Il mondo “è stato fatto cambiare” Renzo Penna*

Di fronte a chi considerava l’inevitabilità delle conseguenze della liberalizzazione dei mercati e del processo di globalizzazione sul welfare, i diritti dei lavoratori, le retribuzioni e l’occupazione, Luciano Gallino sosteneva con forza: “non è vero che il mondo è cambiato”, per poter affermare che ‘there is no alternative’, non ci sono alternative, ma “è stato fatto cambiare”. Sono infatti stati gli accordi internazionali che, privilegiando sopra ogni altro aspetto il commercio mondiale, hanno impresso un indirizzo ai mercati del tutto indifferente agli obiettivi della piena occupazione, delle protezioni sociali dei lavoratori e delle tutele ambientali. Disconosciuta dagli Stati Uniti la Carta dell’Avana, firmata nel 1948, che cercava di conciliare il libero scambio delle merci con le protezioni sociali dei lavoratori e la tutela dei diritti umani, con l’accordo del Gatt, trasformato in Wto nel 1994 e il coinvolgimento di oltre 160 nazioni, si afferma un modello di globalizzazione selvaggia a solo vantaggio delle grandi corporation e dove, addirittura, si prevede di sanzionare lo Stato che si rifiuti di importare merci prodotte in condizioni di sfruttamento per quanto riguarda l’orario, il salario, la sicurezza dei luoghi di lavoro e dei lavoratori.[1] Un modello sostenuto da una ristretta classe di personaggi super potenti e super ricchi in grado di controllare la finanza, la politica, i media che, sul finire degli anni Settanta, decise di attaccare e mettere in discussione l’idea e le politiche di uguaglianza. Una classe fortemente sostenuta da una ideologia, il neoliberalismo, che dopo i moti di piazza anti Wall Street[2], per denunciare gli abusi del capitalismo finanziario, viene stimata nell’1 per cento della popolazione; un dato che le statistiche sulla concentrazione della ricchezza confermano. Un feroce e sistematico attacco al concetto e alle condizioni dell’eguaglianza per rispondere, dagli anni Ottanta in poi, alla doppia crisi del capitalismo e del sistema ecologico. Una crisi che ha evidenziato, da un lato, la drastica riduzione dei produttori di beni e servizi con un reale valore d’uso e lo sviluppo parallelo di un sistema finanziario che ha superato ogni limite ed è diventato padrone di ogni aspetto della vita sociale; dall’altro l’aumento irresponsabile dei sistemi che sostengono la vita, ostacolando in ogni modo gli interventi indispensabili per preservare l’ambiente prima che sia troppo tardi.

E non è un caso, per chi ragiona sulle cause della crisi dei partiti socialisti e della sinistra, se lo slogan “Tina”, usato spesso dal primo ministro conservatore inglese Margaret Thatcher, fu poi ampiamente adottato da altri politici, di diversa tradizione, come il socialista Gerhard Schroder, ex primo ministro della Germania, che lo tradusse in: ‘Es gibt keine Alternativen’. E se i governi conservatori di Reagan e Thatcher si impegnarono a combattere i sindacati, in Francia un presidente socialista, Francois Mitterrand, si attivò per liberalizzare senza limiti i movimenti dei capitali e le attività speculative delle banche, mentre in Germania il cancelliere Schroder si dedicò non poco, attraverso l’applicazione di Agenda 2010, nel tradire lo spirito e la prassi della socialdemocrazia.[3]

E’ da questa acritica accettazione delle teorie neoliberiste che ha origine la crisi dei partiti socialisti e socialdemocratici europei. L’aver accantonato la lotta per il cambiamento, la riduzione delle diseguaglianze, l’obiettivo della piena occupazione ed avere, nella sostanza, accettato l’idea che le fasce deboli della popolazione avrebbero beneficiato dall’aumento del benessere economico delle fasce più ricche. La teoria immaginifica che l’alta marea sollevi verso l’alto tutte le banche, “a rising tide lifts all boats”, o quella più nota e riassunta dalla formula dello “sgocciolamento”, la “trickle-down theory”. Tutto questo mentre, sotto l’impulso della Troika (Commissione Europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale), i governi effettuavano tagli micidiali all’istruzione, all’università, alle pensioni, alla sanità, in base all’assunto, del tutto falso, che eravamo vissuti al di sopra dei nostri mezzi. Contrapponendo i giovani, alle prese con lavori precari e sottopagati, agli anziani indicati come responsabili della loro condizione. E i termini “riforme”, “riformismo” cambiavano di senso e significato perché, come ebbe a sostenere Fausto Vigevani: “Il riformismo è debole perché debole e incostante è il suo collegarsi ai valori. Ma ciò indebolisce la politica, la rende estranea, lontana, autoreferenziale. Da questa idea della politica, da questa sua crescente lontananza e autoreferenzialità, traggono origine il disinteresse se non l’ostilità da parte dei cittadini e l’astensionismo crescente degli elettori”.[4]

Ma vi è stato un limite culturale grave del riformismo e della socialdemocrazia che va sottolineato e riguarda l’atteggiamento assunto nei confronti del sistema europeo di welfare, quando si è accettata l’idea che i sistemi di protezione sociale sarebbero stati responsabili e la loro presenza avrebbe limitato la crescita e lo sviluppo economico. Un’idea contraria alla stessa verità storica, in quanto è provato che i sistemi di protezione sociale sono stati e continuano ad essere fattori fondamentali dello sviluppo e del progresso, come sono strutture e fattori indispensabili per la democrazia. L’aver messo in discussione uno dei capisaldi della evoluzione delle società democratiche, nei trenta anni che hanno seguito il secondo dopoguerra, e uno dei fattori essenziali dell’identità della sinistra, per un modello di società solidale, di persone libere e uguali, è stata la responsabilità maggiore che si è assunta la cosiddetta “Terza via”. Quella che Giorgio Ruffolo definisce un’area di “riformismo non alternativo, ma complementare al capitalismo”[5].

Teoria condivisa in Inghilterra da Tony Blair e dal “new Labour” e seguita in Germania dal Cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroder che l’ha sostanzialmente messa in opera attraverso le Leggi Hartz[6], previste nell’Agenda 2010, e approvate dal Parlamento tra il 2003 e il 2005. Per il peso economico e politico della Germania e l’importanza, tra i partiti socialdemocratici, della Spd i contenuti dell’Agenda hanno fortemente influenzato le “riforme” sociali e costituzionali degli altri partiti socialisti è non è arbitrario ritenere che, nel nostro Paese, abbia ispirato lo stesso “Jobs Act” del Governo Renzi e la decisione di smantellare lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori favorendo, attraverso l’eliminazione dell’articolo 18, i licenziamenti. Il nucleo centrale dell’Agenda aveva un contenuto esplicito: il costo dello stato sociale e i sostegni alla disoccupazione rappresentavano un grave ostacolo sia alla crescita che alla posizione economica della Germania. Pertanto era necessario ridurre drasticamente i costi del welfare e la platea di coloro che usufruivano delle prestazioni sociali. Le leggi hanno tagliato pensioni, indennità di disoccupazione, introdotto misure punitive se un disoccupato rifiuta un lavoro malpagato o scomodo e creato salari sotto la soglia di povertà per circa un quarto della forza lavoro, ossia 11 milioni su 42. Una decisione che ha letteralmente spaccato l’Spd, gettandolo in una crisi di consensi e linea politica senza precedenti nella storia del partito. I numeri lo evidenziano: prima di Agenda 2010 l’Spd godeva, in media, di un consenso storico intorno al 35%, dopo è sceso al 24%; contava 690 mila iscritti, e adesso ne ha 440 mila. Prima di Agenda 2010, soprattutto, l’Spd era il partito con cui le principali unioni sindacali si identificavano, oggi la maggior parte di esse se ne è dissociata, aprendo uno spazio di opportunità elettorali a sinistra, che sono state colte in particolare dai Verdi e dal “Die Linke” fondato dallo scissionista Spd Oskar Lafontaine.[7] E non è un caso che Martin Schulz, candidato a sorpresa per l’Spd alle elezioni federali di settembre, abbia, come primo atto, preso le distanze e si sia impegnato a modificare la Hartz IV, la più rovinosa delle leggi per i danni inflitti allo stato sociale. Riuscendo così a far risalire il partito, almeno, nei sondaggi.

In Italia blairismo e “Terza via” hanno contagiato, nel Partito Democratico, prima Veltroni e più recentemente Renzi. A tale proposito, in tema di welfare, Veltroni, nel 2007 al Lingotto di Torino, avanzò la proposta del “welfare mix”. In polemica con questo indirizzo prese posizione l’economista Paolo Leon. “Il Welfare Mix – dichiarò Leon – è una manifestazione della concezione piccolo borghese sui diritti che nascono dallo stato sociale: dove lo Stato non è più in grado di sostenere la spesa sociale allora si deve lavorare insieme con il volontariato. Il volontariato è un’istituzione importantissima e serve a correggere gli elementi negativi della burocrazia, ma non è un sostituto dello stato sociale, non crea diritti, crea sempre dipendenza e uno stato di sottomissione di chi e’ beneficiato”[8]. Sostenendo che l’istruzione, la sanità, la sicurezza e l’ambiente debbano avere un valore universalistico, senza distinzione tra ricchi e poveri, perché sono beni comuni che definiscono il grado di civiltà di un Paese.

Se in Germania la situazione dell’Spd, come abbiamo visto, non è facile, ma sembra profilarsi una ripresa, sta andando sicuramente peggio per i partiti socialisti degli altri Paesi europei. In Francia, per la prima volta il Presidente in carica, il socialista Hollande, non si ricandida e quasi certamente il candidato del Ps, pur avendo sconfitto nelle primarie il capo del governo, non arriverà al ballottaggio nelle presidenziali, previste tra aprile e maggio; in Spagna il vecchio e glorioso Psoe, reduce da ripetuti ridimensionamenti elettorali, è costretto a far da stampella esterna al governo conservatore di Mariano Rajoy; in Grecia, oramai da anni, il Pasok di Papandreu è stato spazzato via dall’effetto-Tsipras; nel Regno Unito la leadership radicale di Jeremy Corbin resiste, ma senza prospettive a breve di riscatto; in Austria l’alternativa ai populisti è stata incarnata, non dai socialisti, eredi di una solida tradizione, ma da un presidente Verde. Analogamente nelle recenti elezioni in Olanda i laburisti, al governo con la destra liberista, hanno subito un vero e proprio tracollo, mentre tocca ad un giovane esponente dei Verdi arginare la destra populista e diventare la prima forza progressista del Paese, interpretando valori sociali, un tempo salvaguardati, lì e altrove, dai socialisti.

In Italia è sintomatico che il lavoro e le analisi di economisti e politici di cultura socialista, come Paolo Leon, o come Giorgio Ruffolo, che per tempo hanno denunciato i limiti del capitalismo e la sua insostenibilità fisica, ecologica, sociale e finanziaria, o sociologi ed intellettuali, come Luciano Gallino, che con una severa analisi ha disvelato che oggi la lotta di classe esiste, ma viene fatta da chi controlla la finanza e il capitale, per continuare ad accumularlo, contro la classe operaia e le classi medie[9], non rappresentino i riferimenti del principale partito che aderisce al Pse. Mentre il segretario del Partito Democratico, dopo aver perso il referendum di revisione della Costituzione, fortemente voluto, e subito, a sinistra, una scissione, ha tra i suoi riferimenti, negli Usa, non il socialista Bernie Sanders, ma la Clinton e in Europa Blair e il centrista Macron.

 

Alessandria, 16 marzo 2017    

[1] Elisabetta Grande: “Guai ai poveri – La faccia triste dell’America”, pag.38/40. Edizioni Gruppo Abele, 2017

[2] Occupy Wall Street: movimento di contestazione pacifica, nato il 17 settembre 2011 e concretizzato in una serie di dimostrazioni nella città di New York, presso Zuccotti Park.

[3] Luciano Gallino: “Il denaro, il debito e la doppia crisi”, pag. 4. Einaudi 2015

[4] Fausto Vigevani: “Riflessioni sulla situazione politica”, giugno 2000. Tratto da: “La passione e il coraggio di un socialista scomodo”, Ediesse 2004

[5] Giorgio Ruffolo: “Il capitalismo ha i secoli contati”, pag. 262. Einaudi 2008

[6] Leggi Hartz: prendono il nome dell’ex manager di Volkswagen che li ha messi a punto

[7] Cesare Alemanni: “Lo scacco di Schroder” da Rivistastudio.com,

[8] Paolo Leon: “Un difensore dell’umanità delle persone”,pag.41, da “Fausto Vigevani, Il sindacato la politica”. Ediesse 2014

[9] Luciano Gallino: “La lotta di classe dopo la lotta di classe”. Editori Laterza 2012.

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