Nell’ultimo anno l’amministrazione degli Stati Uniti e i governi vassalli di Brasile, Ecuador, Bolivia e altri paesi latinoamericani hanno sferrato un duro colpo a Cuba imponendo la brusca fine dei programmi di cooperazione sanitaria con pretesti vari, tra cui quello grottesco della lotta alla “moderna schiavitù”, che presenta come “tratta di umani” l’invio di consistenti contingenti di medici e personale sanitario cubano in ben 26 paesi, tra cui molti poverissimi come Haiti, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, ecc., a prescindere dall’orientamento politico dei loro governi.
In 55 anni –rivendica un comunicato del Ministero di Salute di Cuba- l’Isola ha realizzato 600.000 missioni internazionaliste in 164 nazioni, alle quali hanno partecipato circa 400.000 lavoratori della salute, a volte trattenendosi per lunghi periodi. Ciò si è verificato in occasione della lotta contro l’Ebola in Africa, le campagne oculistiche in America Latina e nei Caraibi, contro il colera in Haiti e la partecipazione di 26 brigate del Contingente Internazionale di Medici Specializzati in Disastri e Grandi Epidemie “Henry Reeve” in Pachistan, Indonesia, Messico, Ecuador, Perù, Cile e Venezuela, ed altri paesi. Anche negli anni della guerra fredda questo intervento era stato bene accolto. Ora, al tempo di Trump e Bolsonaro, il ritiro da molti paesi latinoamericani è stato chiesto con pretesti vari, ma soprattutto reso necessario dal clima di insicurezza e dalle manifestazioni di ostilità organizzate dai nuovi governanti, che hanno imposto il rapido rientro in patria di 700 medici dalla Bolivia, 8500 dal Brasile, numeri minori, ma sufficienti a scardinare progetti sanitari a lungo termine, in Ecuador e in diversi altri paesi. L’argomento della “moderna schiavitù” è stato usato dagli Stati Uniti a livello propagandistico perfino nel corso del dibattito all’ONU sull’embargo a Cuba, ma con poca credibilità, dato che perfino in un clima di tumulti e di cambio di governo pochissimi medici hanno scelto di non rientrare a Cuba facendo fallire il tentativo di arruolare qualche medico nella nuova campagna contro l’isola “liberandolo dalla schiavitù”.
Ma la campagna colpisce lo stesso Cuba perché la priva di entrate importanti (si calcola tra i sei e gli otto miliardi di dollari tra rimesse dei medici, contributi degli Stati in grado di partecipare alla spesa, e donazioni) e punta a rilanciare un’accusa infamante, non potendo usare quella, poco credibile da decenni, della sovversione nel continente.
La vera motivazione del nuovo attacco è un inverosimile rilancio della dottrina Monroe, che si basa su una mistificazione che vede ovunque e ingigantisce una presenza russa o cinese, che tra l’altro è solo commerciale, e perfino dell’Iran. In ogni caso, anche se ci fosse, non giustificherebbe la pretesa di Washington di colpire chiunque trasporti a Cuba petrolio venezuelano, e la decisione di impedire ai suoi cittadini perfino i viaggi turistici e le crociere a Cuba, oltre a porre limiti rigidissimi all’invio di aiuti alle famiglie da parte di membri della comunità cubana residenti da decenni negli Stati Uniti. Il tutto nel quadro dell’attivazione dei punti III e IV della legge Helms-Burton del 1996, che tutti i precedenti presidenti non avevano controfirmato mentre ora naturalmente Trump lo ha fatto senza esitare.
Per ora i risultati per gli USA sono modesti: nella ennesima votazione (è la ventottesima!) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite su una mozione sulla “Necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti contro Cuba”, il solo Brasile si è aggiunto ai promotori USA e Israele, mentre la Colombia si è astenuta insieme all’altro fantoccio prediletto di Trump, l’Ucraina. Ma era davvero troppo trovarsi in una simile compagnia perfino per un estremista di destra come Duque, presidente di un vero narcostato, e che a Cuba rimprovera soprattutto il contributo dato agli accordi di pace con le guerriglie storiche delle FARC e ai tentativi di sbloccare quelli con l’ELN. Ma la Colombia, membro associato alla NATO e partner degli USA più affidabile del Brasile guidato da fascisti imprevedibili, può essere molto utile agli Stati Uniti per distruggere o almeno indebolire il lascito più importante di Hugo Chávez, l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) e la CELAC (Comunidad de Estados del Caribe), da cui si sono già ritirati diversi paesi oltre il Brasile, o da cui si vorrebbe espellere Cuba ritornando alla situazione di subalternità assoluta agli USA.
Inutile dire, nessun sostegno a Cuba può venire da un’Europa incapace del più piccolo gesto di indipendenza sostanziale. E un’antica esperienza rende poco credibile un maggior impegno da parte di Russia o Cina. Mentre l’imperialismo statunitense, che non è l’unico, ma è ora senza freni e senza maschera, ha deciso di riprovare un assalto diretto all’isola che contro ogni previsione e malgrado diversi errori del suo gruppo dirigente resiste da decenni a un assedio feroce, e dà scandalo mantenendo un sistema di istruzione e assistenza sanitaria generalizzate e gratuite che sono invidiate dagli strati più poveri di tutto il continente, Stati Uniti compresi. Anche chi non ha condiviso alcuni aspetti della politica internazionale cubana in Africa o nella stessa America Latina, e anche alcune scelte economiche che intaccavano la grande tradizione egualitaria della rivoluzione e quindi la indebolivano, ha il dovere di sostenere la sua resistenza a un attacco che mira a cancellare dalle radici una rivoluzione che ha dato una lezione di dignità a tutto il mondo.
(tratto del sito: Movimento operaio, Lunedì 03 Febbraio 2020)
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