Intervento di Renzo Penna in occasione dell’incontro pubblico “I giovani e la Resistenza – Storia e Musica, verso i 75 anni della Costituzione italiana” promosso da CGIL, ANPI, Laboratorio Civico e Istituto di Istruzione Superiore Umberto Eco, il 20/05/2023 ad Alessandria
Buon pomeriggio a tutte e a tutti.
In un pomeriggio nel quale stiamo per assistere al concerto del liceo musicale, diretto dal professor Enrico Pesce, e all’esibizione del corpo di ballo del liceo coreutico sotto la direzione della professoressa Michela Tartaglia… mi è stato assegnato un compito non semplice: quello di parlare di giovani e di Resistenza in un tempo che sarà necessariamente contenuto e riguarderà solo alcuni aspetti.
Care ragazze e cari ragazzi,
- Il primo: la Resistenza ha riguardato e coinvolto in prevalenza i giovani. I partigiani erano molto giovani. Quando, l’8 settembre del 1943, viene proclamato, dal maresciallo Badoglio, l’armistizio con gli anglo-americani, la loro età media è di 24,7 anni. 22.600 sono i giovanissimi, con una età compresa tra i 17 e i 19 anni; 24 mila sono quelli tra i 20 e i 23 anni, mentre i più grandi, in 14 mila, hanno tra i 24 e i 30 anni. In particolare la renitenza di massa alla leva del bando del ’43 della RSI o a quello tristemente noto di Graziani del ’44 che prometteva la pena di morte “mediante la fucilazione nel petto” per chi non aderiva, e riguardava le classi del 1923, ‘24 e ’25, ha fatto si che in molti, scegliendo la strada della lotta in montagna, hanno contribuito ad ingrossare le file del movimento partigiano, animati da un sentimento, anche prepolitico, di ribellione esistenziale nei confronti del regime.
Nella nostra regione, il Piemonte, oltre il 70% dei combattenti registrati alla fine della guerra aveva, o avrebbe avuto, nel caso dei caduti, un’età al di sotto dei trent’anni; il 60 % non aveva più di venticinque anni; un quarto dei casi al massimo venti.[1]
Per fare solo un esempio il nostro Pasquale Cinefra, il partigiano “Ivan”, presidente dell’Anpi provinciale, prima e Onorario, poi, nel ’43, aveva 17 anni.
Se alla fine del ’43 i partigiani erano poche decine di migliaia, nell’estate del 1944 sono diventati circa ottantamila per raggiungere il numero di duecentomila effettivi nella primavera ’45. Nella Resistenza hanno combattuto persone di ogni origine sociale e provenienza geografica e si è registrata una forte presenza femminile con circa 35 mila partigiane.
Tutti i resistenti affrontarono i maggiori rischi legati alla loro condizione di irregolari rispetto a quelli presenti in una guerra combattuta tra eserciti regolari e si registrarono circa 29 mila morti, mentre altri ventimila partigiani rimasero mutilati o invalidi.[2]
La forza del movimento partigiano si è fondata nella pluralità di posizioni che hanno rappresentato la sua principale ricchezza. Un fenomeno articolato ed eterogeneo, animato da singoli individui e forze politiche mosse da intendimenti ideologici differenti, ma tenuto insieme da un medesimo convincimento antifascista. Proprio questa è stata l’eccezionalità della Resistenza italiana, rispetto alle altre esperienze di lotta armata attive in alcuni Paesi europei. Gli italiani che scelsero di combattere la Resistenza o di sostenerla psicologicamente, logisticamente, materialmente, a rischio della loro stessa vita, seppero trovare un minimo comune denominatore collettivo e conservarlo il tempo necessario per condurre in porto quella lotta.
- Il secondo aspetto della Resistenza che voglio ricordare e che, soprattutto in questa sede, non posso mancare di sottolineare, come troppo spesso avviene; riguarda il ruolo avuto dagli scioperi, prima quelli del marzo ’43, quando gli operai delle fabbriche affrontarono la repressione fascista per rivendicare pace, lavoro e salari più giusti e, l’anno seguente, gli scioperi più politici del marzo’44 contro la dittatura e per la democrazia e la libertà, quando sfidarono le SS nonostante i pericoli della deportazione nei lager nazisti dai quali a migliaia non tornarono. Un aspetto sottostimato quello degli scioperi della classe operaia delle industrie del nord, in particolare delle tre regioni: Piemonte. Lombardia e Liguria, sia per la dimensione che è stata di massa – circa mezzo milione di scioperanti – che per il ruolo avuto contro la dittatura e, con la messa a rischio delle produzioni belliche, contro lo sforzo militare della guerra.
Un ruolo riconosciuto a livello internazionale dove ha suscitato, da parte degli Alleati, sia entusiasmo che preoccupazione – Churchill il 25 aprile ’45 parlò di “bolscevismo rampante”[3] – un ruolo che ha pesato in sede di Assemblea costituente, quando, all’articolo 1, si è deciso di fondare sul lavoro la Repubblica democratica italiana. Rappresentando in questo una caratteristica unica tra le Costituzioni moderne. Ed è stato Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, dopo la proclamazione della Costituzione, ad evidenziare il riconoscimento che in essa aveva avuto il lavoro.
Possiamo quindi sostenere che ha fatto parte della Resistenza anche il poderoso movimento di protesta di un grande soggetto collettivo: la classe operaia settentrionale. Il cui protagonismo ha spinto i costituzionalisti a immaginare la persona come titolare non solo dei diritti civili e politici, ma anche sociali e a interpretare il lavoro come condizione necessaria per l’esercizio della cittadinanza.
E’ stato questo carattere popolare della Resistenza che ha permesso all’Italia di dar vita ad un’Assemblea Costituente potendosi dare autonomamente una nuova Carta fondamentale che rimane ad oggi il momento più alto della nostra storia unitaria. Evitando al nostro Paese lo stesso destino del Giappone, a cui gli americani hanno imposto la carta costituzionale, o del caso tedesco, dove si è assistito alla fine della sovranità nazionale e dell’unità del Paese.
I valori di base dell’antifascismo e dell’impegno a battersi per la libertà della propria patria, umiliata e ferita, permisero così al movimento resistenziale non soltanto di svolgere una funzione difensiva e di supporto dell’azione militare degli Alleati, ma anche propulsiva per costruire un nuovo Stato, darsi rinnovate istituzioni democratiche e forgiare, nella durezza del combattimento, ma con doti di saggezza e di mediazione, una nuova classe dirigente.
- Il terzo aspetto: Il rapporto tra Resistenza e Costituzione. Ho voluto più volte segnalare lo stretto rapporto che è esistito tra Resistenza e Costituzione anche perché, in un Rapporto di ricerca su “Fascismo, Resistenza, Costituzione”, promosso dall’assessorato alla Cultura e Istruzione della Provincia di Alessandria e dall’ISRAL nel 1995, attraverso un dettagliato questionario curato dal professor Giuseppe Rinaldi che ha coinvolto 1161 giovani studenti delle diverse scuole, medie e superiori, il dato che più mi ha sorpreso tra quelli raccolti ed esaminati è che solo il 38,5% dei ragazzi era stato in grado di collegare la Resistenza con la Costituzione della Repubblica. Il rapporto completo, rielaborato da Rinaldi nel 2015, lo potete trovare sul sito dell’associazione “Città Futura”.
Vediamo adesso le date, tra loro molto ravvicinate, di quei passaggi fondamentali per la nostra democrazia:
– il 25 aprile 1945 con la fine della guerra e la Liberazione dal nazi-fascismo si completa il passaggio, iniziato il 25 luglio ’43 con l’arresto di Mussolini, dal fascismo alla democrazia;
– il 2-3 giugno 1946 con il referendum istituzionale l’Italia, a maggioranza, sceglie la Repubblica e abbandona la monarchia. Per la prima volta nella storia le donne votano e, al pari degli uomini, eleggono l’Assemblea Costituente;
– il 22 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente approva la Costituzione che entra in vigore il primo gennaio 1948, e, il prossimo gennaio, compirà 75 anni.
A questo punto, care ragazze e cari ragazzi,
Chi oggi, anche cariche di rilievo, sia del Governo che delle Istituzioni, per ragioni di reticenza o, peggio, per un intento revisionista volesse considerare e definire la nostra Costituzione, scaturita in quel contesto e in quelle condizioni, come a-fascista (non fascista), e non antifascista, e intendesse, come si intende, chiamare la festa del 25 aprile genericamente come della libertà e non della Liberazione dal nazi-fascismo, commetterebbe non solo un falso storico, ma una offesa e una mancanza di rispetto a quelle decine di migliaia di italiani, moltissimi i giovani, che la Resistenza hanno fatto, rischiando la vita, e a quelle centinaia di migliaia di operai, molti di loro anch’essi giovani, che hanno scioperato contro la guerra, la dittatura e i nazisti, rischiando la deportazione.
Ecco il perché dell’importanza della memoria e la necessità, ancora oggi, di stringersi attorno alla nostra Costituzione perché, come ha ricordato di recente il presidente Mattarella, “l’antifascismo è la nostra costituzione”, il prodotto della Resistenza e della volontà antifascista dei padri costituenti.
- Le preoccupazioni per la Costituzione. Abbiamo ricordato che la Costituzione italiana raggiungerà, nel nuovo anno, i 75 anni dalla sua proclamazione. A tale proposito l’Anpi condivide le forti preoccupazioni sul futuro della Carta espresse dal Professor Gustavo Zagrebelsky nel suo ultimo volume: “Tempi difficili per la Costituzione”.
Preoccupano soprattutto i disegni di modifica in atto o preannunciati dal Governo, tentativi più o meno scoperti di rivedere l’intero impianto costituzionale. In primo luogo il disegno della cosiddetta autonomia differenziata rivendicata da alcune Regioni del nord, le più ricche, che rischia di dividere ulteriormente il Paese e penalizzare dal punto di vista economico e sociale il mezzogiorno. E i pericoli insiti nella proposta del presidenzialismo, con l’elezione diretta del premier o del presidente della Repubblica, voluta dall’attuale presidente del Consiglio. Proposta che, da subito, mette in discussione l’istituzione che in questi ultimi decenni ha dimostrato di meglio funzionare, quella del Presidente della Repubblica, e prospetta la spaccatura del corpo elettorale in due fronti contrapposti: chi difende i valori costituzionali fondativi e sostiene le forme di una democrazia partecipativa e chi intende semplificare le forme di decisione dell’esecutivo affidandosi al mito dell’uomo (o della donna) forte e solo al comando, mentre il popolo obbedisce.
Un’esperienza tragica, questa seconda, che il nostro Paese ha già vissuto e sarebbe bene non ripetesse.
- In ogni caso, care ragazze e cari ragazzi, quando si parla di Costituzione sarebbe bene evitare sempre la retorica, non fermarsi all’elencazione degli articoli e alla declamazione dei principi, ma analizzare lo stato della loro reale applicazione, ragionare sulle cause degli eventuali impedimenti e dei ritardi e mettere in conto l’obiettivo di un maggiore e personale impegno. Anche perché la situazione non risulta particolarmente confortante.
Dopo gli anni ’60 e ’70 che avevano visto – anche per la mobilitazione di studenti e lavoratori – la realizzazione di significative riforme situate all’interno di un sistema di welfare inclusivo e universalistico, capaci di affermare e coniugare i diritti civili e politici con i diritti sociali, contribuendo alla forte riduzione delle diseguaglianze, gli ultimi trent’anni, con il prevalere delle politiche neoliberiste, con al centro il dogma del mercato “capace di autoregolarsi” e i processi di globalizzazione, hanno visto, da noi come nel resto di Europa, mettere progressivamente in discussione e regredire i diritti e le componenti dello Stato sociale. Come conseguenza l’impalcatura della Costituzione, favorevole alla solidarietà, all’eguaglianza, all’emancipazione dei lavoratori e al valore del lavoro, ne è risultata scossa e lesionata.
Una condizione i cui riflessi riscontriamo tutti i giorni e che penalizzano, soprattutto, i giovani e, in generale, donne.
Facciamo qualche esempio:
- a) Il lavoro, quello su cui è fondata la Costituzione (art. 1 e 4) è stato reso precario, provvisorio, privato dei diritti e delle protezioni, mentre le retribuzioni, scandalosamente insufficienti, stanno rendendo poveri anche una parte non secondaria di lavoratori (art. 36) E il 77%dei contratti a termine e precari riguarda i giovani, mentre nell’area OCSE è solo il 20%. Nelle maggiori città, poi, il problema della casa, gli sfratti, l’esosità degli affitti che, come hanno messo in luce le recenti proteste degli studenti, stanno precludendo l’università a troppi ragazzi (art.34).
- b) Il sistema sanitario pubblico, quello universalistico della riforma del 1978, si è rivelato impreparato e fragile nella pandemia e carente nelle strutture. Se i tagli delle risorse dovessero continuare la prospettiva certa è di una sanità pubblica dequalificataper chi non ha altre possibilità e una privata per i ricchi (art. 32). Il tutto mentre cresce la concentrazione della ricchezza e aumentano le persone povere e in difficoltà, segno di una società ingiusta e diseguale.
Un presente e un futuro carico di problemi per le nuove generazione, non a caso le più sensibili e attente all’ambiente e ai cambiamenti climatici in atto che rischiano, tra troppe interessate resistenze, di far scivolare il mondo verso la catastrofe ecologica, e alle quali nel nostro Paese toccherà un compito importante: quello di salvare i valori della Resistenza e della democrazia. Superando le vuote discussioni e sapendo anche ribellarsi e dire dei no ai dogmi del modello competitivo che oggi viene loro imposto, indignandosi di fronte alla violazione e alla messa in discussione dei diritti e delle libertà che la Costituzione con puntualità prevede.
Un altro buon modo per trasformare la liturgia in qualcosa di meno retorico può anche essere quello di conoscere meglio la nostra associazione, l’Anpi, di parteciparvi e, magari, iscriversi. Quest’anno la festa nazionale dell’Anpi si svolge a Bologna, dall’1 al 5 di giugno e la giornata del 5 sarà interamente
6) Care ragazze e cari ragazzi, non voglio dispensare consigli. Ma una cosa che a me è risultata utile per discernere tra fascismo, antifascismo, resistenza e Costituzione è stata sicuramente la lettura, I testi sono molti e certo arricchiscono la materia ma, devo dirvi che quelli che sono risultati per me decisivi nel comprendere cosa era successo e farmene una ragione definitiva sono stati quelli fondamentali. In particolare le prime testimonianze di Primo Levi e Leonardo De Benedetti e il loro rapporto sul campo di Auschwitz, “Così fu Auschwitz” presentato al governo dell’Unione Sovietica su richiesta del comando russo che aveva liberato il campo, tra il ‘45 e il ‘46. E, sempre di Primo Levi, l’indispensabile “Se questo è un uomo”. A questi due mi sento di aggiungere un testo molto più recente, ma di grande importanza: il memoriale della Resistenza italiana “Noi Partigiani” curato da Gad Lerner e Laura Gnocchi con oltre 400 interviste filmate di partigiani.
E, da ultimo, vi consegno una personale esperienza che in un momento difficile a me è risultata utile e siccome problemi, difficoltà, ostacoli, momenti di crisi nel nostro vivere convulso non mancano ecco, se vi capita, in quei momenti, salite, come mi è capitato di fare, a Capanne di Marcarolo, andate in un pellegrinaggio laico alla Benedicta.
Ma non fatelo nei giorni ufficiali delle manifestazioni, c’è troppo confusione. Scegliete una bella giornata, in primavera, in autunno, andateci con un amico, con il ragazzo, la ragazza e anche da soli.
Fermatevi tra i ruderi del monastero che i nazisti, per dispregio, hanno distrutto. E scendete a piedi verso i cippi che ricordano i caduti, nella conca dove sono stati fucilati 147 partigiani e leggete sul marmo dei monumenti i nomi di quei tanti incolpevoli ragazzi che non volevano andare in guerra, ma vivere lo loro vita.
Sarà un modo per riconoscere il loro sacrificio che ha permesso a noi, ai vostri genitori e nonni quasi 80 anni di democrazia e pace. Valori che, come questo momento dimostra, non sono conquistati per sempre, ma vanno continuamente difesi.
Un modo semplice per dire loro grazie.
A me è servito… salite anche voi, alla Benedicta.
(Alessandria, 20 maggio 2023)
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