Napoleone diceva di preferire i generali fortunati a quelli più militarmente e strategicamente preparati; e Machiavelli precisava di ritenere la fortuna «arbitra della metà delle azioni nostre» descrivendola con un paragone molto adatto a quello che sta succedendo in questi giorni, come «uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s’adirano, allagano è piani, ruinano gli alberi e gli edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell’altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare».
Non intendo assolutamente entrare nella discussione sulle colpe e sugli eventuali meriti di questo governo, così detto ‘giallorosso’, se non per notare che esso – fatto piuttosto insolito – non gode dell’appoggio o, almeno, della benevola attenzione di nessun giornale. Ma nessuno, mi pare, ha notato come esso sia nato già sotto il segno della sfortuna (o ‘sfiga’, termine brutalmente maschilista, ma molto efficace perché descrive la situazione di coloro che hanno poca o nessuna fortuna con le donne: si sa, la fortuna è femmina).
Già il fatto che questo governo sia nato come accordo fra due forze politiche che, per usare un eufemismo, si erano cordialmente antipatiche fa pensare alla disgrazia di quelle giovinette che (in tempi si spera passati) venivano obbligate a sposare un vecchiaccio, per ragioni di convenienza – ma in questo caso non si sa neppure chi sia il vecchiaccio e chi la giovinetta. E soprattutto l’aver dovuto contrarre questo indesiderato matrimonio con il preciso compito di evitare l’aumento dell’IVA ha costretto la nuova famigliola a mettere su casa senza avere neppure i soldi per arredarla. Il che ha provocato i primi litigi: “qui ci voglio una lampada” “No, qui ci vuole un tavolino”.
Questo è niente in confronto alle disgrazie che si sono scatenate immediatamente dopo la mai esistita luna di miele: due disgrazie entrambe fatali, entrambe naturali.
Già, perché la questione dell’ILVA va considerata come talmente incancrenita e consolidata nella storia dell’industria italiana, da essere percepita appunto come ormai naturale e quindi fatale, come era naturale e fatale che la relativa gara fosse vinta da Arcelor-Mittal, per la semplice ragione che si tratta del gruppo siderurgico più grande e potente del mondo.
Ancora più evidentemente fatale e naturale (ma si tratta soltanto di percezione) la seconda disgrazia piombata sulla povera coppietta, e, si noti, in perfetta contemporanea con la prima: la saggezza popolare dice che le disgrazie non capitano mai sole. Per questo, ma non solo per questo, si poteva in qualche modo prevedere: sono diversi anni che viviamo in un clima ormai tropicale, con una stagione delle piogge, che possono, come dice Machiavelli, distruggere le case e far franare le montagne, seguita da una stagione secca che mette a rischio i raccolti e priva dell’acqua interi paesi e, soprattutto, le piccole medie imprese (le famose MPI che costituiscono l’asse portante delle nostre esportazioni) di cui peraltro la tempesta ha già distrutto i capannoni.
In verità un maltempo di questa portata non c’è stato mai, e non solo per l’acqua alta di Venezia: nel 1966 (io c’ero, perché sono veneziano) non soffiava quel forte scirocco che quest’anno ha contribuito al disastro. Ma anche e soprattutto perché i fenomeni hanno colpito tutta l’Italia. Contemporaneamente. E questo, forse, era meno prevedibile.
Tuttavia, a questa coppia di sposi forzati, che non si vogliono bene e neppure si capiscono, io non posso concedere più di quindici giorni per sistemare queste due faccenduole. Altrimenti dovrò anch’io bollarli per quello che sono: incompetenti e incapaci. O, peggio ancora, sfigati.
(pubblicato sul sito http://www.cesare23.it/)
(foto dal post di Asia Moreschi)
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