Il sessantotto sequestrato. Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni di Guido Crainz

 

A distanza di cinquant’anni dal simultaneo manifestarsi dei movimenti di contestazione del 1968 in tante parti del Vecchio continente, un dato si impone con assoluta certezza: osservato da lontano, in prospettiva storica, il Sessantotto, ai fini di quella che si presenta come una faticosa costruzione dell’identità politica e civile di Europa, non è tanto rilevante per quel che avvenne a Parigi oppure a Roma e Milano, a Berlino oppure a Torino e Trento. Appaiono invece ben altrimenti decisivi – a ben vedere, premonitori – i rivolgimenti, i traumi e i processi che segnarono in quell’anno la Cecoslovacchia, la Polonia e altre aree dell’ ”Europa sequestrata” dall’impero sovietico, per dirla con Milan Kundera. Processi solo apparentemente stroncati a Praga dai carri armati russi e in Polonia da una brutale offensiva di regime, che assunse anche violenti toni antisemiti. In realtà, da quel 1968 si dipanano molti fili che porteranno al 1989, più forti dell’esilio e delle persecuzioni: attraverso Charta ’77 in Cecoslovacchia, il Kor e Solidarnosc in Polonia, e seguendo più complessi e meno lineari percorsi nella Jugoslavia, destinata a disintegrarsi agli inizi degli anni novanta. Eppure quei giovani contestatori dell’Est, quegli intellettuali, quegli appassionati sostenitori del rinnovamento, non ebbero allora quasi nessun riconoscimento, quasi nessun aiuto dai movimenti studenteschi dell’Occidente, e assai scarso ne ebbero anche da parte dei partiti comunisti occidentali, che pure si dichiaravano sinceramente democratici e attenti alle spinte libertarie. Perché questa sottovalutazione, questa disattenzione, questo oblio? Su simili domande si concentra Guido Crainz, che pure partecipò attivamente a quei movimenti, nel lungo saggio di apertura di questo libro.

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