Carlo Tombola analizza il modo in cui i testi scolastici trattano il 68. Stefano Levi Della Torre fa un bilancio del Sessantotto che ne ricostruisce la dimensione storica. Lea Melandri ne esprime alcune delle istanze più radicali e non realizzate. Giancarlo Consonni ne dà un giudizio alla luce del presente, a partire dalla condizione dell’università italiana:
“Non mitizzerei il ’68: lì c’era tutto e il contrario di tutto. Gli sviluppi lo hanno dimostrato: coloro che lo hanno inteso (e vissuto) come una scorciatoia per il potere si sono presto adattati a fare i maggiordomi dei potenti (quando non si sono infilati nella follia brigatista); coloro che hanno posto il problema di un sapere e di un saper fare responsabili hanno per lo più continuato a farlo, assumendosi il compito di andare controcorrente e pagando di persona”.
Il ‘68: deformazione storica * di Carlo Tombola
È un fatto di una certa rilevanza storiografica che i manuali scolastici siano gravemente carenti a proposito del ‘68, anche perché i manuali sono gli unici libri di storia a entrare nelle case della maggioranza degli italiani, che non legge alcun libro.
Questa carenza si può analizzare da angolazioni differenti. Nasce da una più generale carenza storiografica, della ricerca e dell’interpretazione attorno al ‘68, È spesso aggravata dalla banalizzazione divulgativo-scolastica, di ciò che nelle redazioni si pensa sia la linea mediana accettabile dagli insegnanti adottandi, ma è presente anche laddove il testo sia “firmato”, quando l’Autore voglia imprimere un marchio distintivo, fuori corrente, autoriale. Attraverso lo specchio deformante dei manuali, sia pure nel loro differenziarsi per ragioni commerciali, si conferma la difficoltà che pone il tema, la cui storicizzazione richiede oggi, secondo me, una battaglia culturale importante.
Sui manuali, infatti, capita anche di registrare una drastica derubricazione, se non proprio una rimozione del 68 come oggetto storico: come quella operata da [Banti 1.], per il quale il ‘68 è soltanto «un anno inquieto» non degno di un paragrafo e tanto meno di un capitolo: rimozione presente sia nella prima (2008) che nella seconda edizione (2012), ma non reiterata in un altro e più recente testo scolastico del fortunato Autore, [Banti 2.]. C’è poi la scelta di [Fossati 2.], in cui praticamente si tratta solo del caso italiano come rappresentativo di tutto il ‘68, con il complemento di una pagina di Charles Maier (il ‘68 si spiega con il successo del modello capitalistico e prelude alla sua transizione al corporatismo): ripresa e ampliamento della linea già imboccata con il precedente [Fossati 1.], con cui il potente gruppo editoriale Bruno Mondadori-Pearson, egemone nel settore umanistico, aveva già scelto la linea riduzionista e aperto alla tendenza generale della manualistica sul tema, di accompagnamento all’uscita di scena demografica della generazione sessantottina.
Per ora, la stragrande maggioranza dei manuali, almeno nel campione analizzato, dà spazio al tema, ma sempre sezionandolo in unità o capitoli diversi, contestazione americana e Maggio francese da una parte, caso italiano con ‘68-‘69 e lunga coda terroristica dall’altra. Sulla diversità del caso italiano, penso che sia abbastanza grave che si ignori o si minimizzi la partecipazione dei giovani operai al ‘68, in continuità e anche in rottura con le lotte sociali e del lavoro degli anni Sessanta, come fanno [Onnis] e [Giardina] che descrivono il ‘69 operaio come derivato o continuatore del ‘68 studentesco; e come non fanno [Castronovo], [Montanari] e soprattutto [De Luna], sempre equilibrato.
Ma più grave ancora – ed è proprio questa la lettura di gran lunga dominante – che si istituisca una relazione causa-effetto tra ‘68 e “anni di piombo”, relazione che rimane invece un problema del tutto aperto. Ci torneremo più avanti.
Nelle sezioni ‘68 fuori d’Italia, è molto presente l’atteggiamento “demistificatorio” dei manuali circa la natura della “ribellione”, l’insistenza con cui si dice che protagonisti ne sono stati giovani studenti prevalentemente di classe media, e che la loro fu una battaglia culturale contro valori obsoleti, di svecchiamento dei costumi, ma che il loro programma politico fallì miseramente per utopismo, velleitarismo e confusione. Talvolta si toccano vertici patetici e risentiti, come in [Zorzi] per il quale i contestatori ingrati presero a bersaglio il benessere consumista che i padri avevano conquistato dopo le sofferenze del periodo bellico e tanti sacrifici.
Altra scelta generalizzata è l’anticipazione delle cause “strutturali” e quindi oggettive, economiche e sociali, che permette un approccio politically correct al tema: benessere e consumismo, demografia e accesso agli studi superiori, crisi dei sistemi scolastici, avvento della tv. La sequenza è presente in [Feltri], [Onnis], [Montanari], molto forte nei due corsi laterziani [Giardina] e [Banti 2.], fortissima in [Desideri], solo riferita al boom italiano in [Gentile], tutta in chiave di “immaginari collettivi” in [Banti 1.]. Solitamente è inserita in un quadro di “età dell’oro” al suo culmine, che in realtà non dovrebbe darsi troppo per scontato, dal momento che si reggeva sul demenziale terrore atomico, su una politica dei “blocchi” altrettanto plumbea anche al di qua della Cortina di ferro, sullo sfruttamento interno e la guerra esportata (dalla Corea al Vietnam, dall’Algeria alla Palestina), sull’apartheid dei ghetti neri. La sequenza non è invece presente in [Cataldi], anche per il taglio problematico e giornalistico con cui sono montati i capitoli, e [Castronovo] in cui prevale – e non solo sul ‘68 – un’impostazione attenta ai dati e ai mutamenti della politica.
Sotto traccia, e talvolta in chiaro come in [Desideri] e [Gentile], vi è il giudizio storico della rilevanza solo culturale e di costume del ‘68, di fronte al fallimento della proposta politica. Lo si constata nell’onnipresenza di corpose sezioni dedicate al femminismo (in [Bravo] il tema è situato in una «rottura dell’universalismo» di cui il ‘68 sarebbe il culmine e anche l’eclisse), e nell’insistenza con cui il ‘68 è identificato con Woodstock, LSD, hippy e musica, facile occasione di alleggerimento dei seriosi testi scolastici con box, doppie-pagine, approfondimenti a senso unico: in [Banti 2.] (Dylan e Rolling Stones, «due voci della controcultura»), in [Gentile] (tre emblemi del ‘68, Woodstock, Dylan, Cent’anni di solitudine); in [Zorzi] (tre pagine su Woodstock), in [Giardina] (Beatles più «musica e modelli culturali»), in [Bravo] (Woodstock e musica «come collante generazionale»).
Come già accennato, il punto più debole nei manuali, e del resto anche della storiografia soprattutto del ‘68 italiano, è il collegamento causale ‘68-terrorismo, nel senso che il ‘68 avrebbe avuto in sé i germi della violenza politica esplosa negli anni Settanta, poi sempre presentata mediante l’abbinamento violenza nera/violenza rossa, calco dello schema giornalistico degli “opposti estremismi”. Questa linea è clamorosa in [Banti 2.] (in Italia il ‘68 si è militarizzato dopo la primavera 1968), dichiarata in [Feltri] (lecito usare la violenza), problematica in [Bravo].
Si è ripresa in modo acritico, cioè, l’immagine del ‘68 costruita dai media cinquant’anni fa, sebbene giornali e tv siano stati parti in causa nel conflitto e abbiano esercitato una continua e palese manipolazione, e nonostante non abbiano mai capito il ‘68, nei suoi nessi, in ciò che vi era di ineludibile, tutti tesi com’erano a convincere dell’utopia irrealizzabile, quando non collusi con le trame del Potere. Non si dice quel che oggi, almeno in sede storica (se non giudiziariamente), è chiaro, cioè che il ‘68 fu una rivolta pacifica, una “presa di parola” generalizzata e democratica. Non si dice che pose – certo ingenuamente e in modo politicamente confuso – problemi fondamentali, puntando la sua critica anti-sistema su Stato nazione, apparato giuridico-repressivo, partiti, esercito, scuola, chiesa, famiglia, guerra, sfruttamento del lavoro e disuguaglianza sociale, con un programma elementare e radicale: la loro scomparsa.
A questo, il Potere reagì con una violenza inaudita, ovunque. Nei manuali non si collega mai al ‘68 – tutt’al più solo un cenno, vedi [Bravo] – la violenza impiegata per stroncare la “teologia della liberazione” latino-americana, che pure al ‘68 è strettamente connessa, violenza che diede il via a disumane dittature militari; né si parla di quale fu il costo del rapido ritorno all’ordine negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, preludio per l’Occidente del disastroso trionfo neo-liberista e della ripresa della guerra in grande stile, dagli anni Novanta ad oggi. Anzi, si giunge a spiegare in chiave di Realpolitik il fallimento dell’utopia pacifista, uno dei caratteri più qualificanti del ‘68, come in [Desideri], laddove si afferma che le istanze pacifiste «si scontrano regolarmente con le esigenze degli Stati» e devono sottostare alla difesa degli interessi nazionali.
Quanto al caso italiano, anche quando i manuali prendono esplicita posizione sulla strategia della tensione – come in [Fossati] e [Castronovo] – non si dice che è gestita e coperta dai servizi USA e italiani, con un disegno reazionario esemplare ed evidente, a colpi di stragi. Se concorde è il giudizio di fallimento del ‘68, non si dice che la sua sconfitta è quella di tutti i movimenti che erano sorti in nome della giustizia e dell’uguaglianza, anche di quelli più accettabili e banalizzati (ecologismo, femminismo). Detto altrimenti, la vittoria dei “vincitori” si sta materializzando sempre più in un crescente pericolo per l’umanità. Di quelle forti affermazioni di vita sulle pulsioni di morte del nostro mondo occidentale l’eredità è ormai dispersa, l’ultimo rischio è che ne venga distorta e trafugata anche la memoria.
*Nota a Il ‘68: deformazione storica, di Carlo Tombola
Sono qui presi a campione quattordici testi:
[Banti 1.] Alberto Mario BANTI, Il senso del tempo, vol. 3 “1900-oggi”, Roma-Bari, Editori Laterza, ed. 2012 (20081), pp. 686;
[Banti 2.] Alberto Mario BANTI, Linee della storia, vol. 3 “Dal 1900 a oggi”, Roma-Bari, Editori Laterza, ed. 20151, pp. 600;
[Bravo] A. BRAVO, A. FOA, L. SCARAFFIA, I nuovi fili della memoria, vol. 3, “Uomini e donne nella storia dal 1900 a oggi”, Bari, Laterza, 20001, 20032
[Castronovo] Valerio CASTRONOVO, Nel segno dei tempi. MilleDuemila, vol.3 “Il Novecento e il Duemila”, Milano, RCS Libri, 2012, pp. 823.
[Cataldi] Pietro CATALDI, Ennio ABATE, Sara LUPERINI, Lidia MARCHIANI, Cinzia SPIGOLA, Di fronte alla storia – Eventi, persone, luoghi tra passato e presente, vol. 3, “Il Novecento e oltre (dal 1914 a oggi)”, Palermo, Palumbo, 2009, pp. 833
[De Luna] Giovanni DE LUNA, Marco MERIGGI, Giuseppe ALBERTONI, La storia al presente, vol. 3 “Il mondo contemporaneo”, Torino, Paravia/Pearson, 2008, pp. 696
[Desideri] Antonio DESIDERI, Giovanni CODOVINI, Storia e storiografia. Per la scuola del terzo millennio, voll. 3A (Dalla Belle Époque alla Seconda guerra mondiale) e 3B (Dalla Guerra fredda a oggi), Firenze, D’Anna, 2015, pp. 450+452.
[Feltri] Francesco Maria FELTRI (con la collaborazione di Maria Manuela Bertazzoni e Franca Neri), Scenari – Dinamiche storiche e punti di svolta, vol. 3 “Novecento e XXI secolo”, SEI-Società Editrice Internazionale, Torino, 2018, pp. 817
[Fossati 1.] Marco FOSSATI, Giorgio LUPPI, Emilio ZANETTE, Passato presente, vol. 3, “Il Novecento e il mondo contemporaneo”, Milano-Torino, Ed. Scolastiche B.Mondadori-Pearson Italia, 2006, pp. 552
[Fossati 2.] Marco FOSSATI, Giorgio LUPPI, Emilio ZANETTE, Storia. Concetti e connessioni, vol. 3, “Il Novecento e il mondo contemporaneo”, Milano-Torino, Ed. Scolastiche B.Mondadori-Pearson Italia, 2015, pp. 648
[Gentile] Gianni GENTILE, Luigi RONGA, Anna ROSSI, Il Nuovo Millennium, vol. 3, Brescia, “Il Novecento e l’inizio del XXI secolo”, Editrice La Scuola, 2016, pp. 896
[Giardina] Andrea GIARDINA, Giovanni SABBATUCCI, Vittorio VIDOTTO, I mondi della storia, vol. 3, “Guerre mondiali, decolonizzazione, globalizzazione”, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 625
[Montanari] Anna Maria MONTANARI, Daniele CALVI, Marcello GIACOMELLI, 360° storia, vol.3, “Dalla seconda rivoluzione industriale a oggi”, Torino, Ed. Il Capitello, pp. 681
[Omnis] Maurizio ONNIS, Luca CRIPPA, Orizzonti dell’uomo, Vol. III, Il Novecento e il mondo attuale, Torino, 2012, Loescher, pp. 431
[Zorzi] Andrea ZORZI, Andrea ZANNINI, Walter PANCIERA, Sandro ROGARI, Storia, vol. 3, “Il Novecento e il mondo contemporaneo”, Novara, Garzanti Scuola/De Agostini, 2009, pp. 694.
(Pubblicato su vivalascuola, maggio 28, 2018)
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