Salvini, il ministro che giurò sul Vangelo di Rinaldo Gianola

 

La protesta di molti sindaci contro il decreto sicurezza del ministro dell’Interno Matteo Salvini è il primo vero segnale di opposizione politica e civile al governo grillino-leghista uscito a sorpresa dalle elezioni del 4 marzo scorso. La decisione di non applicare o di contestare il decreto, il ricorso al giudice per arrivare poi alla Corte costituzionale, la difesa esplicita, con i fatti, dei migranti che chiedono di essere iscritti all’anagrafe, si presentano come azioni di contrasto reale alle politiche del governo Conte. In questo caso il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che ha dato il via alla protesta, e tutti gli altri che hanno condiviso con toni diversi le ragioni della ribellione sono stati accusati da Salvini di “tradimento”, minacciati di un taglio dei contributi pubblici e di richieste infondate di dimissioni.

Negli ultimi nove mesi siamo passati dal blocco dei porti al rifiuto di accogliere navi di migranti in difficoltà, dal mancato rispetto degli accordi europei liberamente sottoscritti dal nostro Paese alla riduzione netta dei fondi per l’accoglienza, in un crescendo populista, sovranista chiamatelo come volete, o più semplicemente fascista anche se certi editorialisti dei grandi giornali si sorprendono di queste ipotesi di accusa, alzano il ditino, come se l’Italia di Salvini e di Di Maio fosse al riparo da questi rigurgiti della storia. Le azioni del nostro governo e in particolare del nostro ministro dell’Interno che in campagna elettorale giurò sul rosario e sul Vangelo, sono in perfetta sintonia con il filo spinato steso ai confini ungheresi per impedire l’ingresso dei migranti, con le processioni dietro la croce dei polacchi impauriti dalla minaccia dei neri e dei musulmani, con i muri di Trump e le politiche muscolari e violente promesse dal neopresidente del Brasile, Bolsonaro.

I sindaci contestatori, in assenza di un’opposizione parlamentare credibile, hanno espresso una forma di resistenza civile, morale, come se volessero difendere l’anima democratica del Paese. Non è possibile prevedere se questa reazione basterà a fermare il disastro ideale e sociale che stiamo vivendo, né se innesterà finalmente una vera opposizione politica. C’è qualche cosa di più, di più ampio e grave. Perché è evidente che noi italiani, europei, cittadini di questo mondo malmesso, siamo di fronte a una regressione pericolosa, a un disastro umanitario e al terremoto, al crollo culturale di quello che un tempo si sarebbe chiamato lo spirito europeo. Pare che non sia rimasto niente, anche la Chiesa è sparita, non si sente, la sua voce è flebile sommersa dagli scandali di varia natura. La politica europea non offre leader credibili capaci di opporsi a questa deriva. È chiaro che il decreto sicurezza viola principi fondamentali in materia di diritti umani, impedisce ai più deboli di chiedere protezione, persino di iscriversi all’anagrafe per essere “riconosciuti”, per esistere in questo Paese. È un provvedimento che si colloca fuori dalla Costituzione, che creerà, secondo i sindaci, altri 120mila clandestini e quindi nuove emergenze nelle città.

I sindaci protestano e fanno bene. Ma bisogna chiedersi cosa pensano e come agiscono i cittadini delle loro città. Bisogna interrogarsi sugli italiani, sulle loro aspirazioni, sui loro pensieri profondi, sulle loro rabbie e delusioni. Dal voto del 4 marzo a oggi la Lega di Salvini ha più che raddoppiato i consensi, è saldamente la prima formazione politica con oltre il 32%, ancora un piccolo balzo fino alla soglia del 40% e potrebbe governare da sola. La crescita dei voti potenziali è stata alimentata da politiche xenofobe, da parole e slogan violenti, dalla volgarità trionfante della comunicazione social di Salvini e compagnia. Viene il dubbio che in quest’Italia sfilacciata e proterva, anche la protesta dei sindaci possa portare consensi al “truce”, al leghista che stringe calorosamente la mano al sovranista ungherese Orban nel palazzo della Prefettura di Milano. Nel tragico 1939, ha ricordato Sergio Romano, nella stessa sede il ministro Ciano incontrò Ribbentrop. La Storia offre sempre delle lezioni.

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