“I fenomeni atmosferici di questo autunno che hanno flagellato la penisola, mai così estremi per intensità e diffusione, ci dicono che il cambiamento del clima è in atto e riguarda, insieme al bacino del mediterraneo, direttamente il nostro Paese. A lanciare l’allarme è uno studio internazionale, pubblicato dalla rivista scientifica Nature Climate Change, che rappresenta un monito soprattutto per i paesi del sud del Mediterraneo. Secondo l’analisi – la prima a valutare a largo spettro le conseguenze per chi vive nel mare racchiuso tra Europa ed Africa – la temperatura media è già aumentata di 1,4 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale. Ciò significa che nella regione i cambiamenti climatici progrediscono ad un ritmo più veloce rispetto al resto del mondo. A livello globale, infatti, la crescita della temperatura è stata, finora, di un “solo” grado. Questa diversa progressione del fenomeno si registra anche ai due poli della terra. Mentre il riscaldamento dell’Artide procede a velocità doppia, l’Antartide conserva una temperatura più fredda. Nell’estremo nord – nei territori di Russia, Canada e Stati Uniti che circondano il Circolo Polare – con il ritrarsi dei ghiacciai, la terra congelata da millenni tende a sciogliersi (permafrost) e i climatologi temono che si liberi in atmosfera una grande quantità di gas serra rimasta per millenni immobilizzata.
I disastri avvenuti in Italia alla fine di ottobre hanno mostrato in modo chiaro a cosa rischiamo di andare incontro. Fenomeni che, ancora una volta, hanno messo drammaticamente allo scoperto le diverse fragilità del territorio italiano e la sua facile vulnerabilità: lungo le coste inondate e stravolte, nei bacini dei corsi d’acqua che improvvisamente straripano e mietono vittime, in montagna e in collina dove il terreno frana, inghiotte e isola. Questa volta si è aggiunta la bufera di vento che nel bellunese ha divelto, scoperchiato e spazzato via come fuscelli milioni di alberi; un disastro che neppure la Grande Guerra di un secolo fa era riuscita a fare.
L’aumento delle temperature globali alle nostre latitudini che si stanno tropicalizzando determina l’intensificarsi di fenomeni atmosferici estremi che vanno da periodi prolungati di siccità fino ai grandi quantitativi di acqua che cadono in poche ore. Il maltempo di queste settimane ha creato scenari che somigliano a quelli delle latitudini caraibiche al termine degli tsunami: yacht scaraventati nelle piazze delle città, tratti di spiaggia inghiottiti e alberi spazzati via dalla furia del vento. Sono invece immagini che riguardano il Ponente Ligure e le Valli del Veneto.
Dopo il 2000 i 10 anni più caldi
I dati oggi conosciuti non consentono più a nessuno di avere dubbi, manifestare atteggiamenti fatalistici o invocare l’eccezionalità: dal 1976 in nessun anno la temperatura è risultata inferiore alla media del secolo e dopo il 2000 si sono avute le dieci annualità in assoluto più calde.
E l’aumento delle temperature è diretta conseguenza della crescita esponenziale delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività antropiche. La concentrazione di anidride carbonica, CO2, in atmosfera che nel 1750 rappresentava 280 parti per milione, nel 2017 ha raggiunto la soglia, considerata di pericolo, delle 400 ppm e, nell’aprile di quest’anno, ha superato le 410 parti per milione.
Non c’è più molto tempo per ridurre le emissioni climalteranti, in prevalenza causate dalla combustione dei combustibili fossili (carbone, petrolio, metano), e il futuro del pianeta dipende dal numero di gradi di aumento che si avrà alla fine del secolo. A seconda della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che i governi sapranno adottare l’intervallo di valori oggi previsto si situa tra un aumento compreso tra i più 2° e i più 5° gradi di temperatura. Naturalmente con impatti molto diversi per la condizione della vita degli uomini sulla terra. L’aumento in atto ha già determinato una forte riduzione della biodiversità con la scomparsa di molte specie sia vegetali che animali, ma un aumento superiore ai 2 gradi avrebbe ulteriori pesanti conseguenze, ad esempio, nella perdita di resa dell’agricoltura, per carenza di acqua, di suolo fertile e la scomparsa di alberi e foreste. Oltretutto in un contesto globale di crescita della popolazione.
Se all’epoca di Gesù Cristo si contavano 250 milioni di abitanti e nel 1960 erano 3 miliardi, oggi popolano la terra 7 miliardi di persone, con le previsioni di una crescita esponenziale. Inoltre dal 2010, per la prima volta sul pianeta, gli abitanti delle città hanno superato coloro che vivono in campagna e si occupano di agricoltura. Le città si stanno trasformando in megalopoli con decine di milioni di abitanti a cui devono essere garantiti i servizi essenziali: in primo luogo l’acqua e l’energia per le attività economiche e i trasporti. In questo mutato contesto, per effetto di inondazioni e incendi – fenomeni cui già oggi assistiamo in diverse parti del mondo e con crescente frequenza e intensità – la previsione degli esperti di 100-140 milioni di “rifugiati ambientali” non appare inverosimile. E le crescenti diseguaglianze sociali, dove il 20% detiene l’80% della ricchezza globale, non fanno che acuire e rendere più drammatico il fenomeno.
La Conferenza di Parigi
I 196 Paesi che nel 2015 hanno partecipato alla conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che si è tenuta a Parigi hanno concordato di ridurre le loro emissioni di carbonio “il prima possibile” e di fare del loro meglio per mantenere il riscaldamento globale “ben al di sotto di 2 gradi C”. Nel corso dei dibattiti gli stati insulari del Pacifico, le Seychelles, ma anche le Filippine, hanno, infatti, richiesto con forza di fissare l’obiettivo a 1,5° C perché con un riscaldamento di 2° la loro stessa esistenza è già minacciata dall’innalzamento del livello del mare.
Ma il tempo per intervenire si è fatto più stringente. Per ridurre le emissioni occorrono norme più severe a livello globale perché si sta viaggiando verso un aumento medio di 3° C. Una temperatura che riduce le attuali possibilità di foreste e oceani di catturare CO2. “La natura non riesce più a seguire il cambiamento climatico, è sorpresa dalla velocità. Un po’ come noi che fatichiamo a stare al passo con lo sviluppo tecnologico”, commenta Reinhold Messner, preoccupato che ciò determini un ulteriore spopolamento della montagna.(1)
Ambiente: una scarsa coscienza collettiva
Di fronte a questa accelerazione il territorio del nostro Paese sta dimostrando una preoccupante fragilità e la politica, le amministrazioni e i governi evidenziano disattenzione, ritardi e colpevoli comportamenti. Per Carlo Petrini siamo di fronte a una “vergognosa gestione del suolo, con una percentuale di cementificazione tra le più alte d’Europa e si continua a rendere impermeabili porzioni enormi di suolo agricolo”.(2) Non è quindi un caso se la proposta di legge per ridurre e contrastare il consumo di suolo, presentata nel 2011 dal ministro dell’agricoltura Catania, è ferma in Parlamento. Il dissesto idrogeologico solo in parte è dovuto a una condizione naturale esistente; quasi sempre le cause dipendono da costruzioni, spesso abusive, costruite prossime a torrenti e fiumi, nell’area di rispetto e naturale espansione dei corsi d’acqua. Analogamente le coste indebolite da una selvaggia cementificazione.
E’ in queste occasioni che, in Italia, si misura una scarsa coscienza collettiva sui temi dell’ecologia e dell’ambiente. Al posto di un programma preventivo di investimenti per contrastare il dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza antisismica, dando priorità alle scuole, agli ospedali e alle principali strutture pubbliche, anche l’attuale governo, mentre si divide tra favorevoli e contrari su “Tav” “Tap” e “Terzo valico”, trova però l’accordo per dare il via al condono edilizio nella già martoriata isola di Ischia.”
Alessandria, 15 novembre 2018
(1) La Stampa del 4 novembre 2018
(2) La Repubblica del 30 ottobre 2018
(tratto da sito: www.labour.it)
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