SE MANCA LA GIUSTIZIA SOCIALE VIENE MENO LA LIBERTA’ di Renzo Penna*

 

La data del 25 aprile è simbolo dell’Italia libera e liberata, dopo venti mesi di Resistenza e uno straordinario tributo di sangue e di dolore. Fine dell’occupazione tedesca. Fine del fascismo. Fine del conflitto. Si abbatteva lo Stato fascista, ma anche il vecchio Stato liberale, e si avviava la costruzione di un nuovo Stato e di una nuova società. Il 2 giugno del 1946 il popolo sceglieva la Repubblica, votavano per la prima volta anche le donne e con la Costituzione del 1948 nasceva l’Italia democratica che si fonda sul lavoro e che ripudia la guerra.

Dovrebbe essere questa la festa più importante dell’anno, nella quale tutti si riconoscono e celebrano la riconquistata democrazia. Perché cosi non è? Come mai può accadere che, in previsione del 25 aprile, ad uno scrittore, uno storico noto per il suo impegno democratico, sia impedito di intervenire sul significato della festa in una rete della televisione pubblica?

A proposito dei motivi che hanno impedito l’intervento di Antonio Scurati mi sono fatto questa opinione: ha particolarmente preoccupato i solerti servitori dell’attuale Governo in Rai il ricordo dell’assassinio di Giacomo Matteotti ad opera di sicari fascisti il 10 giugno 1924, 100 anni fa, assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini che ne era, naturalmente, informato. Mussolini, sosteneva nel suo scritto Scurati: “Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania”. Queste parole hanno preoccupato perché contrastano la rilettura della storia che esponenti dell’attuale Governo e della forza politica della presidente del Consiglio portano avanti. Costoro vogliono infatti affermare che il Fascismo ha fatto anche “cose buone” e limitano la condanna del regime solo alle leggi razziali del 1938 e all’errore, così viene detto, d’essere entrato in guerra con la Germania nazista e itleriana.

Il delitto Matteotti mette in discussione questa rilettura della storia. Il Fascismo sin dalle origini è stato un movimento che si è basato sulla violenza: contro le Camere del lavoro, i sindacalisti, i rappresentanti delle leghe, delle  cooperative. E ha colpito e ucciso i suoi avversari: l’onorevole Giuseppe Di Vagno nel 1921 nella sua Bari, don Minzoni nel 1923 in quel di Ferrara, Giovanni Amendola più volte brutalmente aggredito nel ‘23 e ’24 a Roma, così come Piero Gobetti a Torino, Antonio Gramsci relegato per anni in carcere, o inseguiti e uccisi all’estero, come i fratelli Rosselli nel 1937 in Francia.

La campagna elettorale del 1924, le elezioni che hanno portare Mussolini al governo, sono state contrassegnate da ripetute aggressioni squadriste, numerosissimi episodi di violenza, che hanno causato oltre cento vittime, Con l’impossibilità in alcune regioni di presentare le liste e  la scelta in altri territori di astenersi da parte della sinistra.

Nella situazione politica che stiamo vivendo – sia a livello nazionale che internazionale – l’ANPI è fortemente preoccupata, ritiene vada lanciato un allarme. Sono in discussione la qualità della nostra democrazia, la libertà, l’uguaglianza, il lavoro, la solidarietà, la pace, cioè gli elementi e i valori di base della Repubblica democratica fondata sulla Costituzione e nata dalla Resistenza.
Brevemente tre questioni

– La prima – C’è un governo che comprende una destra estrema che ha le sue radici nel ventennio fascista e nelle sue nostalgie e intende cambiare la Costituzione. Da un lato con uno solo al comando – il cosiddetto “premierato” – che svilisce il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica – dall’altro con un Paese frantumato in tante Regioni in competizione fra di loro, con diritti diversi per i cittadini – attraverso l’ “autonomia differenziata”. Una destra che in vari modi tende a reprimere qualsiasi dissenso, qualsiasi protesta, soprattutto, dei giovani e del mondo del lavoro, una destra aggressiva

– La seconda – C’è la guerra, e se ne parla spesso in modo irresponsabile, come se fosse una dura necessità o, peggio, una nuova e accettabile normalità. Mentre il mondo intero si riarma come prima dei due conflitti mondiali, si dichiara possibile una guerra convenzionale ad alta intensità in Europa. Siamo alla follia. Hanno ragione il Papa, le cui suppliche sono accolte con fastidio, e il Presidente Mattarella quando recentemente ha sottolineato che il compito del nostro Paese è: “costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo”.

– E come terza la questione sociale, in un contesto nel quale la finanza prevale sull’economia e sulla politica, aumentano le diseguaglianze e la ricchezza si concentra in poche mani. Ci sono milioni di poveri, colpevolizzati da questo governo, dilaga il lavoro povero, precario e privo di diritti, causa prima degli incidenti e delle stragi sul lavoro. Si continua a tagliare la sanità e a deprimere la scuola pubblica, con l’intera Europa che rischia la recessione economica e prospetta una nuova austerity. Condizione che determina una grande solitudine sociale, il futuro viene visto, in particolare, dalle giovani generazioni come una minaccia. Anche per il disinteresse dei governi nei confronti degli interventi indispensabili per contrastare i cambiamenti climatici e lo sfruttamento della terra.

E il fatto che, ormai, il 50% dei cittadini italiani non si reca più alle urne perché sfiduciato, perché non ritiene che i risultati delle elezioni riguardino le proprie condizioni rappresenta un pericoloso indebolimento della democrazia, dei suoi valori. Su cui troppo poco si riflette.

Come ha sovente ammonito Sandro Pertini se manca la giustizia sociale viene meno anche la libertà e l’articolo 3 della Costituzione: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…” non basta declamarlo, ma occorre realizzarlo…e di questa mancanza non possiamo certo accusare solo l’attuale Governo.

In questo contesto difficile è importante tornare a ricordare l’insegnamento e il sacrificio dei nostri Partigiani. La guerra era stata persa rovinosamente, senza la Resistenza il Paese avrebbe fatto la fine della Germania, divisa in due dai vincitori, o del Giappone con la Costituzione scritta dagli americani.

I Partigiani hanno ridato al nostro Paese onore e dignità.

Come sappiamo non sono stati moltissimi, concentrati, dopo l’8 settembre ’43, nelle regioni del centro-nord. Il libro d’onore della città di Alessandria ne ha, ad esempio, censiti circa 1700. Ma sono stati decisivi per la Liberazione insieme agli scioperi del ’44 nelle fabbriche del Nord.

Per questo la ricerca della Biblioteca, dell’Anpi di Rivalta Bormida, presentata due anni fa, è stata un omaggio doveroso a coloro che, nati o residenti qui, negli anni della guerra si sono uniti alle lotte partigiane. 80 schede per 80 vite, tra cui 7 carabinieri, un partigiano poi deportato, un decorato e due donne. 

E ricordiamo fra questi, il sacrificio dei partigiani caduti: Paolo Bocca e Alexander, un militare russo della zona di Minsk.

Paolo, giovanissimo rivaltese di appena vent’anni, entra a far parte del movimento partigiano a fine dell’estate del 1944, partecipando alle prime azioni di guerriglia inquadrato nella 79^ brigata Garibaldi “Viganò” – distaccamento “Rino Mandoli” con il nome di battaglia “Barbablù”.

Qui conosce Alexander, fatto prigioniero dall’A.R.M.I.R. e tradotto in campo di concentramento in Italia. Fuggito dopo l’8 settembre, non riesce ad evitare il rastrellamento in forze e concentrico di tedeschi e mongoli nelle zona tra la Bormida – Orba e lo stradale Acqui – Ovada, in seguito all’arresto delle operazioni militari alleate sul fronte italiano nel terribile inverno del 1944.

Alexander, “Barbablù” ed un altro partigiano rivaltese, Pierino Romano “Leopardo”, sono catturati il 28 dicembre ’44. Mentre “Leopardo” riesce fortunatamente a fuggire, Paolo Bocca ed Alexander vengono trasferiti a Novi Ligure e dopo un sommario processo, barbaramente fucilati. Oggi “Barbablù” riposa nella cappella di famiglia a Rivalta Bormida vicino ad Alexander che, in un primo tempo, era stato tumulato nel cimitero di Novi Ligure. Il Comune di Rivalta ha da tempo dedicato una delle vie principali del paese a Paolo Bocca e la sezione locale dell’A.N.P.I. è intitolata ad entrambi i Martiri.

E a nome dei molti civili caduti nel secondo conflitto (il 30 aprile ci sarà ad Alessandria, nel quartiere Cristo, la cerimonia per le 239 vittime del primo bombardamento anglo-americano che ottanta anni fa ha colpito la città) ricordiamo anche una religiosa, Menatti Suor Clementina, nata in provincia di Asti e residente a Rivalta Bormida. ll 10 novembre 1944 suor Clementina venne raggiunta da una raffica di mitra che la uccide sul colpo.

Care/i cittadine/i,

E’ per l’insieme di queste ragioni che questo 25 aprile non può essere vissuto in maniera rituale.

Deve essere il giorno in cui si ritrova l’Italia antifascista e democratica, le famiglie, le donne, i giovani, ai quali va restituita una speranza vera di futuro, fatta di giustizia sociale, di un buon lavoro con una retribuzione sufficiente per una vita libera e dignitosa.

Costruiamolo insieme agli esempi del Paese migliore, stringiamoci attorno alla bandiera della Costituzione antifascista, la bandiera dell’Italia fondata sul Lavoro e che ripudia la guerra, la bandiera di coloro dal cui sacrificio sono venute le ragioni che hanno permesso la nascita di una nuova Italia.

A tutte e a tutti, Buon 25 Aprile!

Ora e sempre Resistenza

* Intervento pronunciato nel Comune di Rivalta Bormida nel corso della cerimonia del 25 aprile 2024

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