Corea e Usa, sfida assurda a chi ha il bottone più grosso di Roberto Fieschi

 

Il contrasto tra Nord Corea e Stati Uniti si fa via via più acuto. Il falso allarme di sabato 13 di un attacco nucleare sulle Hawaii, durato 38 minuti, mostra una volta di più che la situazione è preoccupante. I fatti: poco dopo le 8 del 13 un impiegato della Hawaii Emergency Management Agency iniziò il suo turno; tra i suoi compiti di quel giorno c’era il test dell’Emergency missile warning system; si trattava di simulare un allerta di emergenza, senza però inviarlo realmente. Infatti le Hawaii avevano da poco reinstallato il sistema che esisteva ai tempi della guerra fredda, in seguito alla preoccupazione di un attacco da parte della Corea del Nord.

L’impiegato aveva a disposizione due opzioni: “Test missile alert” and “Missile alert”; avrebbe dovuto scegliere la prima, invece, alle 8.07, scelse la seconda, così scattò l’allerta, che raggiunse immediatamente residenti e turisti scatenando il panico; i cellulari in tutto il paese ricevettero l’allarme normalmente riservato alla minaccia di eventi gravi: “If you are indoors, stay indoors. If you are outdoors, seek immediate shelter in a building. Remain indoors well away from windows. If you are driving, pull safely to the side of the road and seek shelter in a building or lay on the floor”.
Già alle 8.20 la Hawaii Emergency Management Agency aveva diffuso un tweet che spiegava “No missile threat”, ma solo alle 8.45 un nuovo messaggio confermò chiaramente il cessato allerta.

Gli esperti assicurano che non vi è stato il rischio reale di una ritorsione massiccia contro la Corea del Nord: alcuni minuti dopo aver ricevuto l’allerta era chiaro che i satelliti spia e i radar con base a terra e in mare (early warning systems) non segnalavano alcun lancio dalla Corea del Nord allo Strategic Command’s Global Operations Center, protetto nel profondo sottoterra nel Nebraska, che ha il compito di controllare in tempo reale quanto accade in tutto il mondo e di informarne Pentagono e Casa Bianca.
Al tempo della guerra fredda era stata istituita la linea rossa, una linea di comunicazione diretta tra i capi delle due superpotenze, per garantire che si evitasse una catastrofe nucleare a causa di errori di informazione; nonostante alcuni incidenti, il sistema aveva funzionato.
Il contrasto Nordcorea-Stati Uniti non sembra attenuarsi. Già lo scorso agosto Trump aveva scritto che “military solutions are now fully in place, locked and loaded, should North Korea act unwisely.” E ora Trump e il dittatore Kim Jong-un, come due ragazzini incoscienti, disputano su chi ha il bottone nucleare più grosso!

Recentemente venti Stati hanno sostenuto che bisogna attuare sanzioni più severe per forzare la Corea del Nord a rinunciare alle sue armi nucleari. Il Segretario di Stato Rex Tillerson ha ammonito Pyongyang che potrebbe innescare una risposta militare se non accettasse di negoziare. Edward Luttwak ha addirittura sostenuto che “It’s Time to Bomb North Korea.”
Credo che molti di noi sarebbero più tranquilli se non si diffondesse la “proliferazione orizzontale” delle armi nucleari, ostacolata appunto dal Trattato di Non Proliferazione (NPT). L’accordo con l’Iran in proposito è un buon esempio. Tuttavia il diritto degli USA di imporre la loro volontà non è convincente.

E’ difficile accettare che la Nordcorea non può avere la bomba ma l’Israele e tutti gli altri sì. Gli Usa, dopo le pur forti riduzioni alla fine della Guerra Fredda, posseggono tuttora molte bombe nucleari montate su aerei, sottomarini e a terra, protette in profondi silos rinforzati: secondo una valutazione attendibile, gli USA hanno quasi 1400 testate schierate e pronte all’uso, contro le quasi 1800 della Russia; inoltre la Russia può contare su altre 4.500 testate attive che si trovano depositate negli arsenali, contro le 4.000 degli americani. La Russia ha da poco iniziato a sostituire i suoi missili Satan, vecchi di appena una ventina d’anni, con i nuovi “Sarmat”, in grado di rilasciare dieci testate atomiche, ognuna decine di volte più potente della bomba lanciata su Hiroshima; inoltre, tra l’altro, ha sviluppato un missile nucleare sottomarino, guidato da intelligenza artificiale in grado di colpire gli USA.

Quanto agli USA, dieci giorni fa si è saputo della nuova Nuclear Posture Review, preparata dal Pentagono e ora sottoposta all’approvazione della Casa Bianca; essa mostra che l’amministrazione Trump sta abbassando l’asticella che indica il limite che scatenerebbe una risposta nucleare, includendo anche una risposta ad attacchi non nucleari; Il documento propone, tra l’altro, la produzione di bombe nucleari “tattiche”, di bassa potenza (low-yield nukes), più “usabili” delle spaventose bombe termonucleari; esse però renderebbero credibile una guerra nucleare limitata, ampliando così gli scenari nei quali gli USA sceglierebbero l’opzione nucleare: guerra cibernetica, attacchi convenzionali massicci a infrastrutture critiche, attacchi catastrofici sui civili.

Una svolta, quindi, rispetto alle politiche di Bush, Clinton e Obama, orientate a ridurre il ruolo delle armi nucleari. Andrew C. Weber, assistente del ministro della difesa dell’amministrazione Obama, ha detto che la nuova politica “will make nuclear war a lot more likely.” Oltre ai falchi esistono anche le colombe.

58 militari americani – generali e ammiragli ora in pensione – che hanno ricoperto ruoli di alto livello nelle varie amministrazioni, in questi giorni così si stanno rivolgendo a Trump: “Dear Mr. President, we are writing out of grave concern for the course of events on the Korean Peninsula. The current approach taken by the United States is failing to stop North Korea from developing its nuclear and missile technology. The United States must initiate and lead an aggressive, urgent diplomatic effort to freeze North Korean nuclear and missile development and reduce regional tensions …. Military options must not be the preferred course of action.”

Più in generale, giorni fa Papa Francesco, arrivando in Cile, ha così ha risposto alla domanda di una giornalista sul fatto se abbia davvero paura di una guerra nucleare: “Si, ho davvero paura. Siamo al limite. Basta un incidente per innescare la guerra. Di questo passo la situazione rischia di precipitare. Quindi bisogna distruggere le armi, adoperarci per il disarmo nucleare”.
Il 27 di questo mese il Science and security board del Bulletin of the atomic scientists ha potato a 2 minuti da mezzanotte l’ora antecedente al giorno del giudizio.
“Mettete dei fiori nei vostri cannoni”, cantavano i I Giganti nel 1967.

I responsabili delle due Coree forse hanno ricordato questa canzone e hanno concordato un primo passo verso la distensione: la Corea del Nord, su invito del Sud, parteciperà con i suoi atleti alle Olimpiadi invernali che si terranno il mese prossimo; un’iniziativa che abbasserà la tensione; inoltre le due Coree hanno deciso di avviare incontri per risolvere i problemi comuni attraverso il dialogo e di riprendere i contatti sui problemi militari, in modo da evitare conflitti accidentali e da risolvere lo stallo nucleare. Il ministro degli esteri della Corea del Sud, Kang Kyung-wha, pur sostenendo che le sanzioni contro il Nord devono essere applicate con rigore, ha aggiunto che si augura che il dialogo prosegua anche dopo le Olimpiadi.

 

Trump e gli attacchi al sistema giustizia di sapore italiano    di Roberto Fieschi

Il Presidente Trump sembra determinato a indebolire il sistema giustizia (Time, febbraio 2018). Ha accusato il Dipartimento di Giustizia di averlo criminalmente spiato, la leadership del FBI di pregiudizi politici e la comunità dell’intelligence di agire come i nazisti. Ha etichettato un giudice federale come egregio imbroglione (egregious overreach), ha messo in dubbio l’imparzialità di un altro giudice chiamandolo Messicano, ha etichettato vari altri personaggi rilevanti come “ridicolous” e l’intero sistema giudiziario come caotico (messy). Lo studioso Jack Goldsmith, conservatore, definisce gli attacchi di Trump una “gross violation” dell’indipendenza della legge americana.

Questi attacchi alla magistratura ci ricordano qualcosa che è accaduto anche in casa nostra e che periodicamente viene ripetuto. Nelle ultime settimane il consigliere speciale Robert Mueller ha contestato una cinquantina di attuali e passati assistenti alla Casa Bianca e alla campagna  elettorale, come il Procuratore generale Jeff Sessions, James Comey, già direttore dell’FBI, Michael Flynn, già National Security Adviser e Reinca Priebus, già Chief of staff.

Non c’è da stupirsi se la fiducia degli americani nel loro governo durante il primo anno di Trump sia crollata di 14 punti, scendendo al 33% secondo lo Edelman Trust Barometer.

C’è da preoccuparsi se a un personaggio simile sono affidate le sorti di mezzo mondo, inclusa l’autorità per schiacciare il bottone che può scatenare un attacco nucleare? Il quadro tuttavia non presenta solo tinte fosche. Oltre ai chiari segnali di distensione tra la Corea del Sud e quella del Nord in occasione delle Olimpiadi invernali, è recente la notizia che gli Stati Uniti sono disponibili a intavolare trattative senza precondizioni con il Nord. Il Vicepresidente ha detto, in un’intervista,” if you want to talk, we’ll talk”, senza però ridurre la pressione e le sanzioni. Questa è un cambiamento importante rispetto alla posizione precedente degli USA.

(Il disegno è di: El Roto, El país, 10 febbraio 2018)

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