Gli anniversari, si sa, corrono il rischio di diventare qualcosa di nostalgico e posticcio, specialmente se ricordano tempi andati che apparentemente non hanno più alcun collegamento con il mondo attuale.
Sul Sessantotto, in occasione del cinquantenario, è stato scritto di tutto e di più. Abbiamo potuto leggere articoli, interviste, libri di chi ha vissuto quegli anni partecipando in diverse forme al movimento di contestazione universitario e operaio, di chi è rimasto coerente con le proprie idee (pochi) e di chi se ne è discostato per i più svariati motivi (molti).
Ma c’è un libro che parla del ‘68 da un punto di vista inedito, riuscendo a non cadere nella retorica della memoria e dando un’immagine nitida di quel periodo. La lente di ingrandimento è puntata sul mondo della scuola elementare e sugli insegnanti che hanno vissuto l’esperienza politica della contestazione contro un sistema autoritario, classista e fermo a principi reazionari. Il Sessantotto della scuola elementare è una raccolta di testimonianze e di autobiografie di docenti che raccontano come il risveglio di una coscienza politica abbia influito sul proprio modo di fare scuola e di stare al mondo. Marcella Bacigalupi, Piero Fossati e Marina Martignone, curatori del libro, hanno lavorato nelle scuole di Genova; e intorno a Genova in particolare si srotola la matassa dei ricordi.
Le persone che hanno scritto la loro testimonianza erano in quegli anni molto giovani, alcuni studenti delle magistrali o dell’università, altri si trovavano ad affrontare i loro primi anni di insegnamento. Il fermento della vita politica e culturale che permeava allora ogni sfumatura della società li ha indotti, più o meno rapidamente, a rivoluzionare la loro professione, il rapporto con i bambini e con l’istituzione educativa. Come ammette Fossati nell’introduzione, non si può non riconoscere che essi siano stati una minoranza e forse anche per questo l’effetto del Sessantotto sulla scuola elementare è stato – ed è tutt’ora – quasi sconosciuto per i non addetti ai lavori. Eppure le micce che hanno innescato il movimento possono essere considerate le stesse che hanno contribuito a stravolgere in quegli anni il sistema universitario e quello della scuola secondaria. Prima su tutte certamente fu la Lettera a una professoressa.
Gli autori delle biografie raccontano il disagio crescente nel riprodurre una scuola sempre uguale a sé stessa, tradizionale e autoritaria. Da qui sono nate le principali esperienze di innovazione ispirate ai classici dell’attivismo pedagogico. Così, oltre all’impegno sindacale e di partito, gli autori spesso dichiarano l’intenso impegno intellettuale alla ricerca di pensatori ed esperienze innovative e affini. In tale clima alcuni di loro si dedicano all’analisi dei libri di testo delle elementari: da tale studio esce la celebre, sfrontata e divertente critica che sfocerà in un libretto ciclostilato, lo Stupidario. Era potente la denuncia delle pagine infarcite di moralismo cattolico e di valori fascisti che ancora riempivano i manuali della scuola pubblica. Questa riflessione indusse una parte di maestri al rifiuto del libro di testo, che poteva essere meglio sostituito da biblioteche di classe, utili strumenti per fare ricerca assieme agli alunni e per stimolarli all’ uso critico delle fonti. In altre parole, si voleva accantonare il sapere precostituito imposto dall’adulto per favorire le esperienze dei bambini in un clima cooperativo volto a costruire pensiero critico. Ecco allora le prime scuole a tempo pieno, nelle quali nascono collettivi di insegnanti che, in continua formazione, danno vita a classi dove il “laboratorio” diventa fulcro dell’attività didattica. Non più doposcuola pomeridiani, dunque, ma un “tempo scuola” in cui venga messo al centro il bambino nella sua interezza, il corpo e la mente, l’espressività, la manualità. Prendono vita alcune tecniche innovative come la ricerca d’ambiente, il testo libero e il giornalino scolastico: le quali però non sempre hanno meritato un adeguato riconoscimento collettivo
Leggendo le tante autobiografie presenti nel saggio, si può rintracciare un filo rosso che le collega. Esso è l’incontro con il Movimento di Cooperazione Educativa che, nato in Italia nel 1951, ha fatto proprie le idee di pedagogia popolare di Célestin Freinet. Leggiamo allora di insegnanti che discutono insieme di politica, di educazione e di didattica, che fanno ricerca, che pubblicano libri di grande successo e importanza nel panorama scolastico. Un titolo su tutti è Il paese sbagliato di Mario Lodi del 1970.
Nasce a Genova, proprio dalla spinta del ‘68, il gruppo redazionale “Io e gli altri” che editerà, oltre a diverse collane di didattica, una straordinaria e divergente enciclopedia: proprio due tra i curatori de Il Sessantotto della scuola elementare, Piero Fossati e Marcella Bacigalupi, vi contribuirono direttamete: ma l’enciclopedia però ebbe vita difficile, fu rifiutata come “sovversiva” dagli ambienti conservatori. E questo ci dà un’idea del clima politico di allora.
Sono di quegli anni anche le lotte contro la selezione e la bocciatura e anche i primi esperimenti di inclusione dei bambini disabili nelle classi.
Il libro si chiude con alcune riflessioni sull’eredità di questo Sessantotto che potremmo definire pedagogico: che ne è della spinta innovativa? Quali sono stati i risultati di tante battaglie? Purtroppo, è sotto gli occhi di tutti quanto si è perduto o almeno profondamente trasformato. Potrà sembrare strano a chi è estraneo al mondo dell’istruzione: eppure, e per la prima volta, abbiamo una legislazione (si pensi alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione) che è più avanzata del lavoro effettivo che molti insegnanti svolgono nelle classi. “I banchi sono tornati al loro posto”, scrive Carla Ida Salviati in uno dei suoi contributi. E non può esserci affermazione più vera. Non è un problema solo scolastico, ma un problema di partecipazione che coinvolge tante sfumature della società. Ma, come dice Marcella Bacigalupi in chiusura, “indagare quale sia l’esito di questo processo è un compito che deve impegnare chi si occupa della scuola e delle sue vicende”.
Il saggio non ha lo scopo di migliorare il sistema educativo attuale: è stato curato da storici e analizza un particolare periodo storico, appunto. Personalmente, da giovane maestro, leggo con invidia fermento di quegli anni e mi convinco sempre più dell’idea che la scuola sia lo specchio fedele della società. Educazione come prassi politica, recitava il titolo di un libretto degli anni ‘70 a cura del Collettivo Rosso per l’Educazione Proletaria di Berlino Ovest (edito nella versione italiana da Guaraldi). Non è solo una questione di lessico, che è evidentemente cambiato: ma di militanza, di formazione professionale, di impegno. Parole, ma ancor di più modi di vivere, che in questa società italiana “del cambiamento” mi paiono i grandi assenti.
Il sessantotto alle elementari
(a cura di) M. Bacigalupi, P. Fossati, M. Martignone,
Unicopli, 2019, pp. 325
(Pubblicato in Alfabeta2, il 25 novembre 2018)
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