introduzione di Vincenzo Consolo
«Dove avete trovato una storia così inverosimile?»
«Nel centro della terra, signore.»
Questa epigrafe a La ragazza del vicolo scuro (Editori Riuniti, 1977) l’autore del racconto, Mario La Cava, la attribuisce a un anonimo calabrese.
Ora, mettendo subito da parte quell’aggettivo “inverosimile”, su cui tanto si è dissertato – dissertato su cosa è verosimile e non nelle storie narrate, in letteratura –, e ricordando fra tutte la dissertazione che ne fa Pirandello in appendice al suo Il fu Mattia Pascal, sotto il titolo Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, vogliamo qui considerare la frase: “Nel centro della terra”. La quale, parafrasata, potrebbe suonare: “Nel cuore dell’umanità”. Suono che è, lo sappiamo, fortemente sospetto e gravemente esposto a ogni rischio di retorica. “Nel cuore dell’umanità” per noi vuol significare, riferito non solo a La Cava, ma alla letteratura meridionale in generale e a quella calabrese in particolare, storie scaturite dalla memoria più profonda di una comunità: storie dalla comunità scaturite e ad essa rivolte, narrate. C’è, (o c’era) vogliamo dire, nelle comunità meridionali una tale urgenza di memoria collettiva, c’è una tale realtà storica e sociale eclatante – scandalosa spesso per la sua avversità e ingiustizia, per la sua violenza, per la sua empietà nei confronti dell’individuo, dell’uomo – che necessario, urgente si fa il bisogno di riferire, di narrare.
E quindi dal carattere realistico, oggettivo, storico e sociale è contrassegnata la letteratura meridionale, la letteratura calabrese. A partire, senza andare indietro, dall’Ottocento. Da Vincenzo Padula, vale a dire, a Nicola Misasi, e giù giù fino ad Alvaro, a Rèpaci, a La Cava, a Seminara, a Strati. Ai quali possiamo aggiungere Angelo Gaccione, l’autore di questi racconti.
Ambientati in un vero paese calabrese, ma dal nome in- ventato di Roccabruna, questi racconti però, di fatti atroci e truci (storie di briganti, di vendette, di soprusi, di follie, di ignoranza, di abusi e misfatti del potere, di fanatismi religiosi…), sembrano, per la loro “estremità”, per il loro affollamento o concentrazione di male, rovesciarsi da una verisimiglianza a una inverisimiglianza, dalla realtà alla irrealtà, dalla storia alla favola. Ma se nella favola, come nel più angosciante sogno, alla fine tutto si risolve per il meglio e il rite de sortie del narrante riporta al risveglio, alla realtà liberatoria, qui – proprio perché non siamo nell’ambito della favola – il narratore non opera nessun rito di uscita: eravamo e siamo nell’ambito della realtà, della storia.
Per la torbidezza e truculenza quasi irreali di questi racconti, Gaccione ci ricorda due scrittori calabresi ottocenteschi, Biagio Miraglia e Giuseppe Campagna, che ci hanno narrato, anche loro, atroci storie di briganti e di vendette.
* Angelo Giaccone, L’incendio di Roccabruna, 2019 Di Felice Edizioni, Martinsicuro – Italia (via Pescara 23 – 64014 – Martinsicuro (TE) www.edizionidifelice.it e-mail: info@edizio)
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