gli asini, n. 61 – marzo 2019

 

Cari amici asini,   mi sono deciso a scrivere una circolare “destra” cioè non progressista ma passatista. Del resto la sinistra come sappiamo non c’è più, anche se noi siamo di quegli asini che da anni credono che “non c’è ancora”.

Vi scrivo da vice-decano dei collaboratori (dopo Ciafaloni, sono il più datato di tutti) perché sento di dover fare qualcosa per la rivista, che ha certo bisogno di mezzi ma anche di modi adeguati al suo valore. Credo che sia a tutti voi evidente che la rivista è cresciuta e almeno gli ultimi numeri hanno raggiunto un Valore che non solo va difeso ma investito. La rivista vende poco – si sa – ma soprattutto non ha la diffusione e il sostegno che merita, e che infine meritiamo anche noi che ci limitiamo a scriverci su e ci accontentiamo di compiacerci a vicenda (se non ciascuno per sé…).

Vi scrivo perché mi sento in colpa verso me stesso, e credo che pochi gesti e impegni “personali” potrebbero almeno renderci più orgogliosi e consapevoli di una rivista che ormai è diventata eccezionale in tutti i sensi – anche in quello della solitudine, nel panorama nazionale editoriale e intellettuale… Vi scrivo anche da arcaico militante che non crede nei blog e nell’automatismo dei social ma nella più faticosa antica socialità, dunque nella pubblicità fatta a tu per tu, nella comunicazione testa a testa o nelle vendite porta a porta… In breve io credo che si tratti di moltiplicare tutti insieme – ovvero ciascuno da solo – l’umile ma continuo contatto e l’insistente ravvicinato invito utile alla diffusione o almeno alla valorizzazione de Gli Asini: qualcosa di simile l’ho più volte proposto nelle rituali riunioni fiorentine ma poi io stesso non l’ho quasi mai portato avanti in concreto.

Se ad esempio ciascuno trovasse nella sua città o paese o quartiere, un’edicola sola o una libreria dove cinque copie di ogni nuovo numero fossero visibili e disponibili (e magari qualche arretrato)…; se ad esempio in qualche biblioteca o scuola o circolo culturale oppure approfittandosi delle fin troppe occasioni di piccole fiere del libro o nelle frequenti occasioni in cui ci si impegna in corsi, conferenze, convegni, ci si ricordasse di segnalare e sventolare e perfino regalare qualche copia…; se ad esempio si organizzasse qualche presentazione di libri e libelli anche in assenza degli autori e del direttore-autore della rivista…; se ad esempio ciascuno di noi potesse chiedere a riviste minori e anche locali (certo selezionandole) un avviso stampato per fare pubblicità -non pagata e non scambiata- in cui anticipare il sommario dei numeri a venire…; se ad esempio anche solo per email ciascuno inviasse a pochi scelti amici un suo articolo uscito sulla rivista e li invitasse ad abbonarsi…

Non sono grandi idee, e magari sono lontane dalla nostra mentalità o abitudine, ma volevo solo ricordare a ciascuno di voi e a me stesso che minime attenzioni e costanti impegni possono avere un’efficacia o almeno fare da anticorpo alla tendenza o tentazione di consolarsi e confortarci “tra noi”, senza mai esporre anzi esibire il logo e il logos della rivista. Non si tratta di allargare il cerchio (a quello ci pensa Goffredo) ma di incrementare il giro e alzare il tiro e il titolo, insomma la detestata ma necessaria Immagine, visto che viviamo in tempi in cui senza la pubblicità non solo non funziona il commercio, ma nemmeno sale la credibilità di ogni asino – autore o attore che sia.

A proposito: quanti attori e autori abbiamo fin qui coinvolto e contattato e recensito? E perfino “premiato”? Ebbene, UT DES va esteso anche a tutti loro, che volenti o indolenti, che lo sappiano o no, fanno parte di una rivista che infine è l’ultima ma anche la più vasta adunanza della minoranza che esiste in Italia.

Ma infine UT DES va anche letto al contrario: è ora cioè che la rivista ci renda più, e lo può fare solo se raggiungerà la quota di visibilità e la soglia di autorità che merita. E che meritiamo.

Piergiorgio Giacchè

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