Per una pedagogia indisciplinata, ribelle e collaborativa di Diego Giachetti

 

Nelle righe conclusive di questo intrigante libro intitolato Educazione e movimenti sociali (Mimesis 2019) l’autrice, Mariateresa Muraca, si pronuncia esplicitamente a favore di una scienza pedagogica indisciplinata, ribelle e collaborativa. Capiamoci subito: indisciplinata non significa rifiuto del rigore metodologico e teorico, vuole semplicemente dire varcare i rigidi ambiti disciplinari per costruire un paradigma interdisciplinare, meticcio, che assimila contributi e riflessione provenienti da saperi diversi: la sociologia, l’antropologia, il femminismo, la storia sociale e politica, il pensiero decoloniale. Ribelle significa che la ricerca pedagogica-educativa ha come obiettivo l’accrescimento della consapevolezza dei soggetti al fine di facilitare il loro percorso di liberazione dalle oppressioni. Collaborativa è da intendersi come piena identificazione tra ricercatrice e oggetto della ricerca.

Etnografia collaborativa

Mariateresa Muraca scrive di essere appassionata da quei procedimenti metodologici tesi a produrre conoscenza ma anche a esprimere impegno nei confronti della realtà, secondo l’assunto di quella che definisce etnografia collaborativa, la quale consente la compenetrazione tra chi fa ricerca e i soggetti della ricerca, al fine si costruire conoscenza trasformativa. Oggi per etnografia si intende lo studio antropologico, realizzato attraverso la pratica della ricerca sul terreno e rappresentato con precise modalità di scrittura, dei comportamenti sociali e culturali di un qualsiasi aggregato umano preventivamente definito in base agli interessi dell’osservatore. Nel suo lavoro infatti i risultati della ricerca si intersecano col suo percorso di vita. La motivazione originaria, confessa, è stata di tipo esistenziale; da lì ha avuto origine la spinta che l’ha condotta verso l’interesse scientifico-metodologico dell’argomento. In questo modo ha potuto sperimentare su se stessa il rapporto tra aspirazioni individuali e collettive e verificare le trasformazioni personali indotte dall’impegno nel movimento.

L’intreccio tra personale e collettivo, tra la ricercatrice e la sua partecipazione diretta al movimento, alla vita quotidiana delle persone che ne fanno parte, è il costrutto della ricerca. Con loro -dice- ho cucinato, pulito la casa, lavato i panni, munto le vacche, lavorato in campagna, mi sono presa cura dei bambini, ecc. Con loro ha dialogato, si è messa in relazione, ha partecipato non da esterna ma internamente al processo educativo-trasformativo messo in atto dal movimento sociale. In fondo la metodologia usata dall’autrice ricorda quella della con-ricerca proposta a suo tempo in Italia da Danilo Montaldi e altri ricercatori sociali i quali assegnavano alla ricerca sociologica il compito di conoscere la realtà e, simultaneamente, attivare una pratica per la sua trasformazione.

Non a caso il sottotitolo del libro chiarisce che si tratta di Un’etnografia collaborativa con il Movimento di Donne Contadine a Santa Caterina, uno dei 27 stati federati del Brasile, che è l’oggetto della ricerca.

Lì vi è giunta grazie all’interesse pregresso maturato per l’America Latina e le sue pratiche educative, dove è approdata la prima volta nel 2006 per svolgere una ricerca in Guatemala in collaborazione con il Movimento dei Giovani di Strada. In seguito si è recata in Brasile nel 2009 per una breve esperienza sul campo e, successivamente, dal 2012 al 2014, per la realizzazione della ricerca di dottorato insieme al Movimento di Donne Contadine, per poi conseguire il titolo di dottore in Scienze dell’Educazione e della Formazione Continua presso l’Università di Verona, in cotutela con l’Universidade Federal di Santa Catarina.

Sociologia dei movimenti sociali

Dietro questa full immersion nell’oggetto della ricerca vi è un preciso e definito paradigma teorico che governa l’indagine sociale. Si tratta della scienza sociale che studia la funzione pedagogica, intesa come educazione e trasformazione dei soggetti, svolta dai movimenti sociali, le forme di partecipazione che essi esprimono, le possibilità utopiche di futuro in esse contenute, che anticipano sul piano dei possibili obiettivi anche quelli non immediatamente realizzabili.

È con piacere, per chi ama la sociologia, addentrarsi nelle considerazioni delle varie teorie sociologiche e antropologiche che hanno affrontato il problema e costruito modelli interpretativi, delle relazioni tra movimenti sociali e processi educativi. I movimenti sociali sono considerati come soggetti politico-pedagogici, luoghi di apprendimento e di maturazione di coscienze trasformative. È un oggetto di interesse per le scienze sociali che risale agli autori classici della sociologia che hanno studiato il comportamento collettivo: Comte, Spencer, Durkheim e specificatamente i movimenti sociali come nel caso di Lorenz von Stein e Marx. All’interno di questa tradizione sociologica e antropologica, l’autrice definisce l’ambito del suo quadro teorico di riferimento identificandolo con la pedagogia dei movimenti sociali, cioè una disciplina interessata a comprendere le implicazioni educative delle pratiche politiche e le implicazioni politiche delle pratiche educative. L’educazione e la conoscenza favoriscono la critica della realtà, svelano il suo carattere storico e dinamico, ma da sole non la trasformano. Occorre il passaggio alla coscientizzazione che si realizza attraverso la dinamica azione-riflessione. La coscienza non è quindi una premessa della lotta ma un frutto della lotta. In questo senso la partecipazione politica e sindacale nasce dall’essere parte di un movimento conflittuale perché esso genera voglia d’impegno e porta ad assumere ruoli di attivismo militante.

Il Movimento delle Donne Contadine a Santa Caterina

L’oggetto della ricerca, dunque, è la pratica politico-pedagogica di cui il libro rende conto articolandosi in due parti: la prima riguarda la contestualizzazione teorica, metodologica e storica che sottende all’oggetto della ricerca. Nello specifico si “narra” la storia del movimento delle donne contadine, ripercorrendo la sua genealogia politica e il campo di alleanze in cui è attivo, allo scopo di cogliere gli elementi di prossimità e originalità rispetto ad altre organizzazioni brasiliane: la Chiesa della teologia della liberazione, i partiti politici, in particolare il PT di Lula, i sindacati e i movimenti sociali ampi che hanno caratterizzato la scena brasiliana in questi ultimi decenni. Nella seconda parte l’autrice scende sul terreno concreto della ricerca, entra nel merito delle pratiche pedagogiche popolari, femministe e decoloniali del movimento, considerandolo un contesto di apprendimenti, sia formali che informali alla luce di tra variabili: l’impegno, il conflitto, la trasformazione. Approfondito è poi il dialogo tra femminismo e l’agroecologia. Del femminismo si recupera la pratica dell’autocoscienza, del parlarsi fra donne, della conoscenza e della fiducia reciproca. Tale assunzione di coscienza si traduce in conflittualità trasformativa, che genera tensioni all’interno delle famiglie con la parte maschile di esse, infrange e critica elementi di patriarcato, denuncia e prova a superare ruoli e forme di subordinazione della donna nel campo produttivo e riproduttivo della vita quotidiana.

La lotta contro il modello capitalistico-patriarcale, per la costruzione di una nuova società fondata sull’eguaglianza assume la forma di un progetto di agricoltura contadina ecologica, basato su una pratica femminista, centrato sulla difesa della vita, sulla trasformazione delle relazioni umane e sociali e sulla conquista dei diritti sociali e individuali. L’agroecologia si configura come un nuovo progetto di società che, tuttavia, non è proiettato nel futuro, come un sistema che potrà compiersi in seguito a un processo di trasformazione dei rapporti sociali, ma si realizza nell’immediato con le scelte concrete delle agricoltrici nelle loro unità di produzione, contro l’uso sistematico di pesticidi e diserbanti, dei semi transgenici posseduti da pochi enti monopolistici mondiali, l’uso dei fertilizzanti chimici, gli ormoni iniettati nelle vacche perché producano più latte. È la messa in pratica di una ridefinizione della società, dei suoi assetti sociali e produttivi, dei suoi scopi, che richiede una rivoluzione dei rapporti sociali di produzione assieme e contemporaneamente però a quelli riproduttivi della vita materiale e culturale nella sua quotidianità, per superare la troppo lunga ormai oppressione di genere sempre riproposta nonostante i cambiamenti dei modi di produzione e delle formazioni economico-sociali.

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