Caro Saviano,
è chiaro che siamo con te contro il ministro dell’interno: non possono esserci dubbi o esitazioni su questo, non foss’altro perché tu sei liberale e illuminato e lui un demagogo oscurantista deciso a lucrare elettoralmente sulla paura e l’ignoranza. Ma la ragione per cui oggi c’è così tanta difficoltà a reagire, a mettere su un vasto movimento d’opinione contro la xenofobia e il razzismo, a favore delle Ong che nel Mediterraneo salvano vite umane, è data dal fatto che da tempo siamo in presenza di una regressione culturale a sinistra, che prima ha lasciato spazio al puro e semplice qualunquismo grillino (le balle sulla democrazia diretta in rete, la polemica antipolitica intorno alla “casta”, e così via), e poi non si è ritratta neppure di fronte alla prospettiva di un governo grilloleghista (ne so qualcosa io che ho dovuto rompere con la vecchia rivista “Il Ponte”, in cui questa regressione appare adesso particolarmente evidente).
Si sta ripetendo, mutatis mutandis, in quell’area che definiamo di “sinistra radicale”, ciò che avvenne all’inizio del Novecento con i nazionalismi e i prodromi del fascismo, quando ex compagni divennero camerati quasi da un giorno all’altro, passando dall’estrema sinistra all’estrema destra. Ieri era l’insoddisfazione verso una politica riformista, quella di Filippo Turati – e poi il mito della violenza, della guerra, della conquista coloniale –, a sostenere ideologicamente il mutamento. Oggi c’è una molto difettosa costruzione europea a provocare una delusione e un’insoddisfazione che si riflettono, nelle menti più deboli, in un (ri)sentimento del “si stava meglio prima”, quando non c’era la moneta unica e si poteva svalutare a piacere, o quando non era arrivata l’ondata migratoria, soprattutto dal Sud del mondo, perché la drammatica questione postcoloniale non era ancora esplosa e la divisione del pianeta in blocchi contrapposti permetteva di tenere sotto controllo zone geografiche in seguito finite nel caos.
L’odierno grilloleghismo – al netto delle chiacchiere di Di Maio e del suo confuso decreto intorno alla “dignità del lavoro” – è sostanzialmente questo: il governo (reazionario) della immigrazione, definita come clandestina e trattata come un problema di ordine pubblico. L’aspetto “sociale” della faccenda non è che un orpello, uno specchietto per le allodole per giustificare la presenza al governo di un movimento che ha preso molti voti da sinistra. Ma la cosa più grave è che, contagiati in parte dalla retorica sovranista, perfino socialdemocratici doc come Stefano Fassina o il mio amico Alfredo D’Attorre, abbassano il livello d’allarme di fronte alla pretesa di fare la voce grossa in Europa a partire dalla ripartizione degli immigrati anziché dai temi propriamente sociali, perché la ritengono, comunque, una rivendicazione di sovranità. Essi s’illudono, e fanno così il gioco dell’estrema destra; intanto però vaglielo a spiegare che il modello socialdemocratico su basi nazionali è ormai un ricordo del passato, e che oggi, anche per rilanciare un po’ d’investimenti pubblici in senso keynesiano, ci vorrebbe una maggiore e non una minore integrazione europea…
Ciò sia detto, per sommi capi, riguardo alla cosiddetta sinistra radicale. Veniamo ora alla sinistra liberaldemocratica, a cui tu, caro Saviano, sei legato. Beh, qui siamo messi anche peggio, se non altro perché questa sinistra è stata al governo fino a ieri. E che cosa ha fatto? Anzitutto ha flirtato anch’essa con l’antipolitica (la “rottamazione” di Renzi), cacciandosi poi nel vicolo cieco delle misure impopolari come il jobs act e le riforme di sistema; inoltre – in particolare con l’ex ministro Minniti – ha dato la stura alle peggiori pulsioni di destra, iniziando la guerra contro le Ong, sia pure in termini più moderati, e facendo un accordo in cambio di denaro con i gruppi criminali libici responsabili della tratta e delle torture ai danni dei migranti.
In questa situazione non è per nulla strano, allora, che siamo in pochi a resistere – e soltanto con le armi della critica, non con quelle di una opposizione nel paese. È anche vero, però, che, al di là dei tuoi appelli alla mobilitazione (comunque molto opportuni), ci sono ancora un paio di passaggi politici, magari lenti ma indispensabili, che devono essere fino in fondo percorsi prima di poter dire che la partita sia chiusa e per noi persa.
Il primo passaggio, com’è evidente, ha a che fare con le elezioni europee del prossimo anno e con la tenuta, o piuttosto la sconfitta, del movimento grillino, da cui a quel punto potrebbe innescarsi una dinamica interna critica dell’esperienza di governo fino all’eventualità di una spaccatura. Il secondo passaggio riguarda il Pd e la sua capacità, ammesso che ne abbia, di autorigenerazione. È sotto gli occhi di tutti come il governo attuale sia stato reso possibile anche dalla insensata ostinazione di Renzi nel non voler trattare con i grillini. Domani un Pd rinnovato, finalmente de-renzizzato, non potrà fare altro che riprendere il filo dove lo aveva lasciato Bersani, da quella interlocuzione fallita, in cui già fu palese la sostanza qualunquistica del grillismo, ma da cui in futuro si dovrà ripartire per dividere i populismi oggi alleati, giacché fa parte della nobiltà della politica democratica, nonostante tutto, la possibilità di distinguere sempre una destra da una sinistra, e anche la destra dalla destra, nel quadro di una costruzione di alleanze.
Resta la questione della regressione culturale in cui ci troviamo. Purtroppo è qualcosa che ci accompagnerà a lungo, e che vedrà ancora persone, già di sinistra, trasmigrare nel campo opposto. Per me essa ha a che fare con lo stesso lungo declino della cultura occidentale nel suo complesso e dell’idea di progresso in particolare, a cui si può opporre soltanto la prospettiva dell’utopia, che tuttavia, per sua natura, è irrealistica ancorché necessaria. Dunque si può, e si deve, cercare di mettere una pezza tattico-politica alla situazione presente creando, a breve, un’alternativa di governo credibile. Ma la battaglia contro i sovranismi, la xenofobia, il razzismo, quella, credimi, continuerà oltre le nostre vite. Anche per questo, ormai abbastanza vecchio, ho dato vita alla Fondazione per la critica sociale che, sia pure goccia nel mare, dovrà proseguire questa battaglia tentando di forgiare nuovi strumenti concettuali adatti a sostenerla.
(pubblicato sul sito di: fondazione per la critica sociale, 26 luglio 2018)
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