Epurare Israele dalle sue fondamenta sioniste. Gli orrori della carneficina di Gaza siano gli ultimi di Yorgos Mitralias

 

L’inferno sulla terra. Passano le settimane e i mesi e il martirio dei palestinesi di Gaza, ma anche di quelli della Cisgiordania, continua, raggiungendo giorno dopo giorno nuove vette di orrore.Tanto più infame e intollerabile perché il massacro avviene sotto gli occhi di tutti, in diretta sui nostri schermi televisivi, giorno e notte, senza interruzioni.

 

Le complicità politiche e mediatiche

E, soprattutto, con la complicità attiva (Stati Uniti, UE) o passiva (Cina, Russia, India) dei “grandi” di questo mondo, che si accontentano di fare da spettatori, pur prevedendo che il peggio deve ancora venire.

Orrore misto a emozione insopportabile, rabbia, ma anche il più profondo disgusto…

Disgusto per i nostri leader occidentali che non temono il ridicolo più macabro, quando continuano a chiedere a Israele di… proteggere i civili palestinesi, proprio mentre Israele li sta sterminando metodicamente.

Come se non bastasse, il governo americano… si congratula con Israele, notando che l’esercito israeliano si starebbe conformando ai desideri americani di proteggere le vite dei civili palestinesi, in un momento in cui la catastrofe di questi civili palestinesi si sta accumulando e sta superando ogni precedente.

Disgusto anche per – quasi tutti – i nostri media e i loro giornalisti che si ostinano a parlarci di una certa “guerra tra Hamas e Israele”, quando in realtà non c’è altro che una guerra di sterminio ben pianificata da Israele contro il popolo palestinese con il pretesto di operazioni militari volte a liquidare Hamas, il cui crimine è proprio quello di aver offerto a Israele questo pretesto con le sue azioni terroristiche del 7 ottobre.

Questi media e i loro giornalisti che tacciono assordantemente sul martirio dei palestinesi, al punto da non dire nulla nemmeno dei loro stessi colleghi, i 72 giornalisti presi di mira per primi e uccisi a Gaza dall’esercito israeliano dall’inizio di questa barbarie.

Questi media e i loro giornalisti che non sentono il bisogno di protestare, anche per solidarietà professionale, contro le autorità israeliane che minacciano rappresaglie che vanno dal soffocamento economico alla chiusura, nei confronti dei pochi media che osano riportare i fatti crudi e dare voce alle vittime del genocidio in corso.

Sono questi i media che ci sentiamo in dovere di citare per nome, il quotidiano israeliano Haaretz, e i canali televisivi che fanno onore al giornalismo, come la britannica BBC, e ancor più l’americana CNN, e soprattutto l’araba Al Jazeera, i cui giornalisti stanno pagando con la vita, il sangue e il sangue delle loro famiglie il fatto di fare ciò che la stragrande maggioranza dei loro colleghi dei media occidentali, guidati da quelli francesi (e in genere da quelli della UE), si rifiutano di fare: riportare fedelmente ciò che accade sul terreno, dando voce alle vittime ma anche ai loro carnefici.

Siamo quindi disgustati e respinti da questi stessi media, che danno sempre più l’impressione di essere in missione di comando, e che nascondono abilmente dietro frasi presumibilmente “neutrali” che riportano gli “strike” israeliani la realtà quotidiana, che consiste in esercitazioni di tiro dell’esercito israeliano contro civili palestinesi inermi, terrorizzati, insanguinati, affamati, assetati e già decimati, che vagano addirittura a piedi o a dorso d’asino (! ) sotto una valanga di granate, missili e bombe da 900 chili, da nord a sud e da sud a nord di questa minuscola Striscia di Gaza, per il capriccio del sadismo dei loro carnefici armati fino ai denti.

Un sadismo che non è affatto gratuito, ma parte integrante dell’arroganza suprematista che caratterizza non solo gli attuali leader, ma anche il loro stato e, purtroppo, anche la maggior parte della società israeliana.

 Il progetto coloniale di Israele

Eccoci dunque al cuore dell’interminabile tragedia palestinese: la natura o meglio la ragion d’essere coloniale dello stato israeliano che, in assenza di una costituzione per il paese, non è altro che quella definita da quello che è il suo progetto fondante, il progetto sionista.

Un progetto sionista che non sostiene né accetta la coabitazione, tanto meno la coesistenza pacifica, dei popoli ebraico e palestinese in uno stato che deve essere esclusivamente ebraico, lo stato ebraico (Si veda l’eccellente testo del 2018 di Gilbert Achcar “La dualità del progetto sionista”, qui in francese).

Visto dall’angolazione di questo progetto sionista, tutto diventa più chiaro e comprensibile. Come, ad esempio, il persistente rifiuto dei leader israeliani di ascoltare gli avvertimenti dei loro alleati occidentali, secondo cui massacrando troppo i palestinesi si generano i terroristi di domani.

Non si tratta di una presunta incapacità dei leader israeliani di capire cosa sia davvero nel loro interesse. In realtà, è proprio perché i leader israeliani sanno bene qual è il loro interesse che fanno tutto il possibile per creare e mantenere costantemente la minaccia terroristica.

E lo fanno umiliando, torturando, imprigionando e uccidendo i palestinesi fin dalla più tenera età, perché sanno bene che quando si tratta qualcuno come un animale, lo si costringe a reagire come un animale.

Perché senza il nemico e la psicosi della minaccia esterna che spinge la popolazione impaurita a unirsi dietro i suoi leader, “dimenticando” le loro malefatte e i propri problemi, sarebbe impossibile per Netanyahu, ad esempio, rimanere al potere perché è noto che, una volta terminate le operazioni militari in corso, sarà giudicato e condannato per la sua corruzione e probabilmente finirà i suoi giorni in prigione.

 Uno stato irriformabile

Ma attenzione: non si tratta solo di Netanyahu, ma dello stato di Israele in sé che, più di ogni altro, ha bisogno di una minaccia esterna permanente per mantenere la sua popolazione, così come la diaspora, unita attorno al suo progetto sionista.

Allo stesso modo, è solo esaminando la questione dall’angolazione del progetto coloniale fondatore che possiamo comprendere la ragione dell’attuale furia omicida e distruttiva dell’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania.

Ancora una volta, non siamo affatto in presenza di “errori” tecnici o di giudizio da parte dei leader israeliani che si suppone siano accecati dalla loro rabbia vendicativa contro Hamas e i suoi crimini. In realtà, il metodico massacro e la pulizia etnica dei palestinesi, iniziati con la liquidazione del vero e proprio ghetto di Gaza, vengono portati avanti con la coscienza pulita, perché corrispondono agli obiettivi storici del progetto sionista: la creazione, attraverso lo sterminio, l’espulsione e la sottomissione delle popolazioni indigene, di uno stato esclusivamente ebraico su tutte le terre del “Grande Israele”!”.

La conclusione è ovvia: un tale stato è per sua natura mostruoso, disumano e… irriformabile. Mostruoso non solo per le popolazioni indigene che opprime e distrugge, ma anche per i suoi stessi cittadini ebrei, ai quali aveva promesso la sicurezza di cui sentivano la mancanza e che non hanno mai trovato in Israele.

Ed è irriformabile perché la sua logica interna ha fatto sì che le sue iniziali illusioni egualitarie e democratiche siano state gradualmente sostituite da successivi spostamenti verso un’estrema destra sempre più razzista e antidemocratica, culminata nell’attuale estrema destra religiosa, pogromista, oscurantista e fascistizzante, se non fascista, con il suo discorso fanatico e messianico fuori tempo.

Una sola soluzione

Quindi la soluzione è ovvia: bisogna cambiare questo stato da cima a fondo, per renderlo almeno “normale”, “come gli altri”. Questo aprirebbe la strada al superamento definitivo dell’illusoria e irraggiungibile “soluzione dei due stati”, creando uno stato multietnico in cui la popolazione ebraica e quella palestinese possano convivere pacificamente, condividendo gli stessi diritti.

Tuttavia, realizzare un simile progetto non è affatto facile. Nel primo dei due casi più illustri che possono servire da guida, la denazificazione della Germania alla fine della Seconda guerra mondiale, è stata imposta dalle potenze che l’avevano sconfitta sul campo di battaglia. Nel secondo caso, quello dell’apartheid sudafricano, la “purificazione” e la “normalizzazione” dello stato sono state effettuate dall’interno, su iniziativa di due popolazioni prima nemiche.

Sulla base di questi precedenti, possiamo già escludere l’applicazione a Israele del modello tedesco di denazificazione perché presupporrebbe la sconfitta militare di Israele, che molto probabilmente porterebbe a un terribile bagno di sangue della sua popolazione ebraica.

Rimane la variante sudafricana, che presuppone che la de-sionificazione di Israele avvenga dall’interno, su iniziativa dei suoi stessi cittadini.

Questa prospettiva non è solo più fattibile. È anche molto più realistica ed efficace perché verrebbe attuata senza vincoli esterni e avrebbe quindi tutte le possibilità di radicarsi e durare nella coscienza dei primi interessati, i suoi stessi cittadini.

I coraggiosi ebrei antisionisti

Detto questo, lo stato attuale della società israeliana, unita attorno ai suoi leader e al suo esercito che rifiutano di occuparsi della sorte dei palestinesi, non significa affatto che non esistano ebrei che abbiano già deciso di intraprendere il compito storico, così gravido di conseguenze, di de-sionalizzare il loro paese.

Esistono, sia nella diaspora che nello stesso Israele, con grande sgomento dei sionisti e degli antisemiti che, di comune accordo, rifiutano di accettare l’esistenza di ebrei non sionisti. Essi esistono, e il loro attivismo umanista e internazionalista sta già dando i suoi frutti in Israele e nel mondo.

Sono gli ammirevoli giovani ebrei di movimenti antisionisti e pacifisti come If Not Now e Jewish Voice for Peace, che nel giro di pochi anni sono riusciti a moltiplicare la loro influenza oltre ogni aspettativa, al punto da riuscire a mobilitare negli ultimi due mesi migliaia di altri ebrei in manifestazioni e altre azioni quasi quotidiane in solidarietà con i palestinesi di Gaza, negli Stati Uniti e altrove.

Sono anche eroici cittadini israeliani come Sasha Povolotsky e i suoi compagni, che vivono giorno e notte con i contadini palestinesi del villaggio di Al Farisiya per proteggerli dalle bande di coloni israeliani, e che non esitano a combattere contro questi commandos fascisti e a versare il loro sangue a fianco dei loro fratelli palestinesi, come hanno fatto solo pochi giorni fa, il 4 dicembre 2023.

Sì, è indubbio che oggi ce ne vogliano di più, ma dobbiamo ricordare che gli attivisti sudafricani erano forse meno numerosi di loro quando hanno iniziato a lottare contro l’apartheid, con il successo che conosciamo. Sì, vorremmo che fossero più numerosi ma… a maggior ragione dobbiamo aiutarli con tutte le nostre forze, divulgare la loro lotta e le loro idee, costruire movimenti di solidarietà con loro e con i palestinesi che combattono la stessa battaglia in condizioni ancora più difficili. Inoltre, come dice giustamente il nome che hanno scelto per il loro movimento If Not Now, se non ora, quando?

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