Israele verso un proprio cataclisma di Yorgos Mitralias

 

Nel luglio 2021, commentando gli avvertimenti profetici formulati da Albert Einstein già nel 1948 sul futuro disastroso di Israele, abbiamo concluso il nostro testo con quella che era un’osservazione e, allo stesso tempo, una previsione:

Purtroppo, tutto dimostra che Einstein aveva di nuovo ragione. Con gli inglesi ormai un lontano ricordo, sono infatti gli epigoni delle “organizzazioni terroristiche” del 1948 a condurre ineluttabilmente Israele – da loro governato – verso la “catastrofe finale”! Un Israele che ora può essere più potente e arrogante che mai, ma che allo stesso tempo sta attraversando la più grande crisi esistenziale della sua storia, marcendo e disintegrandosi dall’interno. Il conto alla rovescia è già iniziato e l’ora della verità si avvicina….

Forse più rapidamente di quanto avessimo previsto, tutto indica che, nella primavera del 2024, l’ora della grande verità sullo stato ebraico non solo si avvicina, ma è già arrivata, è qui e si sta svolgendo sotto i nostri occhi.

E le previsioni non sono affatto ottimistiche. Nello stesso Israele si cominciano a sentire le prime voci che esprimono dubbi sulla vitalità di quello stato. Come, ad esempio, quelle degli autori del testo dal titolo eloquente “Di questo passo, Israele non raggiungerà il suo centesimo compleanno”, che negli ultimi giorni è stato riprodotto e discusso come nessun altro dentro e fuori Israele. Una delle ragioni di questo shock è che i due autori, Eugene Kandel e Ron Tzu, sono entrambi membri di spicco dell’establishment governativo israeliano, il primo dei quali ha diretto per anni il Consiglio economico nazionale di Netanyahu.

La seconda e più importante ragione è che il documento ritiene che, a meno di un radicale cambiamento di rotta da parte di un establishment politico radicalmente diverso, la crisi esistenziale che gli israeliani stanno iniziando a sperimentare porterà alla fine di Israele, che significherà necessariamente anche la fine del “sogno sionista”…

Non è un caso che, proprio nel momento in cui si parla tanto di “soluzione a due stati” e lo stato palestinese comincia ad essere riconosciuto anche dai paesi membri dell’Unione Europea, nello stesso Israele si levino voci che parlano di… “soluzione a tre stati”. Infatti, accanto allo stato palestinese di domani, essi ritengono che esistano già – de facto – non uno, ma due stati ebraici. Questo è esattamente ciò che ha detto l’ex diplomatico Alon Pinkas in un recentissimo articolo su Haaretz:

Ci sono ora due stati qui – Israele e Giudea – con visioni opposte di ciò che una nazione dovrebbe essere. C’è un ‘elefante nella stanza’ e non è l’occupazione, anche se l’occupazione è la causa principale. Questo “elefante nella stanza” è il fatto che Israele è gradualmente ma ineluttabilmente diviso tra lo stato di Israele – high-tech, laico, orientato verso l’esterno, imperfetto ma liberale – e il “Regno di Giudea”, una teocrazia suprematista ebraica non democratica, isolazionista e ultranazionalista.

Naturalmente Pinkas, che appartiene al primo, a questo Israele moderno “aperto al mondo esterno”, tende a idealizzarlo ed evita di trarre le sue conclusioni fino in fondo. Ma altri lo fanno, in particolare il veterano della sinistra israeliana antisionista Michel Warschawski, che alla domanda se vede la possibilità di una guerra civile in Israele risponde così:

Mi è stato chiesto spesso dei rischi di una guerra civile: ho sempre detto che non era possibile. Oggi ne sono molto meno sicuro. E non è legato a Gaza. Non ci sono semplicemente due Israele sociologici. Siamo di fronte a due progetti sociali inconciliabili. Con il governo più debole che abbiamo mai avuto alla guida del paese e Netanyahu incapace di controllare i suoi ministri, alcuni dei quali sono dei pazzi furiosi.

Riteniamo che Warshawski abbia ragione sia quando non esclude più la possibilità di una guerra civile in Israele, sia quando afferma che ciò non ha nulla a che fare con Gaza e con il genocidio in corso dei palestinesi. Il fatto è che lo spettro del genocidio e della guerra incombe su Israele e sulla sua società. Ma è anche un fatto che la grande, se non la stragrande, maggioranza dei cittadini israeliani, dei politici e dei loro partiti rimane indifferente alle incredibili sofferenze che il loro stesso stato sta infliggendo ai palestinesi, anche quando manifestano contro Netanyahu e talvolta si scontrano violentemente con la sua polizia.

Ad eccezione di alcuni piccoli gruppi di cittadini che perpetuano le vecchie tradizioni umanistiche e internazionaliste ebraiche dichiarando la loro solidarietà e il loro sostegno al popolo palestinese, la società israeliana non vuole sentire o vedere l’orribile tragedia che si sta svolgendo a pochi chilometri dalle sue città e dai suoi kibbutz, dimostrando la più mostruosa insensibilità di fronte al genocidio commesso dal suo stesso esercito e dal suo stesso stato.

Ed è per questo che si schiera – di fatto – anche con l’odiato Netanyahu, quando, ad esempio, la Corte penale internazionale osa emettere un mandato di arresto contro di lui, così come si schiera con lo stato israeliano quando alcuni paesi europei osano riconoscere lo stato palestinese…

Shlomo Sand, nel suo ultimo magnifico libro “Deux peuples, pour un etat?”, attribuisce questa mostruosa insensibilità e questo altrettanto mostruoso “patriottismo”, tra l’altro, al “lavaggio del cervello” a cui i cittadini di Israele sono sistematicamente e metodicamente sottoposti nel corso della loro vita per credere fermamente che è… volontà di Dio che tutti i territori occupati, da Hebron, Gerico e Betlemme a Gerusalemme, siano israeliani.

È dunque questa stretta relazione tra messianismo nazionalista e messianismo religioso – che non solo esisteva fin dall’inizio nel progetto sionista, ma che costituisce il pilastro ideologico centrale dello stato israeliano, soprattutto da quando il riferimento iniziale a un certo mitico “socialismo dei kibbutz” è stato “gettato nella pattumiera della storia” -, che ci ha portato ad osservare tre mesi fa che “questo attuale fervore sterminatorio nella società israeliana non sarebbe possibile se non fosse il prodotto e il culmine della logica interna del progetto fondatore dello stato ebraico, il progetto sionista!”.

È per tutti questi motivi che oggi assistiamo a sviluppi che sarebbero stati del tutto inimmaginabili alla nascita di Israele. Come, ad esempio, l’alleanza del governo israeliano con noti antisemiti di estrema destra o addirittura con leader neofascisti di quella “internazionale nera” in fieri, come l’italiana Meloni, la francese Le Pen, l’argentino Milei, l’ungherese Orban, il portoghese Ventura e molti altri provenienti dall’Europa e dall’America del Nord e del Sud, che si sono riuniti qualche giorno fa a Madrid sotto l’egida di Vox, i nostalgici di Franco.

Proprio a quel raduno madrileno di questa marmaglia fascista, che si è trasformato in una manifestazione a sostegno di Netanyahu, il ministro israeliano per la Diaspora, Amichai Chikli, ha partecipato e preso la parola per ringraziare Vox della sua opposizione alla decisione del governo spagnolo di riconoscere lo stato palestinese (vedi il tweet qui sotto): tutto ciò conferma ciò che sappiamo da tempo: che Netanyahu e l’estrema destra israeliana sono diventati il simbolo e la bandiera dei razzisti, dell’estrema destra e dei neofascisti di tutto il mondo, la maggior parte dei quali continua a essere… antisemita senza riserve.

Il progetto sionista e, al tempo stesso, lo stato ebraico di Israele, stanno dunque chiudendo il cerchio, in un clima non solo di crisi diffusa, ma anche di diffusa decadenza morale. E non è un caso che il suo elemento fondante basilare, il razzismo nei confronti dei palestinesi, scorra oggi nelle sue vene come un veleno, al punto che i ministri Gvir e Smotrich e i loro amici coloni e altri parlano della necessità di espellere (con la violenza) dalla terra della loro mitica Grande Israele (Eretz Israel) non solo i palestinesi ma anche i cittadini ebrei israeliani che non condividono le loro opinioni e scelte barbare e disumane.

Concludiamo quindi come abbiamo iniziato: è ormai chiaro che il prezzo che l’Israele sionista sta pagando per aver più che mai esplicitato la sua arroganza e la sua onnipotenza, come misurato dall’ecatombe di morti civili palestinesi a Gaza, è il suo stesso decadimento morale e la sua stessa decomposizione sociale e politica. Con o senza guerra civile, la crisi finale di Israele promette di essere cataclismatica.

(foto: Rafah, 24 maggio 2024)

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