La tragedia in Medio Oriente esacerba la crisi del sistema bipartitico americano. Stati Uniti: è arrivato il momento di un partito indipendente di “quelli dal basso”? di Yorgos Mitralias

 

La tragedia in Medio Oriente esacerba la crisi del sistema bipartitico americano. Stati Uniti: è arrivato il momento di un partito indipendente di “quelli dal basso”?    di Yorgos Mitralias

Non sorprende che la nuova – e ben più grave – tragedia del Medio Oriente e il genocidio in corso dei palestinesi stiano influenzando profondamente l’equilibrio politico e sociale all’interno della superpotenza mondiale, gli Stati Uniti.

Stanno provocando un vero e proprio “terremoto” nel panorama politico americano a tempo di record e ci stanno già facendo intravedere i cambiamenti e gli sconvolgimenti storici che potrebbero innescare nell’equilibrio sociale e politico americano, che ci viene presentato come eterno e incrollabile…

Tuttavia, questi “cambiamenti e sconvolgimenti” non arrivano all’improvviso. Sono in gestazione da 7 o 8 anni e le scosse pre-sismiche che si sono verificate durante questo periodo avrebbero dovuto avvertirci dell’attuale “terremoto”. Ad esempio, l’attuale inversione di rotta degli elettori del Partito Democratico – tradizionalmente filoisraeliani – a favore dei palestinesi aveva iniziato a manifestarsi nei sondaggi molto prima dell’attuale bombardamento israeliano su Gaza.

Lo stesso vale per le manifestazioni sempre più massicce e quasi quotidiane di migliaia di giovani ebrei americani a sostegno dei palestinesi e contro il loro sistematico sterminio da parte dell’esercito israeliano e dello stato sionista, che hanno una storia di almeno 7-8 anni, durante i quali hanno attecchito, si sono sviluppate e ammassate, si sono diffuse quasi ovunque nel paese e sono riuscite a far sentire la loro verità contro un ambiente “onnipotente” più che ostile.

Inoltre, l’emergere di un’ala filo-palestinese e autenticamente di sinistra sempre più numerosa tra i parlamentari democratici, che non esita a scendere in piazza e ad attaccare pubblicamente Biden, ha le sue radici nel famoso gruppo di parlamentari radicali, guidati da Alexandria Ocasio-Cortez, eletta per la prima volta nel 2016.

Infine, il sostegno maggioritario (!) degli studenti americani ai palestinesi, così come la forte presenza di giovani nelle manifestazioni che chiedono un immediato cessate il fuoco a Gaza e in Cisgiordania, è il prodotto diretto della massiccia radicalizzazione della nuova generazione di americani mobilitata dalla campagna elettorale dell’allora candidato alla presidenza Bernie Sanders.

Se a questo aggiungiamo la spettacolare ripresa del movimento sindacale americano negli ultimi 3-4 anni dopo 5 decenni di sconfitte e battute d’arresto, culminata nel recente storico trionfo dei lavoratori dell’auto dopo 46 giorni di sciopero, nonché le dichiarazioni pubbliche di importanti leader sindacali (come, ad esempio, il presidente del principale sindacato dei lavoratori postali, Mark Dimonstein, che ha dichiarato di essere un “ebreo antisionista”) contro Israele e a favore dei palestinesi e di un immediato cessate il fuoco, possiamo capire perché i prossimi mesi e anni potrebbero essere segnati da sviluppi molto promettenti di importanza storica e di portata globale.

Cosa significa tutto questo? Tra le altre cose, significa che, allo stato attuale delle cose, Biden perderà sicuramente nel novembre 2024 e Trump, non più l’uomo della sua prima presidenza ma molto più pericoloso, tornerà alla Casa Bianca, con tutte le conseguenze disastrose che potrebbe comportare non solo per gli Stati Uniti ma per l’umanità intera.

Ma significa anche molte altre cose, ancora più importanti, che non avvengono ai vertici ma alla base della società, dove tradizionalmente si sviluppano i grandi movimenti popolari che – spesso – finiscono per fare la storia.

Il primo e forse più importante di questi sviluppi riguarda la sinistra americana e la chiarificazione che sta iniziando a verificarsi al suo interno.

Emblematica è la campagna diffamatoria (con un fondo iniziale di 100.000 dollari) che mira anche alla destituzione dalla Camera dei Rappresentanti della deputata democratica di origine palestinese Rashida Tlaib, organizzata da altri membri e dirigenti del Partito Democratico tradizionalmente considerati di… sinistra e centro-sinistra!

Tlaib, che è membro fondatore del famigerato gruppo di deputate della sinistra radicale noto come “The Squad” insieme ad Alexandria Ocasio-Cortez, Ilhan Omar e Ayanna Pressley, ha assunto un ruolo di primo piano nella mobilitazione di solidarietà con il popolo palestinese e ha letteralmente scatenato le ire della lobby pro-Israele e dell’intero establishment americano.

La campagna per metterla a tacere – se non per sterminarla politicamente – mira a sponsorizzare, con centinaia di migliaia di dollari, chiunque si candidi contro Tlaib alle prossime primarie democratiche! Gli organizzatori di questa campagna, che è diretta anche contro un altro membro della Squadra, l’afroamericana Cori Bush, dichiarano apertamente che Tlaib e Bush non hanno posto nel Partito Democratico, e che mettendo una vera e propria taglia sulle loro teste, vogliono solo… proteggere il presidente Biden…

Come sta diventando chiaro, l’esplosività dei problemi e dei dilemmi – politici, morali e non solo – che il genocidio palestinese in corso pone alla “sinistra” americana tende a mandare in frantumi quello che è forse il suo principale tratto distintivo tradizionale e che costituisce il grande “equivoco” americano: la coesistenza, seppur difficile, all’interno dello stesso partito e della stessa corrente politica, di sinistrorsi e liberali, cioè di oppositori e difensori del sistema capitalistico.

Ancora una volta, questo chiarimento storico non è arrivato all’improvviso. Autentici movimenti d’avanguardia come If Not Now si sono preparati ad esso giorno dopo giorno, spianando la strada sia con le loro tesi coraggiose e senza ambiguità contro il sionismo e l’imperialismo americano, sia con l’esempio concreto della loro azione coraggiosa di fronte a un mare di avversità.

Il risultato è ormai evidente anche a chi, a sinistra e persino all’estrema sinistra dei nostri paesi europei, ha ignorato o addirittura disdegnato non solo di collaborare e aiutare la nuova avanguardia rivoluzionaria americana, ma è arrivato persino a rifiutarsi di pubblicizzarne l’esistenza, con l'”argomento” che si trattava di “esagerazioni” e che “cose del genere non accadono in America”: i 100 audaci giovani ebrei americani dell’inizio sono diventati migliaia, dando l’esempio in molti altri paesi (fino alla Nuova Zelanda e all’Australia!) e, soprattutto, hanno influenzato l’intera società, ispirando e persino mobilitando gli oppressi e gli sfruttati.

Lo stesso vale, o almeno in misura minore, per The Squad, che combatte soprattutto all’interno delle istituzioni e che oggi vede moltiplicarsi i suoi membri e la sua influenza, creando un enorme problema all’establishment politico democratico – e non solo.

In definitiva, è questa avanguardia radicale senza precedenti di centinaia di migliaia di giovani americani, mobilitati e politicizzati nella campagna di Bernie Sanders e attraverso di essa, a dare il tono alle mobilitazioni sempre più massicce a favore di un cessate il fuoco immediato a Gaza. Inoltre, sta svolgendo un ruolo molto importante nel (salutare) chiarimento già in atto nella sinistra americana.

Ma se Bernie Sanders non ha osato conquistare la sua indipendenza rompendo con il Partito Democratico, ora le condizioni sembrano mature per realizzare finalmente ciò che non è stato fatto per un secolo: il passo storico di riunire in una formazione politica indipendente di sinistra tutti coloro che non solo non si sentono più rappresentati dai due grandi partiti tradizionali dell’establishment borghese americano, ma che ora si stanno apertamente rivoltando contro di essi.

In primo luogo, c’è la crisi simultanea e senza precedenti dei due principali partiti borghesi, che si è drammaticamente aggravata negli ultimi anni. A tal punto che si può parlare di una crisi storica dell’intero personale politico tradizionale degli Stati Uniti, di una crisi del sistema di governo e del suo discredito agli occhi della società, tanto più che all’orizzonte si profila la minaccia di una “guerra civile” intra-borghese.

C’è poi la tendenza alla convergenza dei movimenti sociali, che ora esprimono non solo l’opposizione ma anche la rabbia di ampi settori della società. A questo proposito, potrebbe rivelarsi decisivo il contributo del risorgente movimento sindacale americano che, soprattutto dopo le recenti mobilitazioni e gli storici successi, appare oggi probabilmente il più combattivo e importante di tutto il mondo occidentale.

Ma accanto e contemporaneamente al movimento sindacale, stiamo assistendo al rapido sviluppo del movimento giovanile e studentesco – anch’esso di importanza decisiva – che comincia ad assomigliare ai giorni migliori dell’opposizione popolare alla guerra del Vietnam.

Tutto questo avviene sullo sfondo di movimenti ancora molto vivi e attivi, come il movimento femminista, il movimento LGBT e, naturalmente, il movimento Black Lives Matter tra gli afroamericani, che ora si sta innestando su tutti gli altri, in primo luogo sul movimento femminista e sindacale.

I prossimi mesi determineranno se tutto questo mondo arrabbiato e radicalizzato deciderà di prendere la grande decisione di abbandonare il Partito Democratico e formare il proprio partito dei salariati e degli oppressi. Ma questa decisione non sarà presa nel vuoto, attorno a un tavolo, bensì nella lotta sempre più dura – e forse sanguinosa – che sarà inevitabilmente generata dalla resistenza contro il pericolo mortale di estrema destra, persino fascista, rappresentato da Trump e dal branco razzista e violento dei suoi sostenitori e delle milizie armate. Ma mentre è impossibile oggi prevedere chi vincerà, possiamo già essere certi di una cosa: il nostro presente e il nostro futuro dipenderanno in gran parte dall’esito di questo confronto…

Qui si può vedere e ascoltare (in inglese) il discorso di Rashida Tlaib alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, mentre difende con emozione il suo elementare diritto a non rimanere in silenzio di fronte al genocidio dei palestinesi.

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