Rino Genovese. ‘Salvare il salvabile’
Diciamoci la verità: era abbastanza naturale che per dare la mazzata decisiva a Matteo Renzi si dovesse passare per uno spostamento a destra dell’asse politico del paese. Quello che non ci si aspettava è che il grillismo avanzasse ancora, che crescesse in questa misura (ben sette punti in percentuale rispetto al 2013), impedendo così qualsiasi ridistribuzione delle carte a sinistra. Sono andate male, non riuscendo a intercettare il voto in uscita dal Pd, sia le liste di “Liberi e uguali” sia quelle di “Potere al popolo” che prendono, a considerarle insieme, soltanto il quattro e mezzo per cento dei voti. L’elettore scontento di centrosinistra e di sinistra preferisce votare per i qualunquisti anziché per dei cartelli elettorali che sanno o di operazioni di ceto politico o di inguaribile minoritarismo. Peggio per lui, si potrebbe dire, se è così fesso da non saper vedere cos’è il qualunquismo – ma questo non sarebbe un modo di parlare politico.
Il punto è che sono bastati pochi anni a Renzi – un piccolo arrivista impossessatosi dell’ultima organizzazione di partito vera e propria esistente in Italia grazie al meccanismo perverso delle “primarie” – per trasformare il Pd in un partito centrista. La scissione è intervenuta troppo tardi (andava fatta già ai tempi del jobs act) e senza un’esplicita autocritica da parte del gruppo dirigente che l’ha promossa. Il magro risultato elettorale non è il frutto di un destino cinico e baro ma di un deficit di credibilità.
C’è però un’altra osservazione da aggiungere: è provato e riprovato che la sinistra in Italia non riesce a essere elettoralmente competitiva se non all’interno di una coalizione di centrosinistra. La si potrà chiamare in un altro modo, si dovrà – è diventato ormai imperativo – centrarla sulla questione sociale e su quella del Mezzogiorno (specialmente su quest’ultima se si trae la giusta lezione dalla marea grillina nelle regioni meridionali), ma si dovrà pure pensare di rifarla se non si vuole lasciare il governo del paese ai qualunquisti o alla destra.
Sembra adesso – è una conseguenza del successo fascioleghista – che il Pd e la piccola formazione alla sua sinistra debbano per forza di cose orientarsi verso un appoggio esterno a un governo Di Maio per impedire al grillismo di cercare una sponda a destra con Salvini. Non si può che preferire il qualunquista (figlio, per inciso, di un fascista matricolato) al fascista vero e proprio. È saggio andare in questa direzione, pur sapendo che un male minore è pur sempre un male. Ma Renzi e i suoi resisteranno fino allo spasimo a questa prospettiva per cercare di sopravvivere almeno come opposizione, visto che non ci sono riusciti come maggioranza.
In alternativa, si dovrebbe ritornare al voto non più tardi dell’autunno, cercando di archiviare per sempre Renzi e presentando un’alleanza elettorale competitiva. Lo so: qualcuno vorrebbe qualcosa di “più forte”, e potrebbe perfino preferire un governo grillino appoggiato dalla Lega – un qualunquo-fascismo xenofobo al governo del paese – per vedere l’effetto che fa (volendo citare una vecchia canzoncina del grillino eponimo Dario Fo). Ma sarebbe una iattura per noi tutti: ci avvicinerebbe all’Ungheria di Orbán. Più che spaventare l’Europa sarebbe un’ignominia per l’Italia.
(8 marzo 2018 pubblicato da Il Ponte)
Claudio Bocchi … a proposito di intellettuali che ti spiegano, e senza sforzarsi troppo, ciò che tutti hanno già capito leggendo qualche quotidiano o semplicemente lavorando di cervello in proprio … A proposito di qualunquismi: “salvare il salvabile” dove lo collochiamo, nel rifiuto della vocazione minoritaria, nel fare muro all’onda d’urto fascio-salvinista, o nel prendersi tempo di riflessione? Comunque sembra chiaro che il problema sia “l’archiviazione per sempre di Renzi e i suoi” (in quel “suoi” lì ci sta quasi tutto l’attuale bottino del PD), condizione necessaria affinché gli intellettuali di sinistra (forse meglio: di centrosinistra) maturino le idee nuove da cui ripartire. E tanto che ci sono, magari ci dicono anche da quale piattaforma farle decollare. (08 marzo 2018)
Fabrizio Leccabue … la politica da che mondo è mondo è fatta di tattica e di strategia. Oggi non c’è tattica né strategia… questo è il vero disastro! Che Renzi, oggi, sia un peso (politico, ovviamente) è, per me, chiaro: non ha dimostrato né di essere un buon politico (con una cultura alla spalle), né un segretario di partito, né come sindaco di Firenze ha brillato… da rottamare!, per usare una sua espressione. Poi vediamo cosa si può costruire… Sulla pagina FB di ‘dalla parte del torto’ abbiamo postato, volutamente, diversi opinioni, commenti e proposte (non tutte coincidenti)… credo che la discussione, fuori da schemi preconcetti, possa solo far bene… alla sinistra (quello che resta ancora) e al centro sinistra (dove non si capisce ci è il centro chi è la sinistra). Caro Claudio tu sollevi la questione della funzione dell’intellettuale, oggi… cosa deve fare oggi l’intellettuale (serio e competente), se non avere una visione critica, fuori da giochi di potere… e dire e scrivere quello che pensa…Fortini scriveva che la politica e la cultura sono facce di una stessa medaglia; se la politica non è sorretta dalla cultura è politica volgare (come quella di oggi); se la cultura non è sorretta dalla politica, è cultura astratta (come quella di oggi)… citazione a braccio, però la realtà oggi è questa piaccia o no! Cosa fare?
- Arginare la destra, in tutti i modi;
2. Verificare se esistono delle possibilità di costruzione di una sinistra plurale, non estremista, anticapitalista. (08 marzo 2018)
Claudio Bocchi Renzi ha segnato, e non da solo, prima di lui altri e soprattutto della componente ex comunista, il fallimento politico di un progetto che si chiama PD. Come sindaco di Firenze non ha brillato, ma l’altro giorno ha preso il 44% di consensi, più del doppio della media nazionale del partito. Bersani è stato ripescato, D’Alema, ultimo dei candidati nella sua Puglia, è (finalmente) rottamato. La Boschi ha trasformato l’Alto Adige in una “regione di centro-sinistra”, Gentiloni ha vinto nel suo collegio, ecc. Dopo di che Renzi non va bene per il futuro, e nemmeno per l’oggi, questo lo penso anch’io, ma anche molti così detti intellettuali della sinistra hanno fatto il loro tempo … Che fare? Lo sapessi, sarei un buon intellettuale. Tuttavia credo di essere un buon lettore, in grado di discriminare l’aria fritta dalle idee. (10 marzo 2018)
Fabrizio Leccabue … Siamo d’accordo: esiste il fallimento del progetto politico che si chiama PD. Quando è nato il PD scrivevo su ‘dalla parte del torto’, e quindi senza il senno del poi, che c’era un grosso rischio: che si trasformasse in un partito di centro (grazie alle sue componenti principali, democristiana e comunista).
Ti dirò che i dati % delle elezioni di Renzi, Boschi, Gentiloni… Bersani non mi appassionano. Quello che mi interessa è il dato macro (il sud ai 5stelle e il centro nord alla destra/Lega) e capire il perché gli italiani votano in un certo modo e in questo momento. Cos’è che non abbiamo capito, quanto e com’è cambiata la realtà italiana in questi ultimi trent’anni (l’invecchiamento della popolazione, i giovani cosa pensano (se pensano o perché non pensano), il ‘diritto’ al lavoro completamente trasformato, i migranti, la funzione della scuola/università/ricerca stravolta, il diritto alla salute, questa ‘benedetta’ Costituzione ancora incompiuta, la corsa alle privatizzazioni con quali risultati (poste, ferrovie, autostrade, …) e si potrebbe continuare ad elencare una serie di ‘problemi’ reali che il popolo o la gente (che è la stessa cosa) vive tutti i giorni.
Certo una politica socialdemocratica seria e riformista avrebbe potuto attenuare queste ‘contraddizioni’ sociali… ma la socialdemocrazia in Europa è definitivamente finita, allineata alle politiche liberiste, cioè alla triade economica.
Tre brevi considerazioni finali, che meriterebbero il giusto approfondimento:
1. gli intellettuali, oggi, non portano voti. Basti vedere gli intellettuali nella dichiarazione di voto a Potere al popolo. Gli intellettuali, oggi, a differenza del recente passato, non sono parte di un processo/progetto, ma semplicemente, come ai vecchi tempi, ‘fiori all’occhiello’ alla lista elettorale. Responsabilità loro, certamente, ma anche e soprattutto della politica che non li vuole; per la politica, oggi, non sono ‘necessari’;
2. Il cosiddetto popolo, in Italia, è quello che è. Non c’è bisogno di scomodare Leopardi (‘Dei costumi degli italiani’) o Giulio Bollati (‘L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione’) o Claudio Pavone (Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza) o i saggi di Guido Crainz, Mario Isnenghi, Giovanni De Luna, Mariamargherita Scotti o Bruno Trentin (Diari 1988-1994). Forse, forse, capiremmo un po’, un pochino, del perché siamo in questa situazione politico culturale sociale, in Italia.
Né tantomeno di seguire le ‘teorie’ di Laclau sul populismo (di sinistra e/o di destra). Marco Revelli (Populismo 2.0) e Rino Genovese (Totalitarismi e populismi) penso abbiamo ‘chiarito’ alcuni aspetti del populismo.
3. In politica, se si vuol fare politica attiva (nelle condizioni ‘oggettive’ che si presentano oggi) e non semplicemente testimonianza (speranza che ‘gli altri’ seguano i tuoi consigli e le tue idee/proposte), o si fa una battaglia interna o si esce e si prefigura un ‘qualcosa’ di nuovo. C’è poi sempre presente nella storia delle elezioni politiche italiane ‘il nullismo’ coperto da massimalismo’ (voto turandomi il naso, annullo la scheda, sono tutti ‘compromessi’ con il potere, …), così non si va da nessuna parte.
C’è una bella poesia di Bertolt Brecht:
Il cambio della ruota
Sto seduto ai margini della strada.
L’autista cambia la ruota.
Non sono contento di dove vengo.
Non sono contento di dove vado.
Perché vedo il cambio della ruota
Con impazienza?
Ed è con ‘impazienza’ che sto leggendo, tra le altre cose, L’altro Risorgimento di Carlo Pisacane con un bel saggio di Alessandro Leogrande e uno scritto di Carlo Rosselli. (11 marzo 2018)
Sergio Serventi. … alcune domande: cosa significa sinistra plurale? Che ci possono essere legittimamente diverse sinistre con il dovere di collaborare anziché scomunicarsi? Sarebbe un bel progresso visto il recentissimo passato, ma mi permetterai di essere pessimista. Il rischio che tu avevi rilevato subito era che Renzi stava facendo un partito di centro: Mi sono sempre chiesto cosa ci fosse di sorprendente visto che i post comunisti (me compreso) avevano scelto di fare un partito unico con i post democristiani. Qualcuno poteva illudersi che fosse un partito della sinistra socialista? Il PD (fusione fra PCI e DC) l’hanno fatto Bersani e D’Alema e poi quando si sono “accorti” che era di centro (se ne sono accorti quando glielo ha sottratto Renzi), se ne sono andati. Veltroni e Fassino hanno avuto il pudore di non farlo. Io, come loro, ho pensato che proprio perché era diventato un partito “di centro” poteva essere il perno dell’unica “sinistra” (centro-sinistra) di governo possibile in questo Paese che ha la storia e la struttura sociale che ha. L’alternativa sarebbe stata (ed è) la mera testimonianza a vocazione minoritaria. L’attuale situazione è figlia di questa vicenda interna al PD ma anche e soprattutto, di altro. Per riflettere su questo “altro” ti faccio un’altra domanda: per cercare di distinguere come auspica Claudio Bocchi l’aria fritta dalle idee, cosa significa in concreto (in termini di programmi di governo qui ed ora, per capirci) “sinistra non estremista e anticapitalista”? A me sembra un ossimoro. O, scusa la franchezza e l’ignoranza, aria fritta. Quanto agli intellettuali, è proprio la sparizione del “sapere” dalla politica che segna il salto epocale che stiamo vivendo e che è la vera causa anche del risultato elettorale qui e in tutto l’occidente, altro che Renzi, anche se lui ci ha messo del suo. In fin dei conti e semplificando, la storia del ‘900 e stata segnata dalla lotta fra élite: élite economiche ed élite intellettuali. Le masse seguivano: a destra e a sinistra. Anzi la sinistra, ne ha fatto un mito fondante: il partito avanguardia, intellettuale e militante insieme. Oggi questo, che resta un elemento fondante dell’idea che noi ancora abbiamo di sinistra, è sparito. La società di oggi è talmente complessa e globalizzata che nessun politico “sa” abbastanza. E allora sono gli altri ‘saperi’, quelli specialistici e particolari e quindi per loro natura non politici, prevalgono e i politici si spartiscono le briciole di un potere illusorio e illudente le masse che li votano. Sono ‘saperi’ che si identificano con i nuovi poteri. Economico, finanziario, massmediatico, tecnologico. A me sembra sparito un altro elemento fondante della sinistra: il cercare di emanciparsi, non individualmente, ma insieme. Questa tensione è un “a priori” per la sinistra; viene prima dei programmi e delle linee politiche. Se non c’è questa non c’è e non ci sarà più sinistra, per come leggo che ancora viene concepita da chi vorrebbe “rigenerarla”. Una volta si chiamava coscienza o solidarietà di classe o di qualunque collettività che voglia riconoscersi in un obbiettivo comune. Ma c’è oggi un obbiettivo comune che possa unificare gli individui o le microcaste che unicamente ne uniscono piccole parti? Io ne dubito. Tutto questo mio riflettere mi fa sorgere un dubbio: rigenerare la sinistra è una mission impossible, perché non ne esistono più i presupposti strutturali. D’altra parte, perché dovremmo essere così presuntuosi da ritenere che questa nostra sinistra, possa rigenerarsi solo perché noi non riusciamo a immaginare il mondo che verrà e che magari sarà senza sinistra? Scalfari ha provocatoriamente proposto che il M5S confluisca nel PD; io il giorno prima, avevo ipotizzato che se il PD vuol fare il “responsabile” e non lasciare campo libero alla Lega, come non pochi elettori PD, meno militanti e meno coinvolti dalle vicende di insulti preelettorali e dalla famosa umiliazione di Bersani del 2013, auspicano, allora tanto vale che confluisca nel M5S, per quel che durerà. Forse è questa la sinistra possibile del nuovo millennio. Ovviamente “non in mio nome”, ma io fra 12 anni sarà statisticamente defunto, mentre Di Maio ne avrà ancora per 50 anni. Quindi, sai quanto se ne fotte Giggino di ciò che penso io, con tutte le mie (e le nostre) letture. (13 marzo 2018)
Fabrizio Leccabue. Cosa significa sinistra plurale? Procediamo per piccoli passi, anzitutto cosa significa sinistra oggi? Io sono restato, essendo del ‘900, al socialista-liberale Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica (1994) e Quale socialismo? Discussione di un’alternativa (1976). Libricini documentatissimi che si traducono in una sintesi di cosa vuol dire essere di sinistra o di destra, oggi. Essere di sinistra non in termini astratti, ma con forti motivazioni discriminanti culturalmente e socialmente e, perché no, ideologicamente. La scelta è ‘relativamente’ semplice: o stai di qua o stai di là. Scelta che si deve tradurre, e nel recente passato si è in parte tradotta in, in un progetto, in un ‘agire politico’, in proposte concrete per i cittadini, per il ‘bene comune’.
Il ‘centro’ è un’invenzione della politica-politicante o meglio di quel ‘trasformismo’, proprio della storia d’Italia. Il ‘centro’ come cultura politico sociale non esiste è pura invenzione della politica.
Secondo la tradizione politica italiana, tipicamente italiana, per fare un centro-sinistra ci vuole un centro e una sinistra (e così era negli anno ’60). Un centro-sinistra autoconsistente, tutti dentro allo stesso partito è un’altra invenzione della politica (da Veltroni in poi… fino al PD pre-Renzi), destinata a autoesaurirsi, a non essere capita.
Passiamo a cosa vuol dire ‘sinistra plurale? Credo che oggi non si possa più riproporre il centralismo democratico del vecchio Pci (anche se residui comportamentali esistono anche oggi, tipo il ‘capo comanda’, le liste elettorali ‘personalizzate’) o la logica delle correnti (legittime se di pensiero e di idee). Credo che, oggi, sull’esperienza spagnola di Podemos, portoghese del Bloco de esquerda, del Labour di Corbyn, della Linke in Germania sia possibile ipotizzare (e realizzare, visto che in Europa ci stanno provando non in teoria, ma in pratica) un’organizzazione (o movimento o partito) nella quale possono coesistere diverse opinioni, diverse idee, diverse ipotesi politiche…. ‘unitari’ su alcuni, sottolineo su alcuni, punti nodali della politica (interna, europea, economia…) senza pretendere l’unanimità (Per inciso lo Psiup c’era in parte riuscito, credo).
Terzo passaggio: sinistra non estremista, ma anticapitalista. Mi chiedo e ti chiedo: si è estremisti a chiedere un controllo rigoroso dell’agire del sistema bancario (con gli attuali strumenti ‘istituzionali’); si è estremisti a chiedere un controllo e imporre delle regole all’agire delle multinazionali?; si è estremisti a pretendere uno ‘stato sociale’ nel quale siano prioritari il lavoro (anche rispetto alle nuove generazioni e alle nuove povertà), il diritto alla salute (potenziare la salute pubblica e non favorire in tutti i modi quella privata), alla scuola/università/ricerca? (potenziare il diritto allo studio e non favorire le scuole o gli istituti privati, potenziare la ricerca pubblica invece di finanziare, senza controlli, la ricerca privata-industriale …); si è estremisti a chiedere una lotta all’evasione fiscale che parta dall’alto e scenda verso il basso? (non come oggi che si parte dal basso, dall’artigiano, dal commerciante, dal semplice cittadino,…); si è estremisti se si pretende un controllo rigoroso sulla finanza? partendo, almeno per me, dal presupposto che il neoliberismo ha prodotto ricchezza finanziaria (quindi non produttiva) per pochi e un impoverimento reale e macerie sociali e individuali per i più; si è estremisti se si vuole che il settore pubblico, nelle diverse sue articolazioni, funzioni?; si è estremisti a chiedere che l’acqua sia pubblica?; si è estremisti a porre fine alla produzione di armi (italiane)?; si è estremisti a chiedere un programma di riassetto idrogeologico delle nostre colline e montagna?; si è estremisti a chiedere che l’uguaglianza sia alla base della vita sociale, nonché la premessa alla fraternità? (credo che le disuguaglianze prodotte in questi anni, epocali, siano state una scelta politica cosciente delle classi dirigenti… ); si è estremisti a chiedere l’attuazione della Costituzione, inadempiuta nella sostanza dopo 70 anni?; … (per inciso: erano estremisti i socialisti, negli anni ’60, a imporre la ‘nazionalizzazione’ dell’energia elettrica e delle fonti energetiche? o nelle battaglie sui diritti sociali e civili? – programmazione economica, statuto dei lavoratori, divorzio, aborto, …); … e potremmo continuare considerando i problemi ‘reali’ dell’Italia
Come puoi dedurre auspico un ritorno del primato della politica sull’economia, sulla finanza, sul cosiddetto ‘libero mercato’, anche perché normalmente i cosiddetti ‘tecnici’, prestati alla politica, obbediscono alle leggi del mercato e della finanza.
Proprio perché penso, ma è una mia opinione, che in politica ‘i vuoti’ non esistono e se appaiono vengono riempiti, impropriamente, da altri soggetti politico sociali: negli anni ’70 dal sindacato e dalle lotte studentesche e operaie, negli anni ’80 dalla magistratura (mani pulite?!?), negli anni ’90 dai ‘tecnici’ e, oggi, dal populismo grillino e della Lega.
Auspico una sinistra anticapitalista, rispetto al tram tram politico di oggi di accettazione passiva delle politiche di austerità e neoliberiste, che prospetti una società diversa. Nell’attuale società, che si prefigura sempre in peggio per il prossimo futuro, i livelli di democrazia diminuiscono, anzi pongono in crisi profonda la stessa democrazia borghese liberale. Alcune analisi e idee interessanti le sta proponendo il sociologo portoghese Boaventura de Souza Santos (vedi gli articoli: ‘E’ arrivato il tempo di formare ribelli competenti’, dalla parte del torto, n. 76; ‘Rivoluzione e democrazia. Democratizzare la rivoluzione e rivoluzionare la democrazia’, dalla parte del torto, n. 80, in uscita).
Qualcuno mi ha detto: “Ma oggi non si può fare altro, come fai a combattere o a porre ‘regole’ alle multinazionali, alla finanza, ai monopoli, al cosiddetto ‘libero mercato’”. Dico: “Si tratta di porre semplicemente dei ‘paletti’ e delle regole’ tenendo presenti i diritti e doveri dei cittadini”. “Ma è utopico”, dice l’amico, “oggi non è possibile, non sei realista”. Propongo di rovesciare questo pensiero: “Caro amico sei tu non realista, non percepisci che ti stanno imbrogliando e complicando la vita tua e soprattutto dei tuoi figli, svegliati!”
Sui ‘saperi’. “La tecnica e le nuove tecnologie hanno prodotto ‘rapidissimi’ cambiamenti (a differenza della rivoluzione industriale, lenta, e della rivoluzione scientifica, rapida) nel mondo industriale, nella vita sociale e nella vita quotidiana dei cittadini. Sembra che gli ‘ismo’ del secolo passato siano stati sostituiti dagli ’ica’: informatica, telematica, robotica, cibernetica, domotica, mecatronica. Gli ‘ismo’, con i loro contenuti politici e ideologici, sono stati sostituiti dagli ‘ica’ apparentemente neutri e apparentemente puramente tecnici… Primo Levi osservava: “La distinzione tra arte, filosofia, scienza non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Descartes, Goethe, Einstein, o i costruttori anonimi delle cattedrali gotiche, o Michelangelo, non la conoscono i bravi artigiani di oggi né i fisici vacillanti al bordo del conoscibile”. (alcuni brani della mia lectio alla Universidad de La Habana, 2012)
Tu osservi che “… sono gli altri ‘saperi’, quelli specialistici e particolari e quindi per loro natura non politici, a prevalere e i politici si spartiscono le briciole di un potere illusorio e illudente le masse che li votano. Sono saperi che si identificano con i nuovi poteri. Economico, finanziario, massmediatico, tecnologico, … “.
I ‘saperi’, così come le nuove tecnologie, non sono, dal mio punto di vista di per se neutri, non politici. Dipende dall’uso, dalla loro funzione sociale, se servono all’uomo, alla Terra.
“Io sto dalla parte dei processi ‘lenti’ – in ‘equilibrio’, direbbe un chimico -, ma senza rifiutare il ‘nuovo’, logicamente! Il ‘nuovo’ e i processi rapidissimi sono, di fatto, parte della nostra realtà e dobbiamo prepararci a comprenderli, controllarli, analizzarli ‘criticamente’, dirigerli verso il bene comune, verso l’uomo e in funzione dell’uomo.” (idem)
Tu scrivi: “A me sembra sparito un altro elemento fondante della sinistra: il cercare di emanciparsi, non individualmente, ma insieme”. E’ la lezione di don Milani. Perché non seguirla? Perché non proporla alle nuove generazioni non in termini paternalistici, ma nell’agire quotidiano, nell’esempio della vita di tutti i giorni? E’ troppo estremistica!
José Saramago, nel suo romanzo ‘La caverna’ ci suggerisce che “Sapremmo molto di più della complessità della vita se ci fossimo applicati con determinazione a studiare le sue contraddizioni, anziché perdere tempo con le identità e le coerenze, che hanno l’obbligo di spiegarsi da sole”.
Tu scrivi che oggi la realtà è complessa, più complessa del recente passato, e globalizzata. Certo. Perché non ci applichiamo a studiare le contraddizioni di questa società e trasformarle in programma politico, in obiettivi concreti comprensibili e condivisi con i cittadini? L’alternativa è l’accettazione dello status quo, è soccorrere il ‘vincitore gobale’ (il capitalismo). L’alternativa è rinchiudersi in casa sperando in Dio (se c’è) o nel suo delegato in terra Bergoglio (che almeno ‘qualcosa’ di critico e propositivo lo dice).
Avrei poi opinioni discordanti sulle élite, sulle funzioni delle élite, sul partito di avanguardia, intellettuale e militante insieme, sul rigenerare la sinistra (“una mission impossible, perché non ne esistono più i presupposti strutturali”), ma il discorso si farebbe lungo…
- Una breve nota sull‘aria fritta’. Non mi piace l’uso indistinto dell’espressione ‘aria fritta’. ‘Aria fritta’ è un libro di Ernesto Rossi (Laterza, 1956) nel quale sono stampati i suoi articoli polemici dopo Settimo: non rubare e Il Malgoverno. ‘Aria fritta’ normalmente lo riferisco a Berlusconi, Bossi, Salvini, Meloni, Grillo… a sinistra c’è un dibattito aperto sulle elezioni, con pareri discordanti e opinioni interpretative diverse… nulla di male! Non si tratta, comunque, di ‘aria fritta’. (15 marzo 2018)
Sergio Serventi. E’ sempre istruttivo leggerti, ma francamente non ho trovato molti nessi tra le questioni poste da me e le cose che scrivi. Forse perché nei passati 50 anni e ancora oggi, abbiamo fatto e stiamo facendo esperienze diverse.
Il fatto è che io sono molto pessimista sul futuro della sinistra come tu ancora la declini e ne citi autorevoli definizioni. Ovviamente non solo e non tanto in Italia che, per quel che conta, non sarebbe un gran problema. E quando prendo atto che non è un problema solo Italiano ho la conferma, anche per questo verso (e su questo concordo con chi lo sostiene -Es. Cacciari sull’ultimo Espresso -), che intanto non è più possibile fare una battaglia e una politica “di sinistra”, se non a livello almeno europeo.
Se sinistra non estremista, ma anticapitalista, significa rispondere positivamente alla serie di domande che fai, allora capisco l’accezione che intendi, anche se io ero rimasto che “anticapitalista” dovesse significare fuoriuscire dal capitalismo, cioè dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, il chè ovviamente non avverrebbe, anche se si realizzassero tutte le cose che tu poni come discrimine per la tua sinistra. O meglio. La tua serie di obbiettivi mi fa chiedere se ti rendi conto che, nella situazione data dei rapporti economici mondiali, perdurando questo capitalismo (per di più finanziario) a livello mondiale, alcune delle cose che tu auspichi, sono strutturalmente collidenti con la capacità del capitalismo italiano di sopravvivere alla competizione globale, con tutto ciò che ne consegue in termini di livelli di vita (occupazione, salari, welfare ecc.) proprio della parte più debole e maggioritaria della popolazione? Ma davvero la vicenda Tzipras non ha insegnato nulla? Non è un caso che le uniche cose non contestate come di sinistra fatte dal PD negli ultimi tre anni riguardano in larga misura “i diritti”, in quanto queste cose nulla modificano dei rapporti strutturali. E le poche cose strutturali fatte, hanno dovuto scontare un tale vincolo di gradualità, da far ritenere ai più che fossero largamente insufficienti e da qui il risultato elettorale. Per dirla in modo secco: se la sinistra attua la propria mission e quindi fa politiche espansive, a causa del nostro debito pubblico (in gran parte conseguenza delle politiche “espansive” e di welfare degli anni 70 e 80) i nostri creditori o esigeranno interessi insostenibili o non ci faranno più credito e noi andremo tutti (ma soprattutto i poveri e i meno ricchi) a mangiare l’erba nei fossi. E se la sinistra non fa politiche espansive, prevalgono temporaneamente le balle di Salvini e Grillo. E’ questa a mio parere la drammatica radice della crisi, non le inadeguatezze o i “tradimenti” dei gruppi dirigenti socialdemocratici. Del resto, se fosse così semplice, sarebbe perfino statisticamente improbabile che, da Blair in avanti, tutti i gruppi dirigenti della sinistra storica europea, fossero imbecilli o traditori. Sotto questo aspetto, la sinistra che tu auspichi e alla quale faccio i miei ironici auguri, c’è già: è il M5S. Infatti – seguo pedissequamente alcuni dei tuoi richiami – Di Maio vuole una banca pubblica (e perché non tutte?), vuole il controllo delle multinazionali (concretamente come?), a proposito di lavoro vuole abolire il jobs act di Renzi, vuole la sanità e la scuola pubbliche, vuole la lotta all’evasione fiscale, l’acqua pubblica, siccome gli 80 euro erano una miseria per affermare uguaglianza e fratellanza propone il reddito di cittadinanza, (Grillo si spinge più in là: prevede l’abolizione del lavoro salariato – ti ricorda qualcosa?), vuole abolire la Fornero, ha strenuamente “difeso” la Costituzione in occasione dello scorso Referendum ecc. Più sinistra di così! Non te lo faccio notare per amor di polemica. Io stesso ho postato, un po’ per provocazione e per paradosso, ma con al fondo la considerazione che ti ho appena fatto, che la scelta del PD potrebbe essere quella di confluire nel M5S, se non ci fosse il piccolo problema che quelle del M5S sono in gran parte (le più strutturali, cioè reddito di cittadinanza e Fornero) proposte incompatibili con i vincoli del contesto in cui l’Italia vive e per questo, appunto, “estremiste” o velleitarie o rischiosissime. Più probabilmente e semplicemente balle. E comunque vedremo.
Quanto alla sinistra “plurale” non so che dirti. La mia, vista la recente esperienza del PD e quello che si prepara per LeU, era una semplice curiosità, ma in fin dei conti non è certo questo il cuore del problema.
Tu ribadisci il primato della politica. E chi non sarebbe d’accordo. Proporre e auspicare costa poco. Ciò che vedo è che, nel mondo di oggi, i ‘saperi’ e i poteri si stanno unificando a livello di élite economiche, tecnologiche e massmediatiche, in un deserto di analfabetismo di massa. ‘Saperi’ e poteri non sono più in capo e nella disponibilità dei “politici”, né di destra (di questi, i poteri veri fanno senza), né di sinistra (le storiche élite intellettuali di sinistra), di cui invece vedo l’impotenza. E la vedo non solo io, c’è tutta una pubblicistica sulla sopravvenuta impotenza della politica. Anche qui: si tratta di inadeguatezza soggettiva o di un dato oggettivo? Ci sono due eccezioni a livello mondiale: la Cina e il M5S (si parva licet). La prima per l’approdo al quale è giunta la sua rivoluzione comunista. Potrebbe essere l’unica grande speranza per la sinistra mondiale. Ma ritengo che, nonostante il nome, la storia, la struttura del potere tutto incentrato sul primato della politica, tu non la ritenga sinistra. E forse neppure io, anche se ne ritengo probabile il successo ben oltre i suoi confini. Il secondo, perché teorizza e pratica una struttura di partito fondata su un’autocrazia oligarchica che, non a caso, basa il proprio potere sull’uso della famosa piattaforma Rousseau. Una forma antica e una moderna di dittatura: non più del proletariato o in nome del proletariato, ma in nome di una massa deprivata di qualunque potere.
E ripeto: in queste nuove masse che ripongono le proprie speranze ed illusioni in ciò che leggono o vedono sul proprio smartphone, si è strutturalmente persa la spinta ad emanciparsi collettivamente, se emanciparsi vuol dire lottare per acquisire diritti e dignità di cittadini utili e orientati alla costruzione di una società più giusta. Prova a guardare la gente – i giovani soprattutto – nei centri commerciali, nei loro luoghi di ritrovo, nelle stazioni ferroviarie, nei luoghi delle vacanze di massa, nelle scuole, prova ad ascoltare di cosa parlano insieme. Di tutto, ma non di politica o di cosa poter fare “insieme”, per migliorare la loro condizione individuale. In questi tre anni ho parlato quasi quotidianamente con Dario, segretario di circolo PD, e della sua fatica per far scattare in qualche suo coetaneo o ancor peggio nei più giovani, la voglia o disponibilità a spendersi, anche solo un poco, per dare una dimensione collettiva (già usare il termine “dimensione politica” è respingente) ai tentativi di soluzione dei loro problemi. Quelli che trovi, per lo più puntano a vedere se per caso con la politica – magari accodandosi a qualche candidato di buone possibilità – si può trovare un lavoro o fare carriera. Anche questo non è casuale, ma la conseguenza di ciò che sta accadendo nell’economia e nella società. E a questo livello anche nel M5S, quando votano sulla famosa piattaforma, votano in poche decine di migliaia, anche se poi prendono il 33% dei voti espressi. Affidarsi o delegare al capo momentaneo con più appeal, questa è la cultura dominante.
Sai come ho passato gli ultimi sei mesi? A interloquire con il management italiano di Itachi (350.000 dipendenti nel mondo di cui già 25.000 in Italia), in sede di trattativa per l’acquisto da parte loro del 100% della ditta per cui lavoro (200 tra dipendenti e collaboratori), che opera nel settore delle forniture di tecnologie e servizi alla Sanità, con particolare riferimento alla gestione in outsourcing di pezzi di ospedali, pubblici o privati che siano. Il presupposto del loro interesse ad acquisirci è da una parte dato dal fatto che noi abbiamo una struttura organizzativa già pronta, un Know how specifico e una collaudata rete commerciale a livello nazionale, e dall’altra dalla loro certezza che la presenza del privato nella sanità italiana, nelle sue diverse forme e modalità, è destinata strutturalmente a crescere notevolmente. Alla mia domanda se avevano calcolato la variabile politica di questa loro previsione e cioè l’eventualità che la “politica” impedisse questa evoluzione, mi hanno soavemente risposto che nessuna volontà politica italiana, nell’attuale scenario economico finanziario Italiano ed europeo, potrà impedire questa evoluzione, per le ragioni ed i vincoli di cui ho cercato di parlarti più sopra. Se mai la loro preoccupazione era il rapporto con la politica italiana, in termini di rischi per corruzioni o collusioni varie. Visti dai giapponesi, magari si sbaglieranno, ma i propositi o gli auspici della sinistra italiana sulla sanità italiana, non meritano neppure un po’ di attenzione. I miei titolari poi, nonostante l’offerta, non hanno venduto, per disaccordo sulla futura governance aziendale: i giapponesi volevano il 100% e quindi mano libera, mentre i titolari, almeno per 5 anni, volevano restare al timone dell’azienda. Ti assicuro tuttavia che siamo assediati soprattutto da fondi esteri che vogliono acquistarci, perché hanno la stessa convinzione dei giapponesi.
Io caro Fabrizio, vivo questa quotidianità, e per questo mi sono e mi sarei accontentato ancora del buon Gentiloni, che almeno qualche modesto risultato lo stava pazientemente portando a casa. Gli italiani hanno deciso di credere a Salvini e a Di Maio e spero che sia buon per loro. Ma dopo Salvini e Di Maio (ammesso e non concesso che siano effimeri e non siano invece la destra e la sinistra di oggi) o ci sarà ancora un altro governo tipo Gentiloni o comunque non ci sarà un’ altra e diversa sinistra, né plurale né singolare. Del resto la sinistra che è cominciata nel 1870 con la Comune di Parigi e che è arrivata a oggi, ha appena 150 anni, su 7000 anni di umanità organizzata in forme statali. In 7000 anni i poveri e senza potere si sono variamente organizzati contro i ricchi e potenti. Anche i Gracchi erano sinistra, a quel tempo democratica. Poi con Mario e soprattutto con Cesare, è diventata anche sinistra autoritaria. Quindi si potrebbe dire che la sinistra, nelle sue varie espressioni, esisterà in natura, finché esisteranno i poveri. Ma per quale ragione mai, questa specifica sinistra europea dell’8-900 che io e te abbiamo conosciuto, dovrebbe essere una costante nella storia futura dell’umanità?
Quanto all’aria fritta, avevo ripreso il termine da un post di Claudio. Se usato seriamente anche a me non piace. Ma resta il fatto che riflettere e ragionare prescindendo dai dati di struttura di ciò che sta quotidianamente accadendo nel mondo e in Italia, nel mentre che noi ci scambiamo opinioni, non è fare un buon servizio né alla sinistra, né alla politica, né all’esercizio intellettuale che non voglia essere narcisisticamente fine a se stesso.
Non si tratta di chiudersi in casa, ma vedere che cosa si può realisticamente fare qui ed ora, se parliamo del post elezioni e non dell’ ”orizzonte” comunista, una volta caro al buon Bertinotti. Io starei all’opposizione per questo giro, contando sul fatto che facciano un accordo di minima Salvini e Di Maio e poi, dall’opposizione, agirei sulle contraddizioni che auspicabilmente si apriranno nel M5S e, da posizioni di pari dignità, proverei a imbastire un accordo di programma con loro o parte di loro, per il prossimo giro. Sapendo già che sarà un programma non esaltante per le politiche interne, ma che potrebbe trovare la sua vera ragion d’essere in una proposta di rilancio delle politiche espansive e quindi di rilancio della sinistra socialdemocratica, rigorosamente a livello europeo. (16 marzo 2018)
Fabrizio Leccabue. Caro Sergio,
nel momento in cui la situazione complessiva diventa sempre più ‘complessa’, e non certo per volere nostro o della ‘sinistra’, ma di chi gestisce questo cazzo di ‘globalizzazione’, cerco di ‘semplificare’, di andare alle ‘origini’ del significato dello stare all’opposizione o al ‘senso’ di stare al governo.
Volere, oggi, una sinistra plurale, non estremista, ma anticapitalista significa ripercorrere il passato, capire le contraddizioni del presente e prefigurare un futuro. Per cui chiarito ‘sinistra plurale e non estremista’, anticapitalista significa proprio fuoriuscire dal capitalismo, o meglio fuoriuscire dalle sue ‘logiche’ economico-sociali politico-ideologiche. La difficoltà e lo sforzo di oggi è proprio questo, considerata superata l’esperienza della presa del Palazzo d’inverno, di elaborare, attraverso un’ ‘agire’, soluzioni ai problemi di oggi che aprano delle ‘possibilità’ per il futuro:
- difendere lo stato sociale significa contrastare le logiche privatistiche;
- porre dei ‘paletti’ alle multinazionali significa diminuire il loro peso politico, così come un controllo rigoroso sulle banche e sulla finanza significa dare più valore alla politica e ai diritti dei cittadini;
- porre un aut aut alla produzione e commercio (italiana o europea) di armi vuol dire tentare di risolvere, in parte, le decine di conflitti sparsi, oggi, per il mondo;
- promuovere una ‘socialità’ solidale, partecipata, consapevole in contrapposizione all’individualismo esasperante di oggi vuol dire contrastare i populismi di destra (e di sinistra), e quindi anche ‘cambiare’ il modo odierno di fare politica;
- e così via
Le strade non sono molte: o ci si impegna in questa direzione o si gestisce il tram tram politico di oggi di accettazione passiva delle politiche di austerità e neoliberiste. “Ma davvero la vicenda Tzipras non ha insegnato nulla?”, chiedi. Sì, mi ha insegnato che a questa Unione Europea degli interessi dei popoli, dei migranti, degli ’impoveriti’ non gliene importa nulla!
Visto che la condivido, ti riporto parte di una intervista a Jürgen Habermas, apparsa su MicroMega:
“Stiamo assistendo a una sorta di processo di irrazionalizzazione politica dell’Occidente? C’è una parte della sinistra che ormai si professa a favore di un populismo di sinistra come reazione al populismo di destra.
“Prima di reagire in modo puramente tattico bisogna sciogliere un enigma: come è stato possibile giungere a una situazione nella quale il populismo di destra sottrae alla sinistra i suoi stessi temi?”.
Quale dovrebbe essere allora la risposta di sinistra alla sfida della destra?
“Ci si deve chiedere perché i partiti di sinistra non vogliono porsi alla guida di una lotta decisa contro la disuguaglianza sociale, che faccia leva su forme di coordinamento internazionale capaci di addomesticare i mercati non regolati. A mio avviso, infatti, l’unica alternativa ragionevole tanto allo status quo del capitalismo finanziario selvaggio quanto al programma del recupero di una presunta sovranità dello Stato nazionale, che in realtà è già erosa da tempo, è una cooperazione sovranazionale capace di dare una forma politica socialmente accettabile alla globalizzazione economica. L’Unione europea una volta mirava a questo – l’Unione politica europea potrebbe ancora esserlo”.
Oggi tuttavia sembra essere persino peggio del populismo di destra in sé il “pericolo di contagio” del populismo nel sistema dei partiti tradizionali, in tutta Europa.
“L’errore dei vecchi partiti consiste nel riconoscere il fronte che definisce il populismo di destra: ossia “Noi” contro il sistema. Solo una marginalizzazione tematica potrebbe togliere l’acqua al mulino del populismo di destra. Si dovrebbero quindi rendere di nuovo riconoscibili le opposizioni politiche, nonché la contrapposizione tra il cosmopolitismo di sinistra – “liberale” in senso culturale e politico – e il tanfo etnonazionalistico della critica di destra alla globalizzazione. In breve: la polarizzazione politica dovrebbe cristallizzarsi di nuovo tra i vecchi partiti attorno a opposizioni reali. I partiti che riservano attenzione al populismo di destra, piuttosto che disprezzarlo, non possono aspettarsi poi che sia la società civile a mettere al bando slogan e violenze di destra”.”
Le dimensioni non sono e non possono essere solo italiane. Ti ricordo che nel Manifesto, Marx (che viveva in un altro secolo!) scriveva e auspicava: Proletari di tutto il mondo, unitevi! ‘di tutto il mondo!, mi sembra significativo. La sinistra, soprattutto in Europa, ha retto fino al crollo del Muro di Berlino … poi è evaporata, senza tattica e senza strategia, senza un ‘progetto’ di società alternativo, rincorrendo semplicemente e comodamente il ‘vincitore’, in un qualche modo favorendo le logiche ‘perverse’ del libero mercato… e oggi ci troviamo di fronte a una situazione tale per cui sembra, sottolineo sembra, che non sia possibile un cambiamento radicale, una sterzata decisa
Sicuramente le nostre esperienze personali e le nostre letture sono state in questi anni diverse e, forse, divergenti, e aggiungerei che anche il linguaggio a volte ci separa dal comprendere fino in fondo quello che uno dice e vuole (o vorrebbe). Tu sei sostanzialmente ‘pessimista’, io propendo verso un ottimismo e ‘impegno scettico’ (insomma, un ‘illuminismo autocritico’). (18 marzo 2018)
Sergio Serventi. Parto dal mio “pessimismo”. Non è un generico stato d’animo ed è riferito alla specificità dell’attuale fase storica nella quale, appunto, dopo la caduta del muro di Berlino la sinistra storica, pur nelle sue varianti, ha perduto il riferimento identitario che la rendeva capace di offrire alle classi subalterne una ‘vision’ (scusa se uso un linguaggio aziendalistico), alternativa di società alla quale tendere. E non avendone finora trovata un’altra, non ha fatto di meglio che arrabattarsi su quelle che tu chiami “rincorse” del vincitore. Colpa di Blair e dei suoi epigoni in giro per l’Europa? Se colpa è stata, lo è stata di tutti coloro che hanno provato le varie “terze vie” e che, politici o intellettuali, riformisti o sedicenti “radicali”, in trent’anni non ci sono riusciti. Questo mi sembra un dato di fatto che, ricercando il perché di questa difficoltà, ci porta alla questione principale sulla quale vedo che siamo d’accordo e che anche Habermas (ma non solo lui, io ti citavo Cacciari) coglie, quando evoca un “coordinamento internazionale” e una “cooperazione internazionale capaci di dare una forma politica socialmente accettabile alla globalizzazione economica”. In una parola: la crisi della sinistra si può affrontare con qualche efficacia solo in un contesto più ampio di quello statale.
Tradurre in azioni di governo (leggi e atti amministrativi) i “paletti” alle multinazionali ad esempio, o ridurre le diseguaglianze, in assenza di quella politica fiscale comune a livello europeo (ad es. la patrimoniale europea suggerita da Piketty), significa immediatamente dare il via alla delocalizzazione delle imprese gestite dalle multinazionali, in Paesi fiscalmente più appetibili, con le conseguenze occupazionali che sappiamo. Ma intanto che questo sacrosanto obbiettivo “di sinistra” si realizza, che politica economica e fiscale fai se ti capita (come è capitato al PD) di dover governare? E se non governi, come speri di poter incidere sulle politiche fiscali europee?
Il mio “pessimismo” è connesso all’enormità di questo compito, sia in termini di scarto fra l’obbiettivo e l’adeguatezza dei soggetti che dovrebbero perseguirlo (chi oggi in Italia e in Europa?), sia in termini di tempi. Perché intanto le destre vincono e forse governeranno. E se governeranno non è detto che non possa andare anche molto peggio di ora per gli obbiettivi della sinistra. Però riconosco che non ci sono alternative a questo compito, ma ciò che fatico a capire è che se questo è vero, allora le critiche esasperate o le lacerazioni a sinistra, per la presunta inadeguatezza di questo o quel provvedimento di politica economica e sociale (che non sarebbe abbastanza di sinistra o sarebbe addirittura di destra) fatto dal Pd in questi anni, sono o strumentali a fini di posizionamento all’interno della sinistra stessa o frutto di una macroscopica minimizzazione del problema. La crisi della sinistra in Italia ed in Europa si situa ben prima e ben oltre il jobs act di Renzi e di Renzi stesso.
Tu affermi che bisogna “elaborare, attraverso un agire, soluzioni ai problemi di oggi che aprano delle possibilità per il futuro” e ne citi alcune, fra cui “difendere lo stato sociale per contrastare le logiche privatistiche e promuovere una socialità solidale, partecipata, consapevole in contrapposizione all’individualismo esasperante ecc.”. Sono d’accordo. Solo che è facile a dirsi, ma più difficile precisarne i contenuti. E a questo proposito mi fai venire in mente un’altra esperienza concreta che ho incontrato nel mio lavoro. Due anni fa sono andato con il mio Direttore Commerciale a trattare la fornitura di un servizio di Risonanza Magnetica a Firenze ad una ONLUS formata da tre Misericordie (sono le nostre Pubbliche Assistenze) che si sono consorziate, mettendo insieme, tra soci, loro famiglie e loro parenti ed amici, circa centomila potenziali utenti di tre poliambulatori gestiti dalla ONLUS stessa, che operano in regime privatistico (cioè hanno scelto di neppure chiedere le convenzioni con le ASL) a favore precipuamente di questo target di potenziali utenti, i quali preferiscono pagare a prezzo pieno le prestazioni (prezzi sufficienti a coprire i costi) piuttosto che rimanere nel circuito pubblico, con le sue burocrazie e i suoi tickets per i non esenti. E la iniziativa funzione con grande soddisfazione degli utenti stessi e si sta allargando. Un esempio analogo lo sto seguendo (sempre come fornitore di attrezzature) a Morbegno in Valtellina, dove un migliaio di cittadini hanno sottoscritto una quota sociale per una piccola S.p.A. e si sono costruiti il loro poliambulatorio e la loro Casa di Riposo, che funzionano a costi e ricavi, senza convenzioni con la Sanità Pubblica. Sono iniziative da assecondare in quanto esempi di “socialità solidale” o da contrastare in quanto “logiche privatistiche”? Non rispondermi che sono sintomi della privatizzazione della Sanità Pubblica che va difesa e potenziata proprio per evitare questa tendenza. Le due iniziative si collocano in Toscana e in Valtellina dove, se pur in contesti socioeconomici e politico-istituzionali diversi, c’è la migliore sanità Pubblica d’Italia e quindi, non è azzardato dire, del mondo. So bene, perché è il mio mestiere da 48 anni, che la questione è complessa e non è questa la sede per approfondirla, in termini politici e tecnici, ma ti ho citato questi esempi per sottolineare come governare, se pur con il cuore e il cervello a sinistra, è più complicato di quanto possa apparire.
Anche sulla questione della produzione e del commercio delle armi, se posso immaginare limitazioni o proibizioni selettive (le famose mine antiuomo ad es.), non saprei sinceramente e concretamente che fare. In linea di principio un’azione di governo “proibizionistica” (a parte le implicazioni giuridiche, economiche e occupazionali), dovrebbe presupporre che chi non produce armi non dovrebbe avere né esercito né polizia ecc. perché altrimenti si troverebbe nella curiosa posizione di dover comprare armi da altri. Davvero se tu fossi al governo, nel mondo di oggi, ti sentiresti di proporre l’abolizione dell’esercito? E l’obbiettivo della difesa comune europea, che sembra uno dei temi fondamentali della famosa maggiore integrazione che magari consentirebbe anche le politiche fiscali ed economiche “di sinistra” per le quali la sinistra europea dovrebbe battersi? Insomma, per la sinistra di oggi l’integrazione europea resta un obbiettivo o no? Certamente siamo tutti per una Europa pacifica, pacifista e che lotta per l’uguaglianza, ma intanto, qui ed ora, l’integrazione bisogna farla e mediarla con la Merkel e Macron, che di sinistra e tanto pacifisti non sono, per cui magari ci chiederanno di aumentare il budget delle spese militari, come già sta chiedendo Trump in sede Nato. E sulla Nato, con Putin che inquieta, il Mediterraneo in fiamme e i Balcani sempre in fragile equilibrio, che dice la sinistra? Ovviamente non pretendo risposte.
Un’ultima curiosità: perché secondo te la sinistra politica e intellettuale europea ha rimosso la Cina Comunista? A me sembra un’enormità, sotto ogni profilo, sia teorico che, soprattutto, pratico. (17 marzo 2018)
Fabrizio Leccabue. Caro Sergio,
- ‘pessimismo’. Nella storia, anche nella storia recente italiana e europea, momenti di ‘pessimismo’, giustificati dalla realtà e dai fatti, sono stati sempre presenti. Penso all’ascesa del fascismo nel ’22 e alle minoranze politico intellettuali che decisero un’opposizione al fascismo’, alla sconfitta della Guerra civile spagnola nel ’38 e ai profughi, esiliati che hanno comunque continuato la battaglia politica, alla fase resistenziale e post resistenziale italiana e alla ‘delusione’ di molti partigiani e combattenti per la libertà che comunque hanno continuato nel dopoguerra la loro lotta, in minoranza), … e, perché no, ai movimenti studenteschi e operai del ’68 e al ‘riflusso’ individuale e collettivo che ne è seguito, con le stagioni del brigatismo rosso e nero, ma non tutti si sono ritirati in buon ordine), … Resta valido, credo, la ‘battuta’ di A. Gramsci, Q28, III: “D’altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà“. Pessimismo dell’intelligenza, certo, ma, anche, ottimismo della volontà.
Certo la realtà oggi è profondamente cambiata, i problemi che abbiamo davanti sono in parte nuovi e in parte più complessi, ma non credo che si debba ritornare al passato o avere nostalgia del passato. Certamente un’analisi ‘critica’ del passato o delle scelte e comportamenti della sinistra bisognerà pur farla. Questo è uno degli aspetti carenti di questi ultimi anni: si è cercato, più o meno ‘onestamente’, di gestire il presente, tappezzando buchi, tentando di correggere leggi, leggine, decreti,… Ma la Storia non procede per ‘salti’, anche le ‘rivoluzioni realizzate’ del 900 non hanno ‘rotto’ con il passato, i ‘modelli realizzati’ soffrivano costantemente di elementi del vecchio ‘regime’, soprattutto in economia. E’ un ritardo ‘teorico’ della sinistra?, partendo, per me, dal presupposto che non esiste una prassi rivoluzionaria senza una teoria rivoluzionaria. La ‘presa del potere’ è solo la fase iniziale di un processo… Quello che ho percepito è, non essendo uno storico o uno studioso, che il capitalismo è una ‘società dinamica’, che si autorigenera, il ‘comunismo reale’, al contrario, era una struttura rigida, era una ‘società statica’, è bastato toglier una mattone alla base del muro per far crollare tutto.
- socialdemocrazia. Una risposta era venuta dalla socialdemocrazia, in particolare da quella scandinava, … poi via via si è sempre più ‘adeguata’ alle esigenze del ‘libero mercato’, alle politiche neoliberiste, alle cosiddette compatibilità economiche (altra invenzione della politica, in mancanza di un modello sciale, di programma, …) ecc.. Bisognerà trarre qualche conclusione ‘provvisoria’ rispetto a questa ipotesi politico-sociale. Ti riporto alcuni brani di un mio articolo apparso su ‘dalla parte del torto’ n. 76, primavera 2017:
“Nella stanza dove ho un po’ di libri e dove si può fumare campeggia la prima pagina di un numero di Mondo Nuovo, settimanale dello PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, lo scrivo per intero così il personaggio, Ivo Brandani, del bel romanzo La vita in tempo di pace di Francesco Pecoraro, potrà acquisire una conoscenza in più), datato 11 dicembre 1966, in cui a caratteri cubitali si scrive: Sì al Socialismo, No alla Socialdemocrazia. Certo era il 1966. […]
Per farla breve: il destino del socialismo riformista italiano si è definitivamente chiuso con l’arrivo del decisionismo di Craxi con il suo ‘riformismo senza riforme’ e proseguito con Berlusconi e Renzi con ‘le riforme che in realtà sono controriforme’. E con un PCI, incapace di fare i conti con il proprio ‘passato’, che approda, dopo lunghe vicissitudini, al Partito democratico, fuori da una tradizione socialista riformista.
Credo ci siano tre ‘aspetti da considerare in questi anni recenti e ti cito alcuni brani di un mio articolo apparso su ‘dalla parte del torto’ (dpt, n. 76):
- Antony Giddens ispiratore delle politiche di Blair, Clinton, Schröeder, nel suo libro La terza via (Il Saggiatore, 2001), insiste su una ‘via di mezzo’ che lui definisce ‘capitalismo responsabile’. E’ una presa d’atto che il comunismo reale è definitivamente crollato, ma Giddens dovrà riconoscere, più tardi, che “… L’accelerazione data ai cambiamenti sociali ed economici dalle innovazioni tecnologiche ha scardinato anche la Terza via, l’idea di un riformismo di sinistra che preservasse il welfare in condizioni di mercato e demografiche mutate. Oggi i supercomputer e la robotica stanno trasformando il mondo del lavoro. Non sono sicuro che i leader politici si rendano conto del livello di rivoluzione tecnologica che abbiamo imboccato”. Cioè: La “Terza via è morta travolta da tecnologia e globalizzazione” (da un’intervista ad A. Giddens, La repubblica, 3 aprile 2015).
2. L’esperienza dei paesi nordici, in particolare la Svezia, ha suscitato molto interesse per i livelli di ‘stato sociale’ applicati, per i diritti sociali acquisiti, le libertà e i livelli di democrazia, … ma Olof Palme non c’è più, è stato assassinato nel 1986. Aldo Garzia (dpt, numero 74) scrive che “resta valido un ammonimento di Palme che vale come metafora: “La pecora del capitalismo va continuamente tosata. Bisogna fare però attenzione a non ammazzarla”. Il problema più grande di questa fase, a differenza del passato, è però l’assenza della ‘politica’ che si era rivelata decisiva per domare l’anarchia capitalistica …”.
3. L’Emilia Romagna credo sia un esempio, limitato e circoscritto, tutto italiano, di un modello socialdemocratico, anche se non dichiarato. Il PCI, le COOP, le organizzazioni ‘collaterali controllate politicamente’ (CGIL, Confesercenti, CNA, ARCI, …), l’alleanza con le piccole e medie aziende e il ceto medio, le buone relazioni con l’Unione Industriali, la ‘buona’ amministrazione nei Comuni e Provincie hanno di fatto sperimentato un ‘modello socialdemocratico’, nel quale il ‘compromesso storico’ berlingueriano e le ‘convergenze parallele’ morotee erano presenti. Ma credo che questo ‘esperimento’ si sia già da tempo interrotto, almeno a vedere la contraddittorietà dei risultati elettorali (Parma, Piacenza, Bologna, …); le organizzazioni ‘collaterali’, vedi in particolare le COOP, perdono i loro ruoli e le funzioni originarie, non sono più un impulso al cambiamento e della ‘diversità’ rispetto ai meccanismi economici di mercato presenti nella società. Si aggiungano i processi di analfabetismo culturale che invadono le regioni rosse (in particolare l’Emilia Romagna) per rendere ancora più difficile la situazione politico sociale (vedi Guido Grainz, Diario di un naufragio, Donzelli) e per capire le reali difficoltà dell’oggi da parte della/e sinistra/e. […]
Ho condiviso l’osservazione di Rino Genovese (dpt, n. 73): “Il teorema è semplice: finché c’è sviluppo e si dà un surplus da ridistribuire, la formula socialdemocratica può funzionare; quando la crescita rallenta o addirittura un’economia entra in recessione, addio socialdemocrazia.” E “… Al di là della ridistribuzione del reddito (che pure non è poca cosa) c’è una ridistribuzione del potere da mettere a tema.”. Questo è un altro punto importante, la ridistribuzione del potere, dimenticato e sottovalutato – per scelta politica – da parte del centro sinistra e della/e sinistra/e. […]
Cristiano Dan (dpt, n. 74) sottolinea un paradosso: “E qui sta il paradosso. Più la socialdemocrazia residua si ostina ad applicare ricette neoliberiste, come sta facendo da anni, più alimenta il serbatoio dello scontento sociale cui attinge la destra e l’estrema destra.”.
In sintesi, dal mio punto di vista, si è chiuso definitivamente un ciclo, quello dell’esperienza socialdemocrazia. In eredità ci ha lasciato i populismi di destra (e di ‘sinistra’) e la mia convinzione è che “ciò che è populistico è virtualmente totalitario, e ciò che è totalitario è virtualmente populistico”.
- le logiche privatistiche. Citi due esempi di esperienza personale nel settore della sanità e chiedi: “Sono iniziative da assecondare in quanto esempi di “socialità solidale” o da contrastare in quanto ‘logiche privatistiche’? Se ho capito bene quello realizzato è un consorzio e non una clinica privata. Se è un esempio di ‘socialità solidale’ ben venga, e questo deve essere chiaro negli scopi e funzioni del consorzio e non un’iniziativa ‘camuffata’. Abbiamo esempi di cooperative, circoli Arci, … in tal senso, veramente inaccettabili e preoccupanti! Perché non puntare e lavorare su forme di altre tipo: il mutualismo, l’autogestione, la cooperazione (quella vera!).
Nelle ‘gestione’ della ‘cosa pubblica’ ci sono alcuni presupposti imprescindibili per una ‘politica’ di sinistra:
- Lo stato sociale va difeso. Sui diritti bisogna fare le barricate; i previlegi, gli ‘sprechi’, l’evasione fiscale, la ‘nuova’ burocrazia del settore pubblico bisogna eliminarli, bisogna eliminarli anche a costo di essere impopolari e di toccare interessi corporativi;
- – alcuni diritti non sono ‘commerciabili’: la salute, la scuola/università, le fonti energetiche (vecchie e nuove), l’acqua, la pensione, i trasporti… non possono far parte di una logica di mercato. Questi diritti non devono essere ‘redditizi’… è anche per questo che i cittadini pagano le tasse!
- Se una parte della sanità pubblica non funziona o funziona male, perché il Ministero della salute non interviene?; se la scuola/università funziona male perché non ‘riformarla’ seriamente? sottolineo seriamente (ti porto due esempi ‘assurdi’; i direttori degli Istituti CNR da direttori scientifici li hanno trasformati in ‘manager’; i dirigenti scolastici stessa cosa. Manager di che? Mi chiedo).
- Un esempio qualsiasi: le acque minerali. Sono dati, di oggi, di Legambiente e Altraeconomia: in Italia, dati annui sulle fonti dell’acque minerali pubbliche: giro d’affari delle multinazionali 10 miliardi complessivi, 8 miliardi di bottiglie di plastica (da smaltire), il canone che versano è un millesimo di euro al litro. Proposta di Legambiente e Altraeconoma: 2 centesimi di euro al litro con un introito annuo per il casse pubbliche di 280 milioni di euro.
- Le riforme o sono strutturali, cioè spostano degli equilibri di potere, o sono razionalizzatrici del sistema (e la ‘vicenda’ italiana dimostra che non siamo neanche capaci di fare questo tipo di riforme, anche quelle che non costano, vedi riforma elettorale).
- …
- politica europea e internazionale. Con il crollo del muro di Berlino e la ‘vittoria’ del capitalismo/imperialismo si prospettava un mondo tranquillo, ormai non c’era più il pericolo comunista. Sembra però che il capitalismo abbia bisogno di sopravvivere in altri termini e le guerre, i massacri si sono susseguiti incessantemente: Balcani, Medio Oriente, Nord Africa, Estremo oriente. E con una politica ‘soft’ nei confronti dell’America Latina e Africa; in America Latina cercando di distruggere i governi progressisti, eletti democraticamente, in Africa utilizzando la corruzione dei Capi clan locali. Restano la Cina, Vietnam e Cuba… abbandonati dal dibattito politico o dalla riflessione! Effettivamente c’è un silenzio, a sinistra. E le analisi e le critiche sono sempre più ‘sottili’ e cercano di tener conto del mondo odierno, così come funziona. Di ritorno da Cuba, il paese su cui sono più informato, nel lontano 1974, nei miei appunti, scrivevo: “hanno risolto i problemi del sottosviluppo, ora si tratta di vedere come affronteranno i problemi dello sviluppo”. Anche per questo la rivoluzione cubana era ed è, a tutt’oggi, un riferimento per la sinistra latinoamericana, nonostante tutto.
In mancanza di un modello economico alternativo, i residui paesi comunisti, mischiano un ‘capitalismo di stato’ con aperture all’iniziativa privata, a Cuba con uno stretto controllo dello Stato. La domanda diventa: ‘salviamo il salvabile’ o ci abbandoniamo definitivamente al modello capitalista? La Russia e i paesi comunisti dell’Est sono un esempio terribile di cosa potrebbe succedere. Boaventura de Souza Santos in un libro pubblicato recentemente in Spagna, La difícil democracia, Una mirada desde la periferia europea, dedica un capitolo a Cuba, Porque Cuba se ha vuelto un problema difícil para la izquerda? Scrive: “Il problema difficile si può formulare come segue: tutti i processi rivoluzionari moderni sono processi di rottura che si basano su due pilastri: la resistenza e l’alternativa. L’equilibrio tra loro è fondamentale per eliminare il vecchio fino dove è necessario, e fare fiorire il nuovo fino dove è possibile…” e la sinistra europea non lo riconosce come parte del processo rivoluzionario
D’altra parte lo stesso Marx prevedeva la rivoluzione nei paesi sviluppati, dove le forze produttive e la tecnologia fossero fortemente sviluppate… la storia ha prodotto le rivoluzioni in paesi arretrati!
A mo’ di conclusione. Ancora mi fa riflettere l’introduzione di Franco Fortini a, Profezie e realtà del nostro secolo, scritto nel 1957, di un’attualità incredibile (ti riporto un breve passo):
“C’è un medio uomo europeo e italiano cresciuto nella media civiltà neocapitalistica. Come l’azoto, forma la maggioranza parte di noi e anche la maggior parte di ciascuno di noi. Abbastanza informato, accetta senza discutere il primato degli specialisti ma deve nutrirsi di bruscoli, di frammenti avariati del sapere. Rimedia con affanno. Le cose che i manipolatori delle coscienze, a loro volta manipolati, han deciso di fargli acquistare (e pagare in contanti) sono proprio quelle che più gli debbono rimanere nel vago. Le più importanti: il suo rapporto con gli altri, la vita pubblica del mondo intero (non ve n’è un’altra), la sua possibilità di intervento sulle condizioni della vita di tutti, l’economia e la politica insomma (due nomi del destino). E la possibilità di essere diversi…”.
E’ questo uomo medio europeo, moltiplicatosi in questi ultimi anni, è questa società media neocapitalista, ingigantita a dismisura in questi ultimi anni che più mi preoccupa… anche per questo rivendico la necessità di essere diversi! (22 marzo 2018)
(foto: murale di banksy, la zattera della medusa)
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