AMBIENTE. L’obiettivo, entro il 2030, di 60 GigaWatt di rinnovabili, è possibile. Si può realizzare anche prima, se gli investimenti partono con iniziative pubbliche conseguenti
Finalmente Cingolani in una intervista ha parlato chiaro e così scopriamo che tutti i suoi detti e non detti del passato sono riconducibili ad un ministro che sta alle politiche per l’ambiente come la volpe nel pollaio.
Ora è chiaro perché da quando è in carica ha parlato molto, spesso a sproposito e in modo ondivago, ma ha combinato ben poco, basta pensare che le semplificazioni proposte dopo ben due decreti-legge hanno lasciato la situazione praticamente immutata. Ecco alcuni esempi.
Non risulta che il Governo, in mora da un anno, abbia finalmente inviato a Bruxelles quella sorta di piano regolatore del mare che dovrebbe consentire alle aziende che vogliono investire nell’eolico off-shore di farlo (a 20/30 chilometri dalla costa) tenendo conto che le autorizzazioni in questo caso dipendono tutte dal Governo, quindi, non si possono scaricare colpe su Comuni e Regioni. Come non risulta che il Governo abbia approvato, su proposta del ministro un provvedimento per attribuire finalmente a Terna le decisioni, non la proprietà, sui pompaggi idroelettrici che valgono fino a 7,6 GigaWatt, una quantità ingente che potrebbe stabilizzare in rete l’offerta di energia elettrica da energie rinnovabili. A questo proposito: l’idroelettrico spesso non viene ricordato tra le fonti rinnovabili, eppure ci sono ancora margini di crescita come dimostra il Comune calabrese che ha ripristinato un piccolo impianto per produrre energia elettrica. Manca un piano per un progetto nazionale di efficientamento e di nuovo idroelettrico.
Non risulta dalle parole di Cingolani che sia a conoscenza del fatto che Terna stia realizzando un importante elettrodotto Sud/Nord per raddoppiare quello esistente, scelta che semmai andrebbe meglio valutata per evitare la desertificazione energetica dell’industria del Mezzogiorno.
Ancora più curioso l’elenco dei problemi da risolvere indicati dal ministro, che dovrebbero essere ben presenti nel programma di azione del Governo ma che invece sembrano stupire il ministro, quasi non fosse suo il compito di risolverli.
L’obiettivo di 60 GigaWatt di rinnovabili entro il 2030 è del tutto possibile e si può realizzare anche prima, se gli investimenti partono, ma occorre finalizzare le iniziative pubbliche a questi obiettivi. Ad esempio, una parte dei fondi riservati al cosiddetto 110 % potrebbero essere destinati anche al fotovoltaico, obbligandone l’installazione sui nuovi edifici, scuole, sedi pubbliche e aiutando i privati che lo installano. Se bisogna fare di più anche le iniziative debbono essere coerenti. Le alternative sono restare senza gas o continuare come prima ad inquinare e a produrre CO2.
Il Governo continua a non presentare un piano per il risparmio energetico nel settore industriale e non fa nulla per supportare al massimo possibile la produzione nazionale nei settori delle rinnovabili (Enel ha investito in Sicilia nei pannelli Ftv) con particolare riguardo ad accumulatori e microchip, che sono obiettivi europei.
Affermare che puntare sulle rinnovabili ci mette alla mercé della Cina è solo la conferma della pochezza dell’iniziativa del Governo. Curiosa poi l’amnesia del ministro sul Pnrr che prevede di arrivare a 25.000 punti di ricarica delle auto elettriche.
Come Osservatorio sul Pnrr abbiamo proposto da mesi che il Governo convochi rapidamente una conferenza nazionale per presentare un nuovo piano energia/clima che metta insieme in modo chiaro obiettivi, risorse, tempi di realizzazione. Per settori decisivi dell’industria nazionale, come la siderurgia, occorre arrivare ad usare l’idrogeno prodotto da rinnovabili, che Snam ha chiarito potrebbe essere distribuito utilizzando i gasdotti esistenti. Mentre oggi scopriamo che il ministro punta sui carburanti sintetici (suggerimento di Eni?) per ritardare la dismissione dei motori endotermici (favore ai produttori in ritardo sull’elettrico?).
Ora si comprende perché il ministro Cingolani si sia schierato con Il Ppe per fare saltare il programma europeo “Fit for 55”, in appoggio alle aziende automobilistiche in ritardo sull’elettrico e all’Eni che punta sui carburanti sintetici.
Insistiamo. Draghi deve intervenire per superare la confusione e l’inazione del ministro, altrimenti diventerebbero privi di effetti gli appelli in sede internazionale – anche recentissimi – affinché le crisi incombenti (energia/grano) causate dall’invasione dell’Ucraina non facciano passare in secondo piano la gravissima crisi climatica.
Draghi convochi al più presto una conferenza nazionale per presentare al paese le proposte del Governo italiano per un nuovo piano energia/clima all’altezza delle sfide attuali e degli obiettivi UE, da costruire in un confronto con tutti i soggetti interessati.
(il manifesto, 17 giugno 2022)
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