Venga presto un’istruzione a forma di persona di Carla Pagliero e Diego Giachetti

 

Cambiamo la Scuola. Per un’istruzione a forma di persona (Eris edizioni, Torino 2021) è un ottimo spunto per ricominciare a parlare di scuola, in un periodo in cui la pandemia di Covid-19, che ci aveva illuso, inizialmente, di poter pensare e ridisegnare le priorità e le finalità del nostro modello di sviluppo in fatto di ambiente, sanità, istruzione, ci ha messo di fronte alla cruda realtà e ci ha fatto capire, come scrivono Chiera Foà e Matteo Saudino nelle loro riflessioni, che un’epidemia non è sufficiente per rivoluzionare un sistema fortemente segnato dalla costante ricerca del profitto e del vantaggio personale, per far questo occorre un’autentica rivoluzione copernicana politica, economica, culturale, che ponga la scuola, la salute, il benessere comune e l’armonia persona-natura al centro dell’esistenza. E’ quello che il coraggioso ed entusiastico lavoro di Chiara e Matteo si propone di fare in continuità con altri lavori già intrapresi in tante possibili modalità, come il seguitissimo blog Barbasophia di Saudino sulla filosofia, le lezioni all’aperto per tentare di ricucire una normalità in questo periodo surreale, i dibattiti sollecitati e proposti sui social, il loro contatto diretto con il problema educativo anche in veste di genitori, oltre che di insegnanti, il loro impegno politico e sindacale.

Cambiamo la scuola, appare da subito scritto con un’ottica interna al mondo della scuola, da persone che capiscono e vogliono riflettere sul loro lavoro, un lavoro che coincide con il proprio vissuto e non è il frutto di astratti discorsi teorici o banali luoghi comuni, una visione che tutti noi, che viviamo sulla nostra pelle il sistema scolastico, ci auguriamo di trovare negli esponenti istituzionali quando viene nominato un Ministro dell’Istruzione, ad esempio, e che poi finiamo per liquidare con un “ecco un altro che della scuola non capisce proprio niente”. Ed ecco che nel libro vengono sottolineate le difficoltà più importanti ed evidenti per tutti, tutti quelli che, ovviamente, il mondo della scuola lo vivono di persona, a partire dal carattere denigratorio con cui viene trattata e considerata questa professione dai mass media e dai social, cui fa seguito una sensazione di isolamento e incomprensione all’interno del tessuto sociale e un senso di frustrazione profondo, che accomuna, va detto, tutti i lavori a carattere pubblico istituzionale e, in ultima analisi, anche quelli politico-amministrativi. Un assioma che in questi anni ha finito per gettare addosso al settore pubblico tutte le malefatte e le contraddizioni della crisi economica, culturale, sociale che stiamo vivendo, evitando, momentaneamente, giudizi significativi sulla frammentaria, incoerente, confusa e, spesso, cannibalistica iniziativa privata.

Le carenze rilevabili oggi nel mondo della scuola sono molteplici e vengono illustrate nel testo, dove, in particolare, si denuncia la scarsità di risorse investite in questo settore, che hanno portato, con i tagli pesantissimi delle ultime finanziarie, ad una riduzione consistente degli insegnanti e del personale scolastico, costretti a lavorare in classi stipate al massimo, con 30/32 allievi, e tagliando anche sugli insegnanti di sostegno, lavoratori indispensabili per il supporto degli alunni portatori di handicap. Da almeno un ventennio tutti i governi di varia sfumatura, hanno infierito con tagli di spesa aggiudicando al nostro Paese il merito di avere, tra quelli europei, una delle più basse percentuali di PIL investite nel settore educativo.

Questa scuola nel pamphlet viene descritta come un’orribile Hydra con 5 teste, un’istituzione-mostro che accoglie nella maniera peggiore ben 8 milioni di studenti, quasi un milione di addetti alla loro formazione fra insegnanti, personale tecnico e amministrativo e operatori scolastici cui vanno aggiunti i genitori degli alunni che si trovano spesso a frequentare, loro malgrado, locali scolastici vecchi, degradati e obsoleti, non attrezzati a cogliere i cambiamenti consistenti che la scuola ha dovuto affrontare in questi ultimi decenni. Come si è visto in maniera eclatante, nel periodo del Covid-19, quando la scuola si è trovata ad affrontare un salto nel vuoto dovendosi confrontare con una didattica digitale innovativa e ormai ineludibile e che non ha fatto altro che sottolineare le differenze, incolmabili, fra alunni digitalizzati e no, poveri e ricchi, garantiti e “invisibili”. Quegli alunne/i che la realtà virtuale della Didattica a Distanza, ha fatto scomparire in senso stretto, vanificando il grosso lavoro di inclusione di soggetti fragili fatto in questi anni. Una recente ricerca condotta da IPSOS, afferma che circa 34 mila studenti rischiano di alimentare il fenomeno dell’abbandono scolastico e, contestualmente sostiene che, con l’impoverimento delle famiglie causato dall’epidemia, per molti di queste studentesse e studenti, lasciare la scuola significa divenire facile preda di sfruttamento lavorativo.

Una scuola parcheggio, che gestisce con una “testa” aziendale un prodotto importante solo nei suoi aspetti economici e commerciali – il mercato delle case editrici, delle “gite” scolastiche, o più di recente di tre milioni di banchi “a rotelle”, acquistati con compiacente e ingenuo beneplacito ministeriale, per fronteggiare il Covid. Una scuola dove non si parla più di didattica ma ci si esprime in “didattichese”, neolingua obbligatoria nell’“azienda”, cercando, soprattutto, di tutelarsi da eventuali azioni legali erigendo un solido e sperimentato muro di regole burocratiche. Una scuola d’“élite”, valida, soprattutto, per chi problemi di apprendimento non ne ha e che può permettersi corsi, stage all’estero e formativi, supporti pedagogici e tecnologici all’avanguardia.

Cambiamo la scuola si presenta come un manifesto di marxiana memoria, e come tale propone delle parole d’ordine chiare, sintetiche ed in linea con il lavoro politico svolto da Chiara e Matteo, in questi anni, all’interno del sindacato scuola della CUB e nei comitati civili e politici di cui si sono fatti promotori. La scuola che si propone con decisione nel testo è profondamente diversa da quella attuale. Un luogo che pone al centro delle attività il laboratorio, dove poter recuperare modalità virtuose dal punto di vista pedagogico, relazionale, culturale e porre, finalmente, al centro dell’attenzione la persona nella sua interezza per formare l’essere umano, secondo la definizione classica del termine, quella data prima dell’avvento dell’homo oeconomicus dei mercati, la cui principale caratteristica è la cura dei propri interessi individuali. Una scuola/laboratorio dove recuperare l’apprendimento autonomo e relazionale, in attività peer-to-peer, dove insegnanti, alunni, addetti scolastici possano lavorare insieme in un ambiente sereno e non competitivo. Una scuola ecologica, termine che oggi assume un peso filosofico concettuale estremamente significativo, legato anche all’uso politico che se ne può fare, e che nel libro viene definita, con un’immagine sintetica, “vitruviana”.

Gli autori concludono l’opera con l’indicazione di alcune cose da fare per riaprire davvero la scuola, quella degli allievi e non degli utenti o dei clienti, a cominciare dallo svuotamento delle aule riempite oltre al limite consentito persino dai regolamenti sulla sicurezza, nelle cosiddette scuole–pollaio. Le classi devono essere composte da 20 alunni, 15 se ci sono disabili. Una didattica laboratoriale è impensabile con 27, 30, 33 studenti assembrati in aule obsolete e fatiscenti. Un numero maggiore di classi richiede, ovviamente, un piano straordinario di assunzioni di insegnanti e di lavoratori ATA formati e qualificati per attivare una didattica di qualità. Piano che, con l’emergenza della pandemia, ci si sarebbe augurato di veder proposto per l’assunzione del nuovo personale, in luogo del famigerato concorso su due livelli che è stato invece mandato avanti, come da copione. Propongono, inoltre, la presenza di una figura stabile di ausilio con competenze psicologiche e spazi stabili di ascolto, sia per gli studenti che per i lavoratori della formazione; una scuola che sia al centro della vita del quartiere e del proprio contesto territoriale, aperta, quindi, anche al pomeriggio, grazie all’assunzione di personale qualificato e alla collaborazione con cooperative e associazioni culturali e sportive urbane; che si inizi subito i lavori di edilizia scolastica necessari alla manutenzione e ristrutturazione degli edifici pubblici già esistenti e, laddove sia opportuno, alla costruzione di nuove infrastrutture che siano adeguate ai cambiamenti in atto e li usino in un nuovo sistema progettuale che favorisca l’apprendimento, il benessere e la crescita degli alunni, ma che sia anche un luogo di lavoro sano e piacevole per i formatori e per chi si trova ad interagire con gli spazi educativi a vario titolo e ruolo.

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