Piergiorgio Bellocchio, l’ordito intellettuale di un «testimone secondario» di Giuseppe Muraca

 

RITRATTI. Dalla stagione dei movimenti degli anni ’60 alla recente voluta distanza dall’agone politico

Con la morte di Piergiorgio Bellocchio, avvenuta a Piacenza all’età di 90 anni, scompare uno degli scrittori più appartati degli ultimi vent’anni. Nato nel 1931, egli ha fatto parte di una generazione di intellettuali che si sono formati nel corso degli anni ’50 e che nei decenni successivi hanno offerto un contributo determinante al rinnovamento della sinistra italiana e della cultura contemporanea.

 

APPARTENENTE ad una famiglia della media borghesia piacentina (il padre era avvocato e la madre maestra, uno dei fratelli, Marco, diventerà uno dei registi più rappresentativi del cinema italiano contemporaneo), Bellocchio è rimasto legato alla cittadina emiliana ininterrottamente. Dopo la maturità classica si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università del capoluogo lombardo, ma presto ha abbandonato gli studi per dedicarsi a un’intensa attività culturale. Per la sua formazione particolare importanza ha rivestito la lettura dei grandi scrittori dell’800 e del 900, di saggisti come Gramsci, Gobetti, Sartre, Lukacs, S. Weil, Adorno, Kracauer, A. Hauser, E. Auerbach, E. Wilson, di Benjamin, di Orwell e l’incontro con il cinema, con i film di registi come Rossellini, Chaplin, Losey, Ford, Wyler, Kubrik.

Tra il ’58 e il ’60 partecipò alla fondazione e all’attività del circolo «Incontri di cultura». In quel periodo conobbe Franco Fortini, la cui assidua frequentazione contribuì in maniera determinante alla sua maturazione intellettuale, alle sue scelte culturali e al suo orientamento ideologico. Le altre tre figure importanti per la sua formazione furono quelle di Danilo Montaldi, autore, fra l’altro, del bellissimo libro Autobiografia della leggera, (che in seguito ha definito «il migliore esempio di libertà e coerenza che io abbia incontrato nel mondo intellettuale»), di Raniero Panzieri, morto nel ’64, fondatore e direttore della rivista i Quaderni rossi, e di Giovanni Pirelli, curatore insieme a Piero Malvezzi, delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana.

 

LA SUA FASE DI MAGGIORE impegno è coincisa con l’esperienza dei Quaderni piacentini, la rivista piè rappresentativa della nuova sinistra, condotta insieme a Grazia Cherchi e dal ’65 a Goffredo Fofi, con intellettuali del calibro di Fortini, Vegezzi, Asor Rosa, Roversi, Cases, Giovanni Giudici, Sebastiano Timpanaro, Renato Solmi, Edoarda Masi, Carlo Donolo, Federico Stame, Michele Salvati, Elvio Fachinelli. Ma quando alla fine degli anni ’80 Piergiorgio Bellocchio ha pubblicato Dalla parte del torto, malgrado avesse fondato insieme a Alfonso Berardinelli quattro anni prima la rivista Diario, per molti è stata una sorpresa, una rivelazione: ad esempio, tra i giovani lettori del libro quanti conoscevano la singolare esperienza politico-culturale dei Quaderni piacentini? Nel ’66 Bellocchio aveva sì pubblicato il volume di racconti I piacevoli servi, però quello era rimasto per più di vent’anni il suo unico libro, e chi lo conosceva e lo aveva frequentato si era abituato a questa lunga pausa. Se ciò a prima vista può destare meraviglia in realtà si giustifica col fatto che lo scrittore di Piacenza aveva ben poco del tipico intellettuale alla moda, delle vedettes della cultura che fanno a gomitate per farsi notare e affollano le giurie dei premi letterari, le redazioni radiotelevisive, dei giornali e delle case editrici. In fin dei conti lui ha sempre amato considerarsi un «testimone secondario» (secondo una calzante definizione di Cesare Cases che ha fatto sua), e non per semplice vezzo bensì per un desiderio congenito di tenersi lontano dalle risse e dal blà blà, di lavorare ai margini o fuori dai grandi circuiti culturali.

Però dopo Dalla parte del torto ed Eventualmente egli ha avvertito sempre di più l’esigenza di «mettere un po’ di ordine tra le proprie cose», si è sentito quasi in dovere di fornire al lettore i suoi precedenti di scrittore e saggista, e di archiviarli. É nato così L’astuzia delle passioni, pubblicato dopo rinvii e incertezze di vario genere; una sorta di «diario in pubblico» che raccoglie i testi più significativi scritti e pubblicati dal ‘62 all’‘83, un libro che si presta a rappresentare in maniera esemplare non solo il percorso intellettuale del suo autore ma anche la parabola di una generazione di intellettuali militanti che ha vissuto con profonda partecipazione la stagione dei movimenti.

 

NEL CORSO DEGLI ANNI ‘90 lo scrittore piacentino ha goduto di una certa notorietà e per un certo periodo è diventata abbastanza frequente la sua presenza sul giornale L’Unità. Ma in questi ultimi anni Bellocchio è diventato «invisibile», però questo autoisolamento non è dovuto solo a stanchezza ma a una scelta consapevole nata dal desiderio di appartarsi, di tenersi lontano dall’agone politico. Dopo anni di quasi totale silenzio, nel 2007 ha pubblicato Al di sotto della mischia (Scheiwiller), e nel 2020 Un seme di umanità (Quodlibet) che confermano la sua totale estraneità dal sistema politico e culturale dominante.

 

(il manifesto, 20 aprile 2022)

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