Il libro di Silverio Tomei (Gli anni ribelli. I movimenti dal ’68 al 77 a Lecce, Spagine edizioni, Lecce, 2018) colma una lacuna, spesso presente nei testi pubblicati nelle occasioni date dalle rievocazioni del ’68 italiano, molte delle quali danno per scontata la centralità di alcuni momenti “geografici” del movimento studentesco che si costituì nelle università italiane. Torino, Roma, Pisa, Milano, Trento, Firenze, Napoli, Venezia e poco altro, sono state le realtà più indagate e citate nelle ricostruzioni fatte a posteriori. È una mappatura incompleta, che non rende conto e merito della diffusione molto più ampia sul territorio nazionale di quell’onda di contestazione che ben presto passò dalle università alle scuole superiori. Il libro inverte questa tendenza e si sofferma sul ’68 e le vicende ad esso seguite a Lecce e nel Salento. Ridà la centralità che gli spetta al ’68 in quell’area geografica, ribaltando la “periferia” sul “centro”, lo analizza raccontandolo dall’interno e, quando è necessario, gettando uno sguardo al quadro politico e sociale d’insieme entro il quale avvengono le vicende riferite. Interessante è attenta è la ricostruzione della ramificazione, indotta dal movimento, sul territorio circostante.
Molti iscritti all’università venivano dal resto della Puglia o da altre regioni del meridione; gli stessi studenti salentini erano iscritti presso le facoltà del Nord: Trento, Bologna, Milano, Pisa, Firenze. Tutti, nel loro pendolare ritorno a casa portavano con sè l’esperienza delle lotte, diventando agenti di comunicazione e di scambio, così il “centro” si connetteva con la periferia e la protesta si trasferiva da un’università all’altra, da queste alle scuole medie superiori e nei centri medio piccoli della provincia. Quel soggetto studentesco in movimento poteva contare su un comune retroterra generazionale che sentiva l’esigenza di un mondo diverso, più libero, più eguale. Esigenze esistenziali, prima ancora che politiche, che furono raccolte dal movimento e poi dai gruppi della nuova sinistra. La contestazione e la rivolta dovettero, più che in altre regioni, fare i conti con un blocco di potere conservatore, con classi dirigenti sorde al cambiamento e decisamente reazionarie, con una forte presenza della destra neofascista.
La miriade di “piccoli rivoluzionari in formazione” diffondeva il “verbo” nei paesi di provenienza costruendo forme di aggregazione e di intervento con circoli culturali, centri di documentazione e di intervento politico. È una storia di militanza politica, quella che si avviò col ’68, che coinvolse diverse centinaia di militanti salentini, tanto nei collettivi studenteschi quanto nelle organizzazioni politiche della nuova sinistra; se ad essi si aggiungono i simpatizzanti e i partecipanti occasionali alle iniziative politiche e culturali si scopre che furono alcune miglia le persone coinvolte, senza contare quelle che aderivano alle organizzazioni giovanili dei partiti tradizionali.
Dalla fusione di gruppi politici d’intervento a Lecce, Bari, Taranto Brindisi, Foggia e altri centri minori, nel 1969 nasceva il Circolo Lenin di Puglia, una delle tante formazioni della nuova sinistra extraparlamentare, collocandosi nell’area politica detta di “terza tendenza”: maoisti ma non stalinisti, contrari all’impostazione dei vari partiti marxisti-leninisti e allo spontaneismo di Lotta continua. Il Circolo divenne il gruppo egemone tra gli studenti espandendo la sua attività tra i braccianti, raccoglieva l’adesione di un migliaio di giovani militanti e aveva decine di sedi aperte. Nel 1973 confluì nell’Organizzazione comunista marxista-leninista poi, nel 1976, dopo la frantumazione di quell’organizzazione, i pugliesi passarono al Movimento lavoratori per il socialismo.
La storia di questo percorso politico non è mai autoreferenziale, Lecce e il Salento rimangono i protagonisti principali delle vicende che l’autore divide in due grandi periodi: dal 1968 al 1974, dal 1975 al 1978. In essi coesistono e si affrontano le grandi questioni del momento con le quali le organizzazioni politiche vecchie e nuove della sinistra di allora devono confrontarsi: l’intreccio con le lotte operaie, il dibattito ideologico e organizzativo all’interno dell’area della nuova sinistra, la reazione stragista a partire dalla strage della banca dell’Agricoltura a Milano del 12 dicembre 1969, la rinascita dell’antifascismo militante, le lotte per i diritti civili, la crisi dei gruppi extraparlamentari, l’affermarsi dell’autonomia operaia (che in quella regione però ebbe scarse adesioni), il movimento del ’77.
Tutta la seconda parte del libro è dedicata all’analisi-riflessione su alcuni importanti temi che attraversarono gli anni Settanta: le origini della nuova sinistra e delle sue strutture politiche, il quadro storico d’insieme dato dalla guerra fredda e dall’ordine bipolare, lo stragismo della destra eversiva il ruolo dello Stato-ombra, la destra radicale neofascista, il terrorismo di sinistra e la lotta armata.
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