“Quelli lesbici e gay non sono semplici movimenti in difesa dell’elementare diritto umano di scegliere chi amare e come. Si tratta di potenti espressioni di identità sessuale e, perciò, di liberazione sessuale. Per questa ragione rappresentano una sfida ad alcuni dei fondamenti millenari su cui le società sono state storicamente costruite: la repressione sessuale e l’eterosessualità obbligatoria.
Nel momento in cui le lesbiche, in un ambiente istituzionalmente repressivo come quello della cultura cinese a Taipei (Taiwan), riuscirono a esprimere apertamente la loro sessualità e a rivendicare il riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nel diritto di famiglia, nell’impalcatura istituzionale finalizzata al controllo del desiderio si aprì una breccia significativa. Se la comunità gay fu in grado di vincere la stigmatizzazione fondata sull’ignoranza e a contribuire alla prevenzione dell’AIDS, significa che le società sono diventate capaci di emanciparsi dalla propria oscurità per vedere in una prospettiva nuova l’intera varietà dell’esperienza umana, senza pregiudizi né violenze. E se le campagne elettorali presidenziali (per il momento solo in America) dovettero loro malgrado fare i conti con il dibattito sui diritti dei gay, significa che la sfida dei movimenti sociali all’eterosessualità non può più essere ignorata o semplicemente repressa. Tuttavia, le forze della trasformazione liberate dai movimenti per l’identità sessuale difficilmente potranno restare confinate nei limiti della semplice tolleranza dei diritti umani. Esse attuano una una critica corrosiva della normalizzazione sessuale e della famiglia patriarcale: sfida particolarmente inquietante per il patriarcato perché giunge in un momento storico in cui ricerca biologica e tecnologia medica consentono la dissociazione tra eterosessualità, patriarcato stesso e riproduzione della specie. Le famiglie composte da persone dello stesso sesso che non rinunciano ad allevare bambini sono la manifestazione più esplicita di questa possibilità.
D’altro canto, lo sfumare dei confini sessuali, che dissocia famiglia, sessualità, amore, genere e potere, introduce una fondamentale critica culturale nei confronti del mondo come lo abbiamo finora conosciuto. E’ per questa ragione che il futuro sviluppo dei movimenti per la liberazione sessuale non sarà facile. Dalla difesa dei diritti umani alla ricostruzione della sessualità, della famiglia e della personalità, toccando i centri nervosi della repressione e della civiltà, essi incontreranno una reazione commisurata. Si profilano tempeste all’orizzonte per i movimenti gay e lesbico, e l’AIDS non sarà il solo aspetto odioso della reazione antisessuale. Tuttavia, se l’esperienza dell’ultimo quarto del XX secolo possiede un qualche valore indicativo, il potere dell’identità sembra assumere un carattere magico quando si combina con il potere dell’amore.”
(MANUEL CASTELLS, Il potere dell’identità, Università Bocconi Editore, Milano 2008. – The Power of Identity, Blackwell, Oxford1997. Grassetti miei)
– Propongo questa lunga citazione tratta dal capolavoro del grande sociologo spagnolo-americano – che muove dall’analisi critica del concetto di identità per disegnare un esaustivo e conturbante affresco dei più scottanti problemi del nostro tempo, completato dai successivi lavori della trilogia – perché mi pare che il passo citato costituisca una significativa sintesi del valore universale delle rivendicazioni dei movimenti omosessuali, senza nascondere contraddizioni e difficoltà, che anzi il paragrafo conclusivo suona come un avvertimento. Essa induce in primo luogo ad una considerazione di ordine generalissimo, che cioè le istituzioni umane, quali la famiglia patriarcale, per quanto millenarie e universalmente diffuse (poiché il Mutterrecht di Bachofen non è riuscito a dimostrare l’esistenza storica di società matriarcali), non sono per questo “naturali”. Anzi, qualcuno ha potuto sostenere che nessun istituto è meno “naturale” della famiglia – e mi piace ricordare che l’arguzia di Michele Serra ha proposto di correggere la famosa triade “Dio, Patria e Famiglia” declinando al plurale il termine “Famiglia”, per adeguarlo alla realtà odierna in cui moltissime persone hanno più di una famiglia. Le conquiste dei movimenti omosessuali si inquadrano dunque in un più vasto rimescolamento delle strutture elementari della vita associata, rimescolamento che esse hanno contribuito a determinare, ma che da sempre scorrevano, più o meno nascoste, sotto la vernice del perbenismo di facciata: basti ricordare gli intrecci di matrimoni e adulteri che si ritrovano, per esempio, nel balzacchiano Père Goriot, con tutti i problemi derivanti dalla presenza dei figli illegittimi. E il problema dei figli, o, più in generale, della procreazione, dell’allevamento e dell’educazione dei bambini è certamente fra i più scottanti generati dalla nuova, confusa situazione.
Molti uomini politici fra quelli che hanno fatto stralciare la step child adoption dalla legge Cirinnà, si affannano a proclamare che i bambini hanno il diritto di avere un padre e una madre – facendo finta di non sapere che oggi molti bambini hanno solo un padre o solo una madre (vedovi, divorziati, abbandonati) oppure due o tre madri e\o due o tre padri, fra i quali ci può essere perfino quello biologico. Non ho mai visto cortei di neonati con cartelli rivendicanti tale primario diritto, ma, se potessero rivendicare qualcosa, gli infanti certamente chiederebbero soltanto di avere dei buoni genitori-educatori, biologici o adottivi che siano. Per quanto riguarda le coppie omosessuali (in particolare quelle maschili) che non vogliono rinunciare ad allevare dei bambini, Castells ricorda come ciò avvenga «in un momento storico in cui ricerca biologica e tecnologia medica consentono la dissociazione tra eterosessualità, patriarcato stesso e riproduzione della specie». Personalmente preferirei di molto che tali coppie potessero ricorrere non all’ “utero in affitto”, ma all’adozione, anche perché un vero figlio è, prima di tutto, figlio dello spirito. Nando Taviani mi ha raccontato (ma non so quale sia la fonte originaria) che Alessandro Manzoni, interrogato sulla pochezza intellettuale dei suoi figli di fronte alla grandezza delle sue opere letterarie, avrebbe risposto: «E’ perché le mie opere le ho fatte con la mente, mentre i figli li ho fatti col cazzo».
(tratto dal sito RIFLESSIONI, http://www.cesare23.it/)
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