sarebbe stata necessaria una maggiore spesa per investimenti pubblici e per il sostegno dell’occupazione e del tenore di vita delle classi lavoratrici. La crisi economica globale intorno al 2008-09 si rifletteva negativamente sull’Europa. il sindacato era in difficoltà a livello nazionale ed europeo.

Gabaglio rimaneva convinto che l’Unione europea poteva (doveva) essere una tappa importante nello sviluppo dell’economia. Ma la politica europea seguiva un tracciato diverso che ne accresceva le difficoltà. Il governo italiano non riusciva a districarsi nell’incerta politica europea.

L’Unione europea aveva paradossalmente adottato una linea in contrasto con quella praticata dai maggiori paesi con economia di mercato. Gli Stati Uniti, dove la crisi era iniziata, ripresero la crescita già intorno al 2010 sotto la presidenza di Barack Obama. In Europa la recessione, particolarmente violenta in Italia e Spagna, contribuiva all’aumento del debito, della disoccupazione, della riduzione dei salari.

La Commissione europea continuava a fissare la riduzione del debito pubblico nazionale al 60 per cento mentre la crisi lo raddoppiava o triplicava. Molti anni dopo assistiamo alle conseguenze di una politica europea sostanzialmente insensata. Gli Stati Uniti hanno lasciato crescere il debito fino al 120% del reddito nazionale continuando ad aumentare la spesa pubblica. Il Giappone, la terza economia a livello globale, ha un debito pubblico del 260 per cento, più del quadruplo di quello perseguito in Europa.

Emilio Gabaglio intravedeva con chiarezza gli errori della politica europea. Verso la fine di un suo libro di memorie aveva scritto sul rischio che correva l’Europa dominata dalla “economia di mercato egemonizzata dalle ricette neoliberiste”. Una politica che “farà scuola anche altrove, provocando costi sociali, marginalizzando il ruolo dei sindacati (“Il sindacato senza frontiere”, pubblicato nel 2021). La sua vocazione era europeista, ma coglieva con chiarezza i limiti e gli errori della politica corrente.

Eravamo soliti incontrarci con Emilio nella redazione di Eguaglianza & Libertà  (1) e di Insight e la sua posizione, lucidamente espressa, indicava i limiti e gli errori dell’andamento effettivo della politica europea, sostanzialmente dominata dalla Commissione. Nelle riunioni segnate da una riflessione aperta, priva dei confini di partito, il suo discorso aveva il pregio di una lunga e libera esperienza di una persona che era stata al centro della politica europea.

Nei tempi più recenti l’orizzonte si europeo si era oscurato. La vocazione europeista non coincide con una politica il cui esito è il sottosviluppo. Il passare del tempo dava ragione a Emilio. Era convinto assertore del ruolo che l’Europa poteva giocare nell’economia globale, ma ne intravedeva con chiarezza i limiti.

Emilio conservava la vocazione europeista, che aveva lungamente coltivato, ma con una visione chiara dei limiti e degli errori della politica corrente.

La sua cultura e la sua esperienza gli permettevano di dare valutazioni e giudizi equilibrati. Le sue valutazioni e i giudizi che alimentavano la nostra comune ricerca ci mancheranno mentre si delineano nuovi problemi in Europa e, più in generale, a livello globale.

(tratto da: www.labour.it)

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