Critica del movimento (dicembre 1968) di Maurice Blanchot, Les Lettres nouvelles

 

Credo sia necessario introdurre, a proposito di ciò che viene chiama movimento, un’interrogazione critica radicale. Necessaria e possibile. Nessun partito sopporterebbe una tale messa in questione, soprattutto se si tratta di un partito la cui lotta teorica e pratica è destinata a trasformare il mondo. Il Partito comunista meno di tutti gli altri, poiché crede di incarnare la serietà e l’intransigenza della nuova legge che esige e comprende tutto.

  1. La debolezza del movimento è anche quello che ha fatto la sua forza, e la sua forza è di essere riuscito prodigiosamente in condizioni che hanno reso il suo successo eclatante, ma senza mezzi politici per l’avvenire, senza potere istituzionale. La maggior parte degli osservatori, compreso i commentatori benevoli, dicono che è stato importante ma che ha fallito. Questo è falso. È stato importante e si è sovranamente realizzato. Si parla di rivoluzione, termine molto equivoco, ma se ne parla, bisogna accettarlo e dire: è vero, c’è stata una rivoluzione, la rivoluzione ha avuto luogo. Il movimento di Maggio è stato la RIVOLUZIONE, nella folgorazione e nello splendore di un evento che si è compiuto e, compiendosi, ha cambiato tutto.
  2. Rivoluzione, come non se ne sono avute di eguali; in nulla assimilabile a questo o quel modello. Più filosofica che politica; più sociale che istituzionale; più esemplare che reale; e distruggendo tutto senza aver niente di distruttivo, distruggendo non tanto il passato, ma il presente stesso in cui si compiva e non cercando di darsi un avvenire, estremamente indifferente all’avvenire possibile, come se il tempo che cercava di aprire fosse già al di là di queste usuali determinazioni. Questo ha avuto luogo. La decisione di una DISCONTINUITA’ radicale e, si può dire, assoluta, si è data, separando non due periodi della storia, ma la storia e una possibilità che non gli appartiene più direttamente.
  3. Bisogna aggiungere: tutti i tratti che hanno in apparenza marcato ciò che si è chiamata la sconfitta del Maggio furono, al contrario, il segno del compimento. Dal punto di vista delle idee, sarebbe facile da dimostrare. Ma anche politicamente: il regime è caduto; de Gaulle è scomparso in una maniera molto più rovinosa, per lui e l’ordine che proclama e pretende di mantenere, di quanto non sarebbe accaduto se, in effetti, non fosse mai tornato dal suo viaggio in Germania, seppellito laggiù da qualche parte nella caverna di Federico Barbarossa; la vittoria elettorale del gollismo, propriamente favolosa, ha giustamente confermato, dietro l’illusione e la salvaguardia delle apparenze, la rovina dell’intero sistema. Un semplice fatto: la sicurezza politica che una simile vittoria sembrava garantire al partito dell’Ordine, facendo dimenticare lo sconvolgimento dell’insieme, ha fatto precipitare un crollo finanziario che tecnicamente nulla giustificherebbe. Viviamo solo di apparenze. Tutto è una messinscena. Un altro esempio: la riforma di questo povero M. Faure. Riforma di che, per chi? Bisogna dirlo, e gli insegnanti più lucidi lo sanno: non esiste più l’Università, esiste invece un grande e venerabile buco, appena camuffato, un gioco di cerimonie, attraversato da forze a volte selvagge, spesso di una barbarie anch’essa rituale e spettacolare. Rettori, presidi, professori, contestatori, contro-contestatori, tutto si agita per coprire il niente, un niente che disciplina un tempo morto.
  4. Il fatto che Maggio abbia avuto luogo, compiendo la sua opera, è quello che dev’essere interrogato e che crea, per lo stesso movimento, le più grandi difficoltà, o meglio: una sorta d’impossibilità quotidiana che è carica di pericoli (forse di promesse). Enuncerò solo qualcuno di questi pericoli, lasciando ad altri la cura di proseguire o di contraddire l’analisi:

 

  1. a) La tentazione di ripetere Maggio, come se Maggio non avesse avuto luogo o come se avesse fallito, cosicché un giorno o l’altro abbia successo. Così ci si immagina di provare di nuovo, poveramente e tristemente, usando le stesse procedure d’agitazione che ebbero il loro senso e il loro effetto in febbraio-marzo-aprile, con giusto un supplemento di gesti e con le risorse che gli errori del potere, incapace di presagire che non esiste più, ma comunque capendo la sua impotenza, procurano inesauribilmente.
  2. b) La tentazione di continuare Maggio, senza accorgersi che tutta la forza di originalità di questa rivoluzione è nel non fornire alcun precedente, nessuna base, nemmeno quella della propria riuscita, poiché questa si rese essa stessa impossibile come tale, lasciando solo una traccia che, come un lampo, divide tutto, cielo e terra. NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA. Pensare, agire, organizzare, disorganizzare: tutto si pone in altri termini e non solo i problemi sono nuovi, ma la problematica stessa è cambiata. In particolare, tutti i problemi della lotta rivoluzionaria, e innanzitutto della lotta di classe, hanno preso una forma differente.
  3. c) La cosa peggiore (ma non la più pericolosa, solo la più affaticante) è che si sta costituendo, a partire dalla distruzione del tradizionale, una nuova tradizione che viene rispettata e persino sacralizzata. Anche qui, solo qualche indicazione: è sufficiente siano pronunciate certe parole-chiave come spontaneità, autogestione, doppio potere, azione simbolica, assemblea generale libera, comitato d’azione, perché il “movimento” si rassicuri su se stesso, certo così di continuare senza tradire la sua verità originaria. E lo stesso vale per il prestigio (che bisogna dire sconsiderato) della parola “studente”, pensata implicitamente come l’equivalente della parola “rivoluzionario” (della quale si abusa egualmente), al punto che qualsiasi agitazione in una facoltà, fosse un po’ di casino il giorno della tesi o una sfilata di Saint Nicolas [giorno in cui tradizionalmente gli studenti, prima del ’68, sfilavano in corteo con le loro proteste], compaia a certi oppositori come ai tenutari dell’Ordine una prodigiosa impresa di sovversione. E, beninteso, è il blocco al potere, allo stesso tempo stupido e superautoritario, ossessionato dal ricordo di terrore che Maggio gli ha lasciato, che ogni volta cade nella trappola della ripetizione, rinchiudendovisi con i suoi avversari e girando con loro in un movimento d’immobilità per il quale tutto si ripete senza rinnovarsi, ma obbligando così la ripetizione a esibire la sua potenza di morte, potenza morta che può alla lunga provocare la dissoluzione invisibile dell’insieme.
  4. Sono giusto degli spunti riflessione. La conclusione verso la quale alcuni si orientano è che la rivoluzione di Maggio, siccome è stata globale, poiché ha cambiato tutto, ha anche lasciato tutto intatto. Io non lo credo ma, a partire da qui, ricorderò un’esigenza: Prendere coscienza, sempre di nuovo, che siamo alla fine della storia e perciò la maggior parte delle nozioni ereditate, a cominciare da quelle della tradizione rivoluzionaria, devono essere riesaminate e, così come sono, rifiutate. La discontinuità che Maggio ha rappresentato (non meno che prodotto) colpisce in egual modo il linguaggio e l’azione ideologica. Riconosciamolo, Marx, Lenin, Bakounin si sono riavvicinati e si sono subito allontanati. C’è un vuoto assoluto dietro e davanti a noi – e dobbiamo pensare e agire senza aiuti, senza altro sostegno che la radicalità di questo vuoto. Ancora una volta, tutto è cambiato. Anche l’internazionalismo è altro. Non lasciamoci mistificare. Rimettiamo tutto in causa, compreso le nostre certezze e le nostre speranze verbali. LA RIVOLUZIONE E’ DIETRO DI NOI: oggetto già di consumo e a volte di godimento. Ma quello che è davanti a noi e che sarà terribile non ha ancora un nome.

(Qui e ora, Il Culto, Numero 14, Movimento 13/06/2018)

image_pdf

Lascia un commento