Repetita Iuvant! Due miei commenti in parte sovrapposti ma anche integrantisi di Augusti Gughi Vegezzi

 

  1. Un secolo di grandi mutamenti

Senza saperlo abbiamo vissuto in un’epoca di rivoluzioni che paiono rincorrersi e sovrapporsi per convergere nella Grande trasformazione globale che è culminata in un mutamento antropologico dall’uomo edipico (caratterizzato secondo Freud da un forte Super-io), auto diretto, ascetico, spartano, dedito a famiglia, lavoro risparmio, fiero della propria identità e del proprio onore, all’uomo postedipico, eterodiretto, individualista, narcisista, amorale, libertino e consumista.
Come si è arrivati a questa situazione e quali aspetti negativi e positivi essa presenta?
Le premesse della nuova evoluzione risalgono all’eredità della Prima guerra mondiale: il tramonto degli imperi e dell’aristocrazia, l’espansione della borghesia industriale, della società di massa, delle ideologie rivoluzionarie di destra e di sinistra. La Seconda guerra mondiale poi produsse altre gigantesche distruzioni e trasformazioni mondiali: il crollo degli imperi coloniali, il conflitto per l’egemonia globale di Usa e Urss, l’emergere di nuovi grandi stati extraeuropei. In Italia e Europa occidentale, distrutte dalla guerra, dopo il 1945 si sviluppa un’economia industriale di ricostruzione, matrice negli anni ‘60 di un neocapitalismo di sviluppo accelerato. Il trentennio dal ’45 al ’75 verrà poi definito glorioso in Francia e miracolo economico in Germania e in Italia. Qui il decollo della nuova industrializzazione dal ’48 comporta negli anni ’60 un’emigrazione interna spettacolare dal Sud al Nord e dalle campagne alle città, che crescono smisuratamente. Nel contempo si snoda la seconda Rivoluzione agricola che, dopo diecimila anni dalla prima in Mesopotamia, innesca la brusca decadenza e morte del mondo contadino, paradossalmente assassinato dal giunto cardanico. Grazie a questo congegno, infatti, la meccanizzazione del lavoro nei campi espelle negli anni tra il ‘60 e l’ ’80 quel 30% dei lavoratori che occorrono nelle fabbriche. Pochi si accorgono della scomparsa e nessuno cerca e scopre l’assassino. I contadini, espulsi dalle campagne con il loro secolare retaggio di stenti, fatica, fame, solitudine e disperazioni (“La terra è bassa.”), sono felici di approdare nelle comunità cittadine (“La città rende liberi”.), di lavorare nelle fabbriche, di ottenere salari sicuri e consumi crescenti, di accedere alla socialità urbana di cinema, teatri, balere, infine perfino di lasciarsi allegramente alle spalle con la miseria anche tradizioni e costumi rigidi e castiganti e destini di umiliazione e disperazione. Mentre così s’integrano nelle città coi ceti operai e insieme finalmente si affacciano a un limitato benessere, invece le classi agrarie e della rendita perdono il primato, soverchiate da quella degli industriali. Comunque la società continua ad ispirarsi alle grandi narrazioni ideologiche del Cristianesimo, dell’Illuminismo e del Marxismo, mentre l’élite economica conserva i valori dell’etica weberiana della produzione e del risparmio, del rigore dei costumi, del divieto di passioni e sentimenti, che trasmettono anche alle classi lavoratrici. Nel 1963 un governo di centro-sinistra, che vede coalizzati Dc e Psi, favorisce il boom economico e accende le speranze di progresso democratico e sociale. Si respira un’aria di rinnovamento, si diffondono le antenne tv e le Fiat 500, si canta “Nel blu dipinto di blu”, l’urbanizzazione galoppa, le autostrade accorciano lo stivale, i consumi aumentano. Il neocapitalismo promette un’economia avanzata, dal volto umano e in rapida crescita, che prospetta ricchezza per tutti (perché i capitali si usano per produrre e non solo per farli crescere in borsa). Il trend storico della forbice tra ricchezza dei privilegiati e quella del resto della popolazione, espresso dalla formula r>c, viene capovolto da una più equilibrata distribuzione determinata dal virtuale pieno impiego. E’ il decollo della società del benessere, con i suoi benefici, miti e obiettivi, riassunti dalle Tre emme: mestiere, moglie, macchina. Novità sociologica assoluta, il benessere favorisce il differenziarsi e cadenzarsi delle generazioni, in particolare lo sviluppo autonomo di quella dei giovani, che, anche grazie alla disponibilità di tempo e mezzi, si conquista un’identità e presenza culturale e sociale, subito percepita nella sfera economico-commerciale e investita dalla pubblicità.
Nel maggio del 1968, innescata dalle rivolte dei giovani americani, si sviluppa in Francia una ribellione studentesca antiautoritaria in nome del diritto alla parola, cioè a valere come uomini con una volontà e una visione personale, che rifiuta il principio di autorità di origine patriarcale caratterizzante l’educazione e l’etica clerical-borghese. E’ una ribellione che rifiuta la formazione disciplinare e formale indirizzata alla preparazione di docili funzionari dello stato e dell’economia, perché i giovani rivendicano il diritto di parlare e vivere le proprie scelte in prima persona, individualmente e in gruppo. Con passione e dedizione si impegnano a cambiare la cultura con forme partecipative, sperimentazione, innovazione sulla base di una coscienza critica e storica che mira a cambiare la vita, la società e lo stato in senso democratico. Parigi risuona di grida: “Noi pensiamo e vogliamo… l’impossibile. L’immaginazione al potere. Vietato vietare. È solo l’inizio, continuiamo la lotta…”
Anche in Italia (e in tutta l’Europa occidentale) la nuova generazione, che si è formata nel decennio del boom economico, prendendo alla lettera le promesse di democrazia liberale ed egualitaria retaggio della Liberazione e della Costituzione, si ribella al sistema autoritario patriarcale ingessato in normative e convenzioni astruse e soffocanti mentre rifiuta le vessazioni delle gerarchie scolastiche e universitarie, i programmi vetusti e obsoleti e le restrizioni imposte dalla morale repressiva e dalla religione formalista. Con tutta la forza vitale della loro età, lungi dal piegarsi e adattarsi ai riti disciplinari della maleducaciòn, come hanno dovuto fare le generazioni precedenti, i giovani danno avvio alla Contestazione. Nelle scuole e nelle università prima, poi anche tra gli altri giovani, si attacca il sistema delle gerarchie, dei poteri, delle regole ossificate ed opprimenti in nome della libertà, del pensiero critico e della costruzione di una vita migliore. Non ci sono profeti o capi carismatici, ma è un processo spontaneo di crescenti, dilaganti gruppi che ampliano la sfida e la lotta contro la Scuola, la società e lo Stato, cercando vie per realizzarsi e creare stili di vita e valori più liberali e democratici. La rivendicazione del diritto di esprimersi trova fondamento nella forte crescita del valore del soggetto, dell’Io, della responsabilità personale, delle scelte autonome in opposizione alla passiva accettazione di un destino pre-scritto dalla società. I giovani vogliono far valere le loro esigenze, emozioni e idee, vogliono nuove forme di vita, di comunità, di convivenza. E lo vogliono tutti insieme, tutto e subito. In gergo freudiano: l’Io si auto-afferma in coniugazione e dialettica con gli altri Io e lotta sulla spinta degli impulsi vitali (libido) in un processo comunitario che rifiuta le imposizioni socio-culturali e famigliari (Super-Io). Mai si era vista tanta passione coinvolgere masse crescenti di giovani sia in riunioni, assemblee, cortei come negli studi di economia, teoria sociale, filosofia, politica, analisi critiche dell’esistente. Il commento di Michel de Certeau sulla Francia vale anche per l’Italia: “Non credo si possa parlare di rivoluzione compiuta … [piuttosto] di rivoluzione simbolica. … Oggi, [il 3 maggio 1968, a Parigi] è la parola a essere stata liberata. In tal modo si afferma, feroce, irreprimibile, un nuovo diritto, venuto a coincidere con il diritto di essere un uomo e non più un cliente destinato al consumo o uno strumento utile all’organizzazione anonima dell’economia o dello stato”.
Non una ribellione aggressiva ma una liberazione festosa, e come tale si diffonde in tutta Italia contro gli adulti ma anche tra molti adulti che numerosi costituiscono nuove realtà come Medicina democratica, Stampa democratica, Giustizia democratica, Movimento femminista, Maestri di sci democratici, e tante altre categorie, perfino quelle dei diplomatici, poliziotti, preti etc.
Inizia così in Italia il tramonto dell’egemonia patriarcale e autoritaria sulla società della diseguaglianza, della gerarchia di nobili, borghesi grandi, medi e piccoli, del padre-padrone, del padrone delle ferriere, del burocrate despota, del matrimonio indissolubile con annesso libertinaggio maschile, dell’inferiorità femminile, dell’autorità come arbitrio, delle convenzioni e dei galatei come norme, dell’aborto clandestino, del divorzio via uxoricidio, dei lavoratori con scarse garanzie, dei proletari etc.
Il Movimento del ’68, fondamentalmente anti-autoritario, funziona come catalizzatore delle rivendicazioni della centralità dell’essere umano, giovane o adulto, uomo o donna, della sua responsabilità personale e dei suoi diritti costituzionali, ancora misconosciuti nella società pre-‘68.
Così il Movimento trova convergenze con le grandi lotte degli operai, che nel contempo stanno sconvolgendo le città, in conflitto contro una crisi economica che vede i profitti stabili mentre falcidia i salari. La classe lavoratrice ingaggia forti lotte sindacali e spontanee (gatto selvaggio), suscitando allarme nelle oligarchie economiche, che contrattaccano con la ristrutturazione industriale post taylorista-fordista. Di qui ancora più imponenti scioperi operai ai quali partecipano gli studenti, alternando parole d’ordine: Potere operaio. Potere studentesco. Sembra profilarsi un confronto finale.

  1. Il tramonto della Modernità

Le prime percezioni che la strategia capitalista messa in atto per contrastare e depotenziare le lotte è radicale e profonda risalgono al 12 maggio1972, quando lo psicanalista Lacan a Milano in una conferenza gremita di sessantottini ci annuncia l’“evaporazione” del padre e del Super-io: il nuovo discorso del capitalista, infatti, ordina di godere e di sacrificare tutto in nome del godimento. Reagiamo con una salva di fischi e di insulti in nome della rivolta anti-autoritaria del formidabile ’68 e dell’immaginata rivoluzione operaia. Ma nulla è come appare. In seguito scopriremo che, senza saperlo, avevamo insieme inscenato gli ultimi conflitti e il canto del cigno della classe operaia e della Contestazione.
Che la strategia vincente dei poteri dominanti sia di largo respiro ce lo spiega un altro francese, Michel Foucault, che mette in luce, come, oltre agli interventi di ordinamento, coazione e sfruttamento sulle classi popolari tendenzialmente anarchiche, essi attuino anche una rete di organizzazione e formazione in sintonia con la meccanizzazione robotizzata e con la dilagante cultura massmediatica consumista, dello spettacolo, della Tv e della nascente cibernetica. Nel processo industriale robotizzato si consuma la marginalizzazione degli operai come forza produttiva (e quindi, in termini marxisti, l’estinzione della classe rivoluzionaria) selezionati e cooptati nella lower middle class o esclusi ed espulsi nel Lumpenproletariat. Protagonisti nelle tecnostrutture industriali diventano le conoscenze, le scienze-tecnologie, cioè la knowledge, e dunque la knowing class, chiave e domina della produzione, caratterizzata come un circuito dinamico in perpetua crescita di straordinaria complessità che mobilita ed esalta insieme il ruolo inventivo e agonistico degli individui e la cooperazione nella ricerca integrata, sotto i dominio del Finanzcapitalismo.

La Post-Modernità
Val la pena ribadire che, senza saperlo, abbiamo vissuto in un’epoca in cui l’accelerazione dei cambiamenti sociali è stata vertiginosa come non mai dall’origine dell’umanità. Basti ricordare i tre milioni di anni che l’homo erectus ha trascorso senza mutamenti fino alla rivoluzione cognitiva dell’homo sapiens, circa 75 mila anni fa’; poi un’altra stasi, interrotta dalla Rivoluzione agricola, circa 10 mila anni fa’. Ebbene, a noi sono bastati pochi decenni per cancellare anche il ricordo del mondo contadino, fondamento di tutte le grandi Civiltà antiche fino alla Rivoluzione industriale borghese. Quanti secoli dovranno poi passare per superare la barbarica società feudale, spazzata via con una lunga lotta cominciata nel XII secolo, culminata nella Rivoluzione francese del 1789, dalla società borghese, dei liberi cittadini responsabili della vita comunitaria e protagonisti dello sviluppo economico, definitiva origine della Civiltà industriale moderna?
Gli ultimi quarant’anni sono, invece, bastati per le mutazioni inaudite che stanno dissolvendo tradizioni, ideologie, religioni, istituzioni, mentalità, psicologie, geo-economie, geo-politiche … e omologando l’umanità.
Per capire “La grande trasformazione globale” bisogna registrare con Lyotard la fine della Modernità, cioè dell’età delle “grandi narrazioni ideologiche (illuminismo, idealismo, marxismo), che avevano giustificato la coesione sociale e orientato il rinnovamento con le idee e utopie rivoluzionarie: Illuminismo, Idealismo, Marxismo.
Il sociologo Bauman conferma questo tramonto. Secondo lui alla morale ispirata a norme razionali universali che regola rigorosamente gli umani come produttori inquadrati nello stato e nella società moderna, solida, si sostituisce la società liquida dei consumatori, individui fragili e contradditori che si omogeneizzano in forme sociali labili e volatili e si realizzano nella gara all’acquisizione di merci, privilegio riservato ai ricchi, mentre i poveri, in quanto senza denaro, sono privati non solo delle merci che ma anche dell’identità. Paradossalmente questo processo di mercificazione ed emarginazione, che accompagna la globalizzazione, discrimina e penalizza i poveri del mondo condannandoli alla sofferenza, alla frustrazione e alla fame, al rifiuto del loro essere soggetti sociali, ma non provoca contrasti o ribellioni. Grazie alle magie profuse dalla televisione i dannati della terra premono sì sui confini del mondo dell’opulenza consumista ma per accedere come comparse a Wonderworld.
Questa complessa globalizzazione incide profondamente sullo scacchiere geopolitico, sul sistema degli stati e loro politica interna, tutti vittime del depotenziamento e del declino sia delle sfere di egemonia internazionale, sia di governance interna, sia dei ruoli di sovranità democratica popolare.
Anche il processo di individualizzazione dell’homo consumer si presenta complesso. Approfondisce Lacan: “Io credo che nella nostra epoca la traccia, la cicatrice dell’evaporazione del padre è quello che potremmo mettere sotto la rubrica generale della segregazione. Noi pensiamo che l’universalismo, la comunicazione della nostra civiltà omogeneizzi i rapporti fra gli uomini. Al contrario, io penso che ciò che caratterizza la nostra era – e non possiamo non accorgercene – sia una segregazione ramificata, rinforzata, che fa intersezioni a tutti i livelli e che non fa che moltiplicare le barriere.”
Nel vortice tumultuoso delle varie “rivoluzioni” che, come si è visto, hanno o stanno sconvolgendo la società italiana: neocapitalismo, industrializzazione, inurbamento, estinzione del mondo contadino, tramonto delle grandi narrazioni, vaporizzazione dell’Edipo etc. la voce del capitalista che rende “obbligatoria” per tutti una vita di godimento ottiene un ascolto e un successo travolgenti perché solo egli stesso possiede il mezzo per diffonderla capillarmente, inoculandola come un virus direttamente nella testa della gente: la Televisione.
Su scala internazionale si registra già negli anni ’70 l’avvio del post-fordismo, la ristrutturazione mondiale della divisione sociale del lavoro, la riorganizzazione tecnologica delle forme produttive, la destrutturazione della classe operaia, la manipolazione e adesione del consenso sociale con mass media di “disinformazione”, dell’industria culturale, dell’utopia del consumismo, vanificando nei fatti quanto i soggetti sociali della sinistra e del movimento andavano proponendo e agendo portando di fatto all’evanescenza e all’obsolescenza i soggetti stessi.

 

(da FB il 10 nov 2017)

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