La Vergine castiga il Bambino Gesù davanti a tre testimoni: André Breton, Paul Eluard e l’artista, Max Ernst, 1926.
Una Myram, eccezionale e sconcertante, rispetto alle migliaia di opere con questo temo, ma per niente sorprendente e tanto meno irrispettosa; tutte le madri sperimentano complessi rapporti coi loro figli, talvolta vivacissimi o umorali e ribelli.
Allora poteva apparire educativo e inderogabile in senso autoritario anche un intervento manesco sia per il raddrizzamento biologico del figlio come anche per la sopravvivenza della madre..
Con questo dipinto, per me un dipinto “d’après” della Madonna Sistina di Raffaello, già a Piacenza, ora a Dresda, Max Ernst si guadagnò la scomunica della Chiesa cattolica, che si aggiunse alle censure poliziesche imposte alle sue esposizioni, benché probabilmente il suo obiettivo non fosse criticare la religione giudaicocristiana quanto la società autoritaria, patriarcale, militarista e capitalistico-borghese del suo tempo.
Max colloca Myriam in una città moderna, razionalista, in un vicolo stretto tra facciate senza finestre, oppressive e incubiche, evidentemente un’attualizzazione anche psico-sociologica, cioè una madre di oggi, un po’ malinconica e paranoica, con un figlio di oggi, molto irrequieto e paranoico.
La struttura di Myriam e bimbo è perfettamente centrale, piramidale, geometrica, una figura plastica, sconvolta dal braccio alzato che si sta abbattendo sul bimbo evidentemente divincolantesi. Staticità e dinamismo. Punizione e ribellione.
I colori giocono un ruolo importante, soprattutto il rosso e il blu dei vestiti e il rosato delle carni, che fanno stagliare vividamente la figura sui vari rosa, grigio e azzurro del paesaggio.
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