UNA RICONVERSIONE ECOLOGICA E UN’ISTANZA DI DECRESCITA di Mario Agostinelli*

 

La riconversione della centrale da 1980 Mw di Civitavecchia Torrevaldaliga Nord da carbone a rinnovabili costituisce un caso esemplare di conflitto da cui trarre valutazioni apprezzabili anche in ambito extraterritoriale. Da oltre cinque anni, attorno alla città dell’Alto Lazio si è aperto un nitido confronto tra le politiche previste dal Piano Energetico Nazionale – ancorato alla reiterazione di un modello centralizzato e sorretto da fonti fossili – e la riprogettazione del sistema di erogazione di elettricità sul territorio sulla base di un paradigma di sufficienza, decisamente alternativo a quello in atto. L’emergenza climatica, la salute della popolazione e la destinazione di nuova occupazione ad una maggior cura della biosfera, hanno fornito la spinta al rigetto di un nuovo impianto fossile, mentre hanno reso desiderabile un progetto di riconversione. Un’alternativa a cui ha rivolto la sua attenzione una coalizione sociale che si è saputa saldare alle rappresentanze politiche con modalità autonome e contenuti netti e, nella sostanza, vincolanti. E’ del tutto improbabile che lo stesso quadro internazionale, regionale e locale, pur in mutazione, possano invertire la rotta di una soluzione al phase-out dal carbone che ha nella sostenibilità ecologica e sociale il suo punto di forza. Dentro questo processo, altamente conflittuale e perciò per nulla scontato, si è consolidata una convergenza ed una sinergia di forze provenienti anche da dinamiche locali già attive, che potrebbe, per prima in Italia, perseguire un’esperienza di effettiva decrescita della domanda di energia. Sul lato dell’offerta, poi, assisteremmo ad una ridotta densità di potenza complessiva, in seguito alla riconversione di un insediamento storico altamente inquinante in fonti di produzione elettrica decentrata di natura fotovoltaica ed eolica.

Va subito rilevato come la prevista sostituzione della vecchia centrale a carbone con un impianto ancora centralizzato, alimentato a gas a ciclo combinato da 1680 MW, così come annunciato da ENEL addirittura sulle pagine del quotidiano locale con la compensazione di un parco pubblico al posto dell’estesa area del carbonifero, abbia non solo trovato una cosciente e documentata opposizione da parte dei comitati ecologici locali, ma abbia  impegnato un vasto fronte – da studenti ad insegnanti, a ricercatori, a movimenti, sindacati, forze politiche e sociali – a formulare una risposta alternativa su tutto l’arco di questioni attinenti all’impiego di energia. Così, la discussione si è spostata, dapprima, sulla disponibilità di ricorrere all’impiego di una potenza rilevante e diversificata di rinnovabili; in seguito, sulla disponibilità di un congruo stoccaggio di elettricità in una zona critica dell’Alto Lazio con un porto di primaria importanza come Civitavecchia; infine, sulla prospettiva  che si apriva al criterio di sufficienza, con cui stabilire la destinazione dei consumi elettrici in base a modelli di riferimento come le comunità energetiche e la mobilità collettiva. Naturalmente, uno scontro di proporzioni tanto rilevanti, sia ai fini della conversione ecologica che del bilancio occupazionale, presuppone una presa di coscienza larga e determinata della popolazione del territorio in tutte le sue espressioni, anche culturali.

Fin dall’inizio della vertenza, l’obbiettivo dichiarato è rimasto quello che la cessazione della produzione elettrica a carbone non desse adito ad una reiterazione di consumi di combustibili fossili, ma fosse compensata, oltre che dalla forte crescita di fonti rinnovabili, anche da un piano di interventi infrastrutturali (fatti di generazione flessibile e decentrata, reti e sistemi di accumulo, integrazione di moduli) per far sì che la trasformazione mantenesse  – e addirittura migliorasse – i criteri di sicurezza e di stabilità del sistema energetico attuale, mitigando drasticamente il danno ambientale.

NASCITA E SVILUPPO DEL PROGETTO: IL MIO RACCONTO

Torrevaldaliga Nord staziona vicino al mare dagli anni ‘60. Ha quindi poco meno della mia età ed ha emesso dai suoi camini quantità molto rilevanti di CO2 ed inquinanti addosso ad almeno tre generazioni: non a caso, il territorio circostante si posiziona tra i primi in Italia per mortalità e morbosità per tumore. Di ciò ragionavo mentre raggiungevo per la prima volta Civitavecchia in un Luglio di cinque anni fa, invitato dai Comitati locali (Città Futura e Comitato S.O.L.E) per una relazione sull’inquinamento da combustione di fossili. Il cielo era terso e si fondeva col Tirreno quando la ferrovia litoranea lambiva le spiagge. Mi aveva colpito l’improvvisa comparizione della enorme mole del deposito carbonifero prima del doppiaggio del piccolo capo che nasconde la città, mentre la centrale a carbone mi avrebbe impressionato di più la sera, con le sue luci che l’avvolgevano di molti colori ed un vapore quasi colorato che si disperdeva nell’aria.

Entrato in una saletta affollatissima, dove si tenne un dibattito con interventi spesso in contrasto tra loro, non avrei certo immaginato di poter far parte, per tutti gli anni successivi e fino ad oggi, di una vertenza sempre più matura e coraggiosa, a dimensione popolare e a valenza fortemente politica, non senza qualche spunto e guizzo di immaginazione, persino temerari, pur di uscire dalla prigione della CO2.

La mia provenienza sindacale, successiva ad una permanenza come ricercatore all’ENEA, incuriosiva, anche perché, da pensionato della CGIL, ero diventato presidente dell’Associazione “Laudato Si’, un’alleanza per il clima, la cura della Terra e la giustizia sociale” in stretto contatto con la Casa della Carità di Milano.

Il mio ruolo poteva essere quello di coinvolgere esperti, ricercatori, il sindacato e l’associazionismo con cui tengo contatti, per affrontare la scommessa sulla base di una sensibilità manifesta per l’ecologia integrale. Senza dimenticare che essa, pur ritenuta da Bergoglio un punto fermo per la società futura, non faceva ancora breccia nei gruppi dirigenti e politici del territorio e, tantomeno, tra i credenti, cui sono estraneo. Quindi, occorreva tendere una corda tra la società, la politica e le istituzioni, facendo appello anche ai corpi intermedi e ad un interesse intergenerazionale ben manifestato da gruppi attivi di giovani studenti.

Per le prospettive di politica industriale nazionale, la questione di Civitavecchia assomiglia a quella sprecata nel settore della mobilità nei primi anni 2000 e che avevo direttamente vissuto nella mia esperienza da sindacalista. Allora la crisi Alfa Romeo aveva fatto terra bruciata intorno ad un sindacato che unitariamente chiedeva la riconversione radicale verso motori non più a gasolio o benzina, ma alimentati ad idrogeno e orientati ad un “Piano di Mobilità Sostenibile” per la Lombardia. La Fiat, controparte di CGIL CISL E UIL non era certo all’altezza di una sfida di tale portata, così dedita al gruzzolo di famiglia più che ad una riconversione ecologica e foriera di buona occupazione. Tutto allora si consumò, purtroppo, in un patto tra governi regionali (la Lombardia di Formigoni), nazionali (il governo Berlusconi) e interessi immobiliari (l’area Alfa Romeo contava su una proprietà di due milioni di metri quadri tra Malpensa e Milano!). Nonostante un progetto corposo e credibile di riconversione affidato all’ENEA, l’intero settore della mobilità in transizione scomparve per sempre dalla manifattura milanese, lasciando sul campo solo un manipolo di indotto per la industria tedesca dell’auto. Fu quello l’inizio della decadenza della manifattura lombarda, che ora, qui a nell’Alto Lazio, si presentava in vesti completamente diverse, ma con una posta in gioco quasi altrettanto significativa.

Capivo come la crisi climatica, anche in tempi di pandemia e di guerra, rimanesse un’emergenza intergenerazionale in grado di aggregare forze e classi che potevano mobilitarsi e fare coalizione sociale con maggiori probabilità di successo sotto il profilo ambientale rispetto a quanto poteva accadere all’inizio 2000.  Diventava quindi realistico aprire frontiere prima inimmaginabili alla sostituzione del carbone e del metano fossili con fonti rinnovabili che, oltre al cambio brusco del clima e alla rivendicazione del limite, dessero risposte alle questioni occupazionali e al “senso” del lavoro, puntando a ridurne l’eccesso di capacità trasformativa che arreca guasti irreparabili alla natura.

La vertenza che si andava avviando si presentava molto ostica: il gas era ed è tutt’ora in cima ai piani strategici di ENI, la maggiore multinazionale italiana e trovava la complicità di ENEL Italia – si noti che ENEL Group all’estero da tempo investe solo in rinnovabili! – perché il rischio di investimento in un nuovo grande impianto a metano qui da noi è coperto da sussidi pubblici, dal Capacity Market e dagli oneri aggiuntivi che si scaricano sulle bollette dei consumatori.

ENEL commise l’errore di affittare una intera pagina del “Messaggero” per rassicurare sul miglior futuro possibile procurato dal turbogas. Da quel momento la posta in gioco apparve in tutta la sua dimensione anche pubblica. Fu facile così chiarire che il passaggio al metano non avrebbe rappresentato lo slancio dovuto verso l’obbiettivo di azzeramento delle emissioni di CO2 entro il 2050 come indicato dall’UE, dal momento che l’ENI lasciava aperta la scappatoia del sequestro di CO2 e di un quantitativo di emissione ai camini superiore ai limiti consentiti. Inoltre, l’analisi del piano industriale di ENI contraddiceva le promesse del “Messaggero”, poiché era prevista sì una progressiva riduzione dell’estrazione di petrolio, ma, nel contempo, un aumento della prospezione e dello sfruttamento del gas metano nel mix energetico complessivo al 2050. Quindi, nuovi gasdotti o navi metaniere all’orizzonte anche dei porti tirrenici.

Questa contraddizione venne subito colta per diventare addirittura una mossa controproducente, perché i comitati e le organizzazioni sindacali chiesero immediatamente conto della presunta durata di vita del turbogas e del numero degli occupati nel ciclo ristrutturato. Una volta acquisiti i dati di riferimento (previsione di bilanci in extracrescita al 2060, con il costo del metano in aumento indefinibile ed una occupazione che si riduceva a sessanta dipendenti a regime!), la vertenza finiva per acquisire due punti di forza: l’investimento si dimostra economicamente insostenibile, dacché sfondava i parametri europei del “Green new deal”; l’occupazione prevista era  risibile in un territorio che aspirava ad una vocazione manifatturiera anziché a perpetuare la sua condanna fossile.

A questo punto entrarono in campo i lavoratori, i sindacati CGIL e UIL, le organizzazioni datoriali CNA, Lega delle Cooperative, Federlazio, i Commercianti, l’Ordine dei medici per l’ambiente, l’Ordine degli Avvocati. Si espresse anche la diocesi mentre manifestavano gli studenti e Friday For Future, cui cominciavano ad associarsi anche gli striscioni delle associazioni e dei comitati ambientalisti romani e nazionali.

Questo ampio e variegato fronte popolare assume sempre più consapevolezza che i ritardi e le motivazioni per cui non si vuole aprire, non solo a Civitavecchia, ma nel  Paese, un dibattito sulla sostituzione della potenza fossile con quella rinnovabile sempre più conveniente – rafforzata da stoccaggi chimici o idrici, corredata da fornitura di vettori flessibili come l’idrogeno verde e protesa ad una più efficiente elettrificazione di un sistema energetico decentrato – lascia presumere che: o non ci sarà phase-out dal carbone o che l’alimentazione delle caldaie e delle turbine restaurate avverrà, anziché coi nastri trasportatori dal deposito carbonifero, col prolungamento di un metanodotto che arrivi al mare, magari per poi inabissarsi e sbucare su un’altra riva per la metanizzazione della Sardegna.

La situazione, oltre che diventare dirimente su un piano non solo locale, entra in una fase delicatissima e lo sciopero su più turni degli operatori in centrale e nell’indotto carbonifero, organizzato da Fiom e Cobas, assume un effetto  detonante. La Camera del Lavoro CGIL e la UIL si schierano contro il turbogas, affiancati dai comitati e dall’area dell’associazionismo datoriale favorevole ad un cambiamento del modello “di sviluppo” (navi crociere +turismo di transito +centrale fossile). che mostra sempre più crepe vistose

La spinta popolare, sempre più densa di attori, e i dibattiti qualificati che intanto si moltiplicano, richiamano l’attenzione degli investitori, che vedono nel favorevole clima creatosi l’opportunità e le condizioni per dare vita al progetto alternativo.

Un progetto di massima che prevede la produzione di elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili, stabilizzate nella loro intermittenza da stoccaggi e conversione in idrogeno verde, disponibile a sua volta come vettore energetico per varie destinazioni territoriali. Nello specifico, la potenza proverrebbe sia da fotovoltaico su ampie aree dell’impianto da dismettere (in particolare i depositi di carbone e le pensiline del porto) sia, soprattutto, da eolico off-shore. Un parco eolico di pale galleggianti collocato a 20-30 chilometri dalla costa (quindi senza impatto visivo diretto), collegate a riva con cavi sottomarini e integrato con accumuli da sistemi di pompaggio o da idrolizzatori per conservare in idrogeno e rendere successivamente disponibile l’eccesso di corrente elettrica prodotta.  L’Italia possiede basi tecnologiche e industriali al riguardo e lo stesso PNRR favorirebbe anche sotto il profilo finanziario un simile approccio.

Si troverebbe così risposta alla sufficienza e alla sicurezza della rete elettrica non solo locale, rendendo energeticamente autonoma la città di Civitavecchia e il suo hinterland e disponendo di fonti locali diffuse e interconnesse, grazie anche ad una stazione di storage che compensi l’intrinseca discontinuità di sole e vento (che nel caso di Civitavecchia forniscono un bilancio tra i più favorevoli in Europa).

Gli esperti e i rappresentanti dei corpi intermedi portano la vertenza, a questo punto corredata dal progetto alternativo, all’attenzione di tutte le istituzioni.

Eppure le domande cui le risposte andavano a posizionarsi positivamente non erano affatto semplici: occorreva tener conto anche della capacità di soddisfare la domanda del nodo di consumo secondario (Roma), dell’efficienza energetica e delle perdite, della riduzione delle emissioni climalteranti e degli inquinanti, dell’impatto visivo, di quello socio-economico, dei tempi di realizzazione, della localizzazione, delle autorizzazioni, delle necessità infrastrutturali, dell’occupazione e, naturalmente, del costo di investimento e di esercizio, nonché della possibilità di ottenere finanziamenti UE, fino al risparmio in bolletta per il cittadino. Questa “enumerazione” così dettagliata dà il senso della complessità dell’operazione e di una necessaria mobilitazione delle intere risorse disponibili con metodo, trasparenza e approccio partecipativo.

ENTRANO IN CAMPO I LAVORATORI, IL SINDACATO, LE ISTITUZIONI

Una delle ragioni di successo è stata senz’altro l’entrata in campo da parte dei lavoratori, a partire dalla Camera del Lavoro territoriale con l’intero suo gruppo dirigente e con un lavoro assiduo di assemblee. Anche la UIL ed altri sindacati di categoria – e non solo confederali – non soltanto hanno interpretato la necessità della svolta ecologica, ma hanno puntato l’attenzione sul diritto alla salute e alla buona occupazione sotto sia gli aspetti quantitativi che qualitativi. Gli scioperi ripetuti su più turni da parte dei lavoratori presenti in centrale avevano già impressionato una città tradizionalmente pigra rispetto al suo destino e passiva nei confronti di una natura da secoli depredata dalle pesanti fatiche del lavoro umano sia in mare che nel retroterra denso di miniere. E il fiancheggiamento costante di tecnici e professionisti, il risvegliarsi dei media, i flash- mob e le sfilate lungo la città e sotto il palazzo comunale, hanno rinsaldato irreversibilmente quel rapporto rivolto al cambiamento una volta svogliato, ma ormai consolidato anche sul piano istituzionale.

La resistenza di ENEL Italia, le convenienze di ENI e la disattenzione che per lungo tratto hanno caratterizzato i rapporti tra le istanze locali ed il Governo sono state superate. Lo spostamento non casuale del Direttore di ENEL Italia a nuovo incarico e la presa di posizione a favore della soluzione a rinnovabili da parte dell’AD di ENEL, che dava così atto della “volontà del territorio”, ha compensato la svogliata latitanza del ministro Cingolani.

La pressione si era ormai concretizzata attorno alle forze politiche locali, regionali e nazionali, sempre più parte della vertenza: la netta presa di posizione del Consiglio Comunale della città, nonché degli altri Sindaci del comprensorio e dei due consiglieri regionali della zona, appartenenti alla Lista Zingaretti e al M5S, portarono all’attenzione della Regione la volontà popolare del territorio corroborata da una progettualità difficilmente contestabile, se non in maniera pretestuosa. Il nuovo oscurava il vecchio lungo la linea dell’ecologia e di una conseguente decrescita della potenza attribuita ai fossili, palesata prima della vertenza come irrinunciabile Anche diversi parlamentari di vario colore politico vennero di conseguenza coinvolti sul tema, con timide ripercussioni anche in altre regioni, come la Liguria e il Friuli, ancora tutte da indagare.

Il 7 novembre 2021, mentre 503 lobbisti di Big Oil, la cui unica ambizione è quella di rimanere in affari, partecipavano come la più nutrita delegazione ai colloqui della Cop di Glasgow, l’assessora alla Transizione ecologica della Regione Lazio si appellava al presidente Draghi perché fosse individuata come opera strategica nazionale il parco eolico offshore di Civitavecchia il cui progetto era ormai definitivamente completato. “Mantenendo piena coerenza – affermava – con l’indirizzo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sugli investimenti ambientali e l’obiettivo globale di azzerare le emissioni inquinanti entro il 2050”.

A sigillo, la Regione Lazio assunse nel 2022 l’approvazione del Piano energetico Regionale, con l’esclusione di  nuova potenza fossile, facendosi inoltre carico dell’iter politico- amministrativo del processo aperto a Torrevaldaliga.

Tralascio qui i passaggi successivi tutt’ora in corso, che incrociano positivi interessi che si estendono all’intera filiera dell’eolico galleggiante e che potrebbero fare del porto l’hub italiano per il montaggio e il posizionamento di parchi eolici nel Mediterraneo, con effetti occupazionali che si valutano nell’ordine di un migliaio di posti di lavoro. In breve: si è costituita Green IT – una joint venture tra Cassa Depositi e Prestiti, ENI Plenitude e il fondo danese per le rinnovabili Copenhagen Infrastructure Partners – che finanzierà il progetto di eolico offshore che sorgerà fuori le coste di Civitavecchia per una capacità complessiva fino a 540 MW. Lo ha annunciato il Sindaco lo scorso 2 Ottobre nel corso dell’incontro che si è svolto durante la partecipata manifestazione dei lavoratori della Minosse (trasporto carbone) e dei metalmeccanici della centrale in sciopero che operano nelle ditte appaltatrici di Torre Valdaliga Nord, ritrovatisi sotto il Comune per porre ancora una volta l’attenzione sul phase out dal carbone della centrale e sulla questione occupazionale Insieme all’impresa italiana progettista si svolgerà a fine mese un incontro ufficiale per velocizzare l’iter autorizzativo in corso, ampliando l’informazione alla possibilità di realizzare su alcune banchine portuali anche l’hub per la produzione, l’assemblaggio, il trasporto, l’installazione e la manutenzione delle pale eoliche, oltre che la alimentazione delle strutture del porto con pannelli solari, per rendere gli impianti  e l’attracco delle navi il più possibile indipendenti dalla rete nazionale.

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

Il caso Civitavecchia presenta peculiarità che possono fornire indicazioni anche per aprire contese analoghe in una fase di drammatica emergenza che riguarda il paradigma ecologico- politico-economico-sociale in profonda crisi.

Il punto di partenza indispensabile è stato quello dell’aggregazione di figure e movimenti già riconosciuti nel territorio cui indicare la strada privilegiata dell’unità. L’ autentico salto nel dibattito e nell’iniziativa corale è avvenuto quando si è posta la questione se rigettare “tout court” e con poche speranze l’installazione di un nuovo impianto fossile o avanzare una proposta alternativa, articolata, non impugnabile in ogni dettaglio, basata su fonti rinnovabili e stoccaggi disponibili sul terreno compatibili con la sua  riorganizzazione e il raggiungimento di una  sufficienza energetica, razionalizzando consumi e individuando sprechi da abbandonare, investendo anche la mobilità, il lavoro e gli stili di vita su basi comunitarie.

 

È così che nasce una solida comunità energetica che lascia le fonti fossili sotto terra. Un’idea di democrazia energetica, in sostanza, che, anche in base alla condivisione delle risorse e i numeri e la qualità della occupazione, indica un indirizzo qualificante per il futuro per il “tempo dell’ozio”, oltre che  per le prospettive di politica industriale, manifatturiera, dei servizi.

 

E’ la prima volta che, in modo così esplicito e con successo in un settore strategico dell’economia, la classe operaia si mobilita a favore di un progetto di transizione ecologica integrale, invece di arroccarsi nella difesa delle soluzioni di mera conservazione, sostanzialmente incompatibili con una vera svolta ambientalista. Ciò dimostra che, di fronte a un progetto credibile, i lavoratori sanno assumere un ruolo protagonista, scuotendo sia gli interessi corporativi del management delle imprese e alcune delle pigrizie ancora presenti in zone sindacali meno previdenti. La questione di Civitavecchia andrà sicuramente completata con la partecipazione effettiva dei cittadini alle soluzioni in corso e, quindi, con un risultato utile anche sul fronte della democrazia energetica, ad ora solo accennato, ma non risolto. E potrebbe essere significativo collegarne spunti ed esiti possibili con la soluzione di casi eccezionali per la consapevole responsabilità manifestata dal mondo del lavoro, come nel caso  della GKN e della Wärtsilä.

Una rappresentanza diretta, adeguatamente sostenuta da una diffusione ampia di formazione e conoscenza, può innescare il processo di una replicazione a livello nazionale analoga a quella qui illustrata. Su tratterebbe di mettere a punto strumenti di conoscenza e formazione adeguati ad affrontare la frequente miopia delle direzioni aziendali come la vera controparte del processo di riconversione e della futura gestione dell’impresa, con una progressiva erosione dei poteri del management, in nome della difesa del “bene comune”.

E’ indubbio che si tratti comunque di un processo conflittuale, che non può restare confinato, pena la sua sconfitta, in un ambito prettamente aziendale, ma che riesce vincente se rimarca sul territorio interessi sociali e politici irrinunciabili, anche quando non vengono rappresentati dalle forme della governabilità calata dall’alto.

Il caso di Civitavecchia è sintomatico di un contributo di democrazia sociale espresso al momento giusto e riguardo al quale non possono prevalere gli interessi puramente aziendali, tantomeno di corporation a compartecipazione pubblica, né equilibri di governo che trasmutano in “green washing” orizzonti di ecologia integrale. La battaglia, tuttavia, non è ancora conclusa, ma ritengo augurabile che l’esperienza ormai pluriennale e la maturazione di questo conflitto diventi un caso di riferimento, da estendere, criticare e migliorare, se occorre. Tenendo comunque conto che si è trattato di un episodio di democrazia partecipativa prima ancora che di una soluzione puramente tecnologica, peraltro estremamente positiva nell’emergenza in cui ci troviamo.

UNA NOTA AGGIUNTIVA PER RENDERE CONTO DEL RUOLO NEGATIVO CHE L’ATTUALE GOVERNO POTREBBE AVERE NEL FRENARE il CASO QUI DESCRITTO

Aggiungo qui tre note unitarie rese pubbliche a Novembre e rappresentative della convinzione del territorio che si debba chiudere definitivamente col carbone ed avviare la sostituzione dei fossili con le rinnovabili. Si tratta di note condivise e diffuse dal Consiglio Comunale, dai comitati, dalle istituzioni, dalle associazioni sindacali e dalle piccole e medie imprese di Civitavecchia, deluse dal tentativo sconfortante di dilazionare l’appuntamento al Ministero per sollecitare la realizzazione dell’impianto ormai ad uno stadio di approntamento assai avanzato. Il timore che traspare dalle note è che l’attuale governo dilazioni i tempi della messa in opera delle pale eoliche per favorire invece l’espansione del ricorso al gas, trasportato sulle coste italiane da navi metaniere.

Prima Nota resa pubblica dal Sindaco della città:

Eolico offshore: ENI, Cassa Depositi e Prestiti e CIP incontrano il sindaco Tedesco.

Green IT, la joint venture italiana per le energie rinnovabili composta da ENI, Cassa Depositi e Prestiti e da Copenhagen Infrastructure Partners, sarà a Civitavecchia la prossima settimana per il progetto sull’eolico offshore, insieme al suo progettista, l’ingegner Luigi Severini. Lo ha annunciato ieri mattina il sindaco Ernesto Tedesco nel corso dell’incontro che si è svolto durante la partecipata manifestazione dei lavoratori della Minosse e dei metalmeccanici che operano nelle ditte appaltatrici di Torre Valdaliga Nord, che si sono ritrovati in sciopero sotto Palazzo del Pincio per porre ancora una volta l’attenzione sul phase out dal carbone della centrale e sulla pesante questione occupazionale che ne sta già conseguendo. Il primo cittadino, insieme al vicesindaco Manuel Magliani, alla consigliera regionale Marietta Tidei e ai consiglieri Fabiana Attig, Marco Piendibene e Patrizio Scilipoti, ha ricevuto in aula Calamatta, una delegazione dei lavoratori e rappresentanti dei sindacati, ai quali ha comunicato di aver ricevuto la richiesta di un appuntamento per il 19 mattina, quando riceverà l’importante visita di Severini e dei membri di Green IT, che hanno firmato un accordo per lo sviluppo di tre parchi eolici offshore galleggianti nel Lazio e in Sardegna, tra i quali quello che sorgerà fuori le coste di Civitavecchia per una capacità complessiva fino a 540 MW. Una comunicazione, quella di Tedesco, che è stata anche la risposta alle specifiche richieste arrivate poco prima dal megafono dei sindacati, di prevedere un incontro con i grandi enti coinvolti nel progetto, che insieme a quello sulla logistica rappresenta una delle poche certezze in futuro non del tutto risolto. Giovedì prossimo, quindi, ENI, Cassa Depositi e Prestiti e CIP, insieme a Severini, incontreranno per la prima volta l’amministrazione comunale, al fine di iniziare a parlare di come preparare il territorio a questa opportunità, che diventa ancora più importante in ottica occupazione, se si pensa alla possibilità di realizzare su alcune banchine portuali anche l’hub per la produzione, l’assemblaggio, il trasporto, l’installazione e la manutenzione delle pale eoliche. Sarà infatti necessario mettere in piedi un impegnativo percorso di riqualificazione delle maestranze locali, come peraltro esplicitamente richiesto dai sindacati, in grado di partecipare attivamente alle attività in programma. Un modo anche per dimostrare concretezza sul progetto e per chiederà alla politica e alle istituzioni di unire le forze per farsi portavoce al Governo, anche attraverso il tavolo in corso sul phase out di Tvn, dell’importanza di velocizzare l’iter autorizzativo in corso.

Seconda nota a nome dell’esperto designato dal Comune per i rapporti col Ministero:

Eolico, fotovoltaico, logistica e cantieristica: si prepara il documento per il tavolo sul phase out dal carbone

Eolico offshore, fotovoltaico, logistica e cantieristica navale. Sono gli spunti e i progetti che sono arrivati all’assessore allo Sviluppo Francesco Serpa, al quale spetta il compito, insieme alla consigliera comunale Barbara La Rosa, delegata ai rapporti con Enel, di stilare il documento che Civitavecchia presenterà alla Regione nell’ambito del tavolo per il phase out del carbone di Torre Valdaliga Nord, aperto con il Governo. “Stiamo lavorando al documento – afferma Serpa – per quello che ci è stato chiesto dalla vicepresidente della Regione Lazio, Roberta Angeletti, di arrivare ad un testo unico che rappresentasse le volontà del territorio per poi portarlo al Governo e all’Enel. Ho raccolto i documenti delle varie sigle sindacali e registro una comunità di intenti. Spero all’inizio della prossima settimana di riuscire a mandarne una bozza alle associazioni sindacali e alle varie associazioni di categoria. Per la fine della prossima settimana, vorrei fare un nuovo incontro per poi presentare il documento definitivo. Gli spunti sono tanti: le rinnovabili con l’eolico ed il fotovoltaico, ma anche la logistica e la cantieristica navale. Dobbiamo svilupparle

Terza nota: presentato il documento unitario dei sindacati.

Allungare il periodo di utilizzo del carbone per altri tre o quattro anni, in attesa di avere a diposizione un’alternativa. È quanto clamorosamente emerso questa mattina nel terzo appuntamento del tavolo interministeriale che verteva proprio sul phase out dal carbone di Torre Valdaliga Nord e che si è svolto al Ministero delle Imprese e del Made in Italy alla presenza del sindaco Ernesto Tedesco, dell’assessore allo Sviluppo, Francesco Serpa, del presidente dell’Autorità Portuale, Pino Musolino, di rappresentanti delle sigle sindacali e delle associazioni di categoria.

A far emergere questa possibilità è stato il presidente locale di Unindustria, Cristiano Dionisi, con cui si è detto d’accordo il presidente dell’Autorità Portuale, Pino Musolino, il primo preoccupato da quelli che ritiene essere i tempi lunghi legati ai progetti sulle rinnovabili, su tutti l’eolico offshore, e quindi sulle conseguenze per le aziende, l’altro dai conti dell’Authority legati in buona parte al traffico del carbone destinato a TVN. Una proposta che non ha trovato sostengo, a partire dai sindacati e arrivando agli esponenti del comune, passando per CNA e Legacoop. Anche perché il gruppo di Civitavecchia che oggi era al MIMIT, tra i quali Authority e Unindustria, aveva stilato e firmato insieme un documento unitario presentato tramite la vicepresidente della Regione Lazio, Roberta Angelilli sul futuro di Civitavecchia, che inevitabilmente dovrà essere legato alle rinnovabili e che non fa nessun riferimento al prolungamento del carbone a Torre Nord, emerso a sorpresa nella riunione di oggi. Una delle questioni più importanti affrontate è quella legata all’inserimento di Civitavecchia al punto 9 del prossimo decreto Energia, quello relativo alle aree a cui destinare i fondi del Governo per lo sviluppo di banchine portuali necessarie per la creazione dell’hub dell’eolico, per il quale il sindaco Ernesto Tedesco ha suggerito una brillante soluzione. Sempre sul parco eolico offshore, è stato anche chiesto un sostegno per la velocizzazione degli iter autorizzativi. Il tutto, in attesa dell’uscita del piano industriale di Enel, previsto a novembre. Anche per questo motivo, si è deciso di convocare la prossima riunione, stavolta alla Regione Lazio, per la fine di novembre. Il prossimo tavolo al Ministero è invece stato spostato in programma nel nuovo anno.  

Quindi partita vinta sul campo, ma ritardata ai supplementari

*Nota biografica di Mario Agostinelli:

Mario Agostinelli è tra gli ispiratori ed i fondatori della Associazione “Laudato si’ – Un‘alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale”. E’ stato Segretario Generale della CGIL lombarda dal 1995 al 2002 e poi Consigliere regionale dell’organo legislativo lombardo.

Dopo la laurea ha lavorato come ricercatore chimico-fisico per l’ENEA (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) presso il CCR di Ispra.

Collaborò con i circoli di Sapere, promossi da Giulio Maccacaro, e contribuì alla nascita del sindacato CGIL Ricerca. Nella FLM organizzò i corsi delle 150 ore e nel 1987 guidò il sindacato nella battaglia referendaria per il NO al nucleare.

Sul piano internazionale opera da anni nel Forum Mondiale delle Alternative e nel Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, con lo scopo di costruire percorsi di coinvolgimento per affrontare la crisi ambientale, sociale e politica prodotta dall’attuale modello di sviluppo.

E’ portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima, ed è presidente della Associazione Energia Felice.

Mario Agostinelli ha scritto diversi saggi scientifici e divulgativi sui temi energetici ed ambientali (tra gli ultimi: “Il mondo al tempo dei quanti scritto con Debora Rizzuto”) e sul rischio delle armi nucleari.

(per la rivista Decrescita, n. 2, 2024)

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